venerdì 29 aprile 2011

Aggressione fascista alla facoltà di Lettere


Appuntamento sotto Lettere (porte di massa) ore 16.00
Giorno 28 aprile, intorno alle 9 di sera, dopo la chiusura della facoltà di Lettere, sono comparse sui muri del palazzo svastiche e scritte inneggianti al nazismo.Come di consueto, i compagni della facoltà non hanno aspettato che calasse la notte per cancellare le svastiche e le scritte razziste che hannop imbrattato i muri di un luogo da sempre teatro di lotte studentesche ed antifasciste, preferendo organizzare fin dalla mattoina presto un momento aggregativo e di controinformazione per denunciare l’accaduto e ripulire la facoltà dai segni di quegli infami.
Tra le 10.30 e le 11 pero’, nel bel mezzo dell’iniziativa, tre appartenenti a Cpi Napoli, tra cui il candidato nella lista “Liberi Con Lettieri” Enrico Tarantino, sono passati tra i compagni e dopo un breve diverbio verbale, senza alcuna esitazione, hanno tirato fuori le lame con cui hanno colpito tre dei nostri compagni,attualmente all’ospedale.

Per ora le notizie che abbiamo circa il loro stato sono per due compagni punti di sutura alle braccia e alle gambe ( 9 per uno di loro, dietro il braccio, e 7 in tutto per l’altro ferito ad entrambe le gambe).Un altro compagno  è stato attualmente spostato nel reparto chirurgia; oltre a ricevere 5 punti di sutura dietro la testa per un colpo da cinghia, deve essere operato ad una mano con cui, secondo i medici, si è difeso da un colpo che aveva ben altra e più grave destinazione.Probabilmente i muscoli della mano si sono lacerati,aspettiamo notizie.Gli antifascisti napoletani, di ogni territorio luogo e facoltà stanno intanto accorrendo sotto l’Università in attesa del corteo che partirà proprio da qui alle ore 16.00.
Già fioccano comunicati infami dei fascisti di Casapound, che lamentano di aver subito un’aggressione, ma chiunque passasse sotto la facoltà in quel momento ha ben chiara la dinamica che si è sviluppata: un’aggressione vile, infame e armata contro dei compagni da sempre impegnati nelle lotte antifasciste.
NESSUN AGGUATO RESTERA’ IMPUNITO!
ORA E SEMPRE RESISTENZA!
 
 
Antifasciti napoletani 

lunedì 25 aprile 2011

Quelli che il 25 aprile non festeggiano

Cirielli (Pdl): "Limiti e ombre tra i partigiani". Dozzan (ex An): "Dobbiamo capire che a quel tempo non c'era una parte giusta e una sbagliata per la quale combattere". La Destra: "E' una pseudofesta nazionale". Manifesti fascisti a Roma e corone bruciate in Lombardia

di MATTEO TONELLI
Quelli che il 25 aprile non festeggiano "Basta con la mitologia della Liberazione" ROMA - Chi invoca "la pacificazione". Chi chiede che si faccia luce "sui massacri dei partigiani". Chi tira in ballo le foibe e Togliatti. Chi attacca manifesti con fascio littorio e chi, più sbrigativamente, brucia gli addobbi sistemati sul monumento alla Resistenza. Eccolo il 25 Aprile di chi non festeggia. Di chi puntualizza. Di chi proprio non riesce a vedere nel 25 aprile una festa di tutti. Di chi, nel giorno della liberazione dell'Italia dalla dittatura nazifascista, preferisce invocare una "pacificazione" tra vincitori e vinti che suona tanto come una parificazione tra chi ha lottato per la liberazione del Paese e chi, di quella oppressione, era autore e complice. Il tutto mentre tre parlamentari del Pdl presentano un disegno di legge costituzionale che abolisce la norma della Costituzione che vieta "la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista". LE FOTO DEI MANIFESTI FASCISTI 1 "Bisogna ribadire come non ci si debba chiudere in rappresentazioni idilliache e mitiche della Resistenza e, in particolare, del movimento partigiano, come non se ne debbano tacere i limiti e le ombre" scrive il presidente della Provincia di Salerno, Edmondo Cirielli, deputato del Pdl, in un manifesto fatto affiggere in occasione del 25 aprile. Dove si fa ricadere sull'allora segretario del Pci Palmiro Togliatti la sorte "delle centinaia di migliaia di nostri connazionali costretti a fuggire sull'onda della feroce pulizia etnica delle foibe scatenata dai partigiani jugoslavi del dittatore Tito, con la complicità morale del leader dei comunisti italiani". Cirielli, comunque, non è solo. Con lui si schiera Fabio Garagnani, coordinatore Pdl città di Bologna che parla di "mitologia resistenziale", rivendica la sua non partecipazione alle celebrazioni di lunedì, chiede che si indaghi "sui massacri dei partigiani" e vede nel 18 aprile del 1948 "la vera festa unificante del nostro paese, che con la vittoria elettorale della Dc e dei suoi alleati consenti' all'Italia di consolidare la democrazia liberandola dalla minaccia del comunismo". Da Bologna al Veneto il passo è breve. E i toni analoghi. Stavolta sono gli ex An Elena Donazzan (assessore regionale), Marco Luciani (assessore provinciale), Vittorio Di Dio (assessore comunale) a lanciare l'invettiva contro i partigiani: "Non sono degli eroi, magari qualcuno di loro avrà fatto degli atti coraggiosi, ma sarebbe un errore pensare che la Liberazione sia merito loro. Senza l'intervento degli alleati probabilmente la storia sarebbe stata diversa". La Donazzan si spinge ancor più avanti: "Dobbiamo capire che a quel tempo non c'era una parte giusta e una sbagliata per la quale combattere". Tutti uguali insomma. Fascisti e antifascisti. "Superando ogni divisione per creare una memoria condivisa" invoca il capogruppo del Pdl di Modena Adolfo Morandi. Magari dedicando una strada ad un milite fascista genovese, come chiede Gianni Plinio responsabile sicurezza del Pdl della Liguria. Nella lista dei non celebranti c'è anche chi sceglie di disertare la ricorrenza per protestare contro l'arrivo dei nomadi nel comune che amministra. Come Fabio Stefoni, sindaco di Castelnuovo di Porto, un piccolo comune alle porte di Roma. Non poteva mancare Francesco Storace. L'ex fedelissimo di Fini, adesso leader della Destra chiede che si guardi alla storia d'Italia, Ventennio compreso. "Senza manicheismi" e "con le sue luci e le sue ombre". "130 Anni non sono 150 e ci fa pena chi ne elimina 20. E' storia d'italia. E' illusorio pensare di cancellarla" tuona. Niente feste rivendicano i seguaci storaciani di Lamezia Terme: "Non abbiamo mai festeggiato il 25 aprile e non è nostra intenzione neanche pensarci. Continuiamo a considerare la pseudo 'festa nazionale' come 'misera bugia' con la quale si può ricordare solo la sconfitta nella Guerra Mondiale e la fine sanguinosa di una guerra civile". Chi, sicuramente, lo sciagurato ventennio fascista non lo dimentica, anzi lo rivendica, è colui che ha incollato a Roma centinaia di manifesti con un'immagine di fascisti in trionfo: "25 aprile, buona Pasquetta!". O chi a Corsico, in provincia di Milano, ha bruciato gli addobbi sistemati sul monumento alla Resistenza e asportato quelli presenti su un altro dedicato agli Alpini. (23 aprile 2011) http://www.repubblica.it/politica/2011/04/23/news/liberazione_frasi-15308454/

25 Aprile...Edmondo ci riprova...

SALERNO – Anche quest’anno ha preso carta e penna (o tastiera e monitor) e si è messo a scrivere in occasione della festa del 25 aprile. Fra le tante disgrazie che affliggono gli italiani, alle prese con un governo di inetti, dobbiamo aggiungere anche quella delle “interpretazioni” storiche del deputato Pdl Edmondo Cirielli, presidente della provincia di Salerno. Il 25 aprile, farfuglia, rappresenta “la riconquista della libertà del popolo italiano dopo l'occupazione nazista e la difesa dei valori fondanti per la dignità dell'uomo e per la convivenza civile e democratica della nostra comunità nazionale, compromessi dal fascismo”. Ma, secondo il facondo esponente berlusconiano, è necessario ribadire “come non ci si debba chiudere in rappresentazioni idilliache e mitiche della Resistenza e, in particolare, del movimento partigiano, come non se ne debbano tacere i limiti e le ombre”. Cirielli ricorda – giustamente – gli italiani massacri nelle foibe ma evita evidentemente di collegare quei drammatici omicidi alle precedenti campagne di pulizia etnica volute da Mussolini in Istria, ai danni degli slavi. Una costante del pensiero fascista di questi ultimi anni, finalizzato ad addossare le colpe delle foibe soltanto ai partigiani titoisti e non anche al criminale regime mussoliniano.
Tosi: “Nessuna ombra sul 25 aprile”
“Sui valori che trionfarono il 25 aprile 1945, quelli della libertà e della democrazia contrapposti alla dittatura e alla barbarie nazifascista, non c'è da discutere”. Lo afferma il sindaco di Verona Flavio Tosi secondo il quale “ha fortunatamente vinto chi era nel giusto. Quella del 25 aprile dovrebbe essere una festa di tutti - prosegue - perché, grazie a quegli eventi, tutti possiamo vivere in una società libera e democratica. Gli artefici della Liberazione, oltre alle Forze Alleate e all'Esercito Italiano, furono le Forze partigiane, le quali rispecchiavano una pluralità di opinioni politiche: sarebbe ingeneroso e oltraggioso nei loro confronti - conclude Tosi - iscriverle d'ufficio a una sola parte. Tutti dobbiamo provare pietà per chi è morto nella guerra di Liberazione, anche per coloro che, in buona fede e senza macchiarsi di crimini, si trovarono a combattere dalla parte sbagliata”.
 
DA www.dazebaonews.it

mercoledì 20 aprile 2011

Dioune Sergigme Shoiibou, lasciato morire in carcere con la testa rotta

Non sappiamo quale reato avesse commesso Dioune Sergigme Shoiibou, il trentenne senegalese morto alcuni giorni fa nel carcere Mammagialla a Viterbo. Sappiamo che gli avevano dato sei mesi di pena. Non doveva essere un efferato criminale, non doveva essere troppo pericoloso per la nostra società, non doveva avere motivi di alta sicurezza ostativi nei confronti di un suo soggiorno di cura esterno al carcere.
Aveva avuto un ematoma al cervello, il ragazzo, per rimuovere il quale era stata necessaria un’operazione che lo aveva privato di parte della calotta cranica. Non è facile andarsene in giro con mezza testa. Non è facile vivere in cella, dove i soccorsi sono lenti e parziali, sentendosi il cervello senza protezione. Peggio che andare in moto a duecento all’ora senza casco.
Fatto sta che Dioune si è sdraiato sul letto e non si è più alzato. Si dice che sul suo corpo non si siano visti segni di violenze. Le cause del decesso saranno medici legali e magistrati a stabilirle. Quegli stessi magistrati che, per un reato bagatellare, hanno tenuto in carcere un uomo con il cranio rotto. Eppure le leggi ci sono. C’è il rinvio dell’esecuzione della pena (art. 147 comma due del codice penale), c’è la detenzione domiciliare a casa o in luogo di cura (art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario), ci sono molte possibilità tra le maglie delle norme. Se solo si volessero applicare.
Ma oramai pare che i magistrati che fanno politica siano solo quelli che si schierano pubblicamente contro le nefandezze di Berlusconi, e che tutti gli altri si trascinino con stanchezza utilizzando solo le procedure che creano loro meno responsabilità. Sarebbe bello che la magistratura scegliesse di farsi scudo non solo contro i potenti ma anche a difesa dei deboli. Si fa alta politica e si fa alta società salvando dalla morte un poveraccio che è finito per disgrazia in una delle nostre carceri.

fonte: carta.org

Torna libero Pierluigi Concutelli

Nel '76 uccise il giudice Occorsio Il nipote del magistrato: "Gli avrei dato la pena di morte". L'ex terrorista, oggi 67enne, dal 2009 era agli arresti domiciliari dopo essere stato colpito da una grave ischemia cerebrale. Per l'omicidio del sostituto procuratore e di due neofascisti in carcere è stato condannato a tre ergastoli. E' tornato libero Pierluigi Concutelli, il leader di Ordine Nuovo, che, il 10 luglio del 1976, uccise a Roma il sostituto procuratore Vittorio Occorsio, 'responsabile' di aver portato allo scioglimento il gruppo neofascista. Nei giorni scorsi a Concutelli, fra i protagonisti della stagione del terrorismo nero, è stata infatti riconosciuta la sospensione della pena per le gravi condizioni di salute. L'ex terrorista dal marzo 2009 era agli arresti domiciliari, che aveva ottenuto dopo essere stato colpito da una grave ischemia cerebrale.Secondo il blog "Fascisteria" curato dal giornalista Ugo Maria Tassinari, Concutelli due anni fa "ha subito infatti un grave ictus che gli impedisce di parlare e di alimentarsi regolarmente", si legge nel blog. "Dopo il riconoscimento del beneficio da parte del giudice dell'esecuzione della pena, ha lasciato gli arresti domiciliari - era ospite del fratello a Portogruaro - ed è stato trasferito dagli amici che lo assisteranno in una casetta sul mare, sul litorale di Ostia, a Roma", si spiega nel blog di Tassinari.Il nipote del magistrato. "Io a Concutelli gli avrei dato la pena di morte. E non parlo solo come nipote di Vittorio Occorsio ma perché l'Italia da oggi è un paese meno sicuro con lui in libertà". E' l'opinione di Vittorio Occorsio, nipote ventitreenne del giudice, del quale porta lo stesso nome. Il giovane ha saputo dal padre Eugenio la notizia della liberazione dell'assassino del nonno. "Sono incredulo e amareggiato", ha aggiunto il ragazzo.

La militanza. Romano, oggi sessantasettenne, Concutelli è stato fin da giovanissimo militante di gruppi giovanili di destra a Palermo fino a diventare, nei primi anni Settanta, uno dei capi di Ordine Nuovo.Il 10 luglio del 1976 uccise a Roma il giudice Vittorio Occorsio: arrestato pochi mesi dopo, nella sua casa venne trovato un vero e proprio arsenale. In carcere a Novara, insieme a Mario Tuti, uccise, strangolandoli, altri due terroristi neri detenuti, Ermanno Buzzi e Carmine Palladino, implicati nelle inchieste sulle stragi di Bologna e di Brescia e considerati da Concutelli dei delatori. Per l'omicidio di Occorsio e dei due neofascisti è stato condannato tre volte all'ergastolo.Nel giugno del 2000 ottenne la possibilità di uscire dal carcere durante il giorno per recarsi al lavoro. Il regime di semilibertà gli è stato revocato nell'ottobre dello scorso anno, dopo che fu trovato in possesso di una modesta quantità di hashish.Durante gli ultimi mesi nei quali si è potuto allontanare dalla sua cella, Concutelli, autore anche del libro biografico "Io, l'uomo nero", ha partecipato anche ad una intervista televisiva a La7 durante la quale disse di non essersi pentito del suo passato neofascista, ma di provare rimorso per l'omicidio di Occorsio.Da quando è mstato colpito dall'ischemika cerebrale, Concutelli è assistito da Emanuele Macchi, che fu uno dei capi dello spontaneismo armato. Pariolino, più volte arrestato, Macchi è stato condannato come uno dei capi del Mrp (Movimento rivoluzionario popolare), gruppo di estrema destra collegato a 'Costruiamo l'azione', che compì nel 1978 e nel 1979 attentati dinamitardi contro 'simboli del potere' a Roma: il Campidoglio, la Farnesina, il carcere di Regina Coeli.


http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/04/19/news/terrorismo-15128034/

Dai Compagni del Collettivo Aula R * Scienze Politiche Pisa

Premessa.
Il conflitto in Libia tra l’esercito libico fedele a Gheddafi e la coalizione dei “volenterosi”, – organizzatasi sulla base della risoluzione 1973 dell’Onu la quale lasciava spazio a chiunque di intervenire – è un evento che necessita di essere interpretato e demistificato. Non è possibile infatti decontestualizzarlo dalla serie di proteste nel Maghreb, né dagli interessi delle borghesie europee e occidentali. Oltre al panorama internazionale, da militanti, ci interessa evidenziare – per quanto possibile in quest’occasione – la composizione del soggetto popolare che ha promosso la fuoriuscita del malcontento fra le popolazioni arabe, e dall’altra la serie di interessi che si sono coagulati intorno alla decisione pro intervento militare.

L’incipit: le rivolte del Magreb.

Quello che sta succedendo nel Maghreb è interpretabile solo prendendo coscienza che l’economia del mondo è ormai definitivamente globalizzata, e il mercato delle merci è mondiale. Dall’altra c’è una classe di sfruttati di tre miliardi di uomini e donne in continua competizione per un salario (fenomeno mai verificatosi in queste proporzioni) che non sa riconoscere se stessa, né la natura del suo sfruttamento, né tanto meno ciò che potrebbe definitivamente risollevarla dalla miseria, dalla disoccupazione e dallo status perenne di “lavoratore povero”.

Ad alcuni sembrerà che ci stiamo allontanando dalla questione della guerra in Libia, che questa analisi poco abbia a che fare con un intervento armato contro Gheddafi, che i tunisini, gli egiziani, gli yemeniti in realtà cercano solo uno Stato meno corrotto, una democrazia dei diritti.

Quello che interessa mettere in luce, in queste poche righe, è invece ciò che di poco casuale traspare dalla composizione delle masse dei rivoltosi, dal loro essere specifico. Le proteste scoppiate nei paesi arabi sono, a nostro avviso, l’ultima e più radicale esternazione del malessere dovuto al graduale peggioramento delle condizioni di vita. Malcontento e povertà che vanno di pari passo con uno sfruttamento intensivo, bassissimi salari e una disoccupazione che si alterna a piccoli periodi di lavoro (che noi definiremmo “flessibile”) senza tutele e nessuna sicurezza sul lavoro. Rasentando il nocciolo della questione Giuliana Sgrena sul Manifesto del 7 aprile afferma che i tunisini si ribellano perché non hanno prospettive per il futuro, che essi rigettano la Tunisia di Ben Alì e del precariato. A questo punto, secondo la giornalista, la soluzione realizzabile per cui è giusto che sperino e lottino i tunisini sarebbe la democrazia dei diritti, forse su un modello europeo… Come qui in Italia verrebbe da dire!

Tralasciando le conclusioni (poco) politiche, quello che qui c’interessa è la condizione di questi giovani, oltre che sfatare alcuni luoghi comuni sulla presunta arretratezza delle economie di questi paesi. L’Egitto per esempio, ma anche la Tunisia, non sono economie ristagnanti, bensì hanno tassi di crescita che hanno indotto alcuni economisti a definirle le Tigri Africane di inizio terzo millennio. E con loro altri paesi africani: in Egitto nel 2009 il PIL è calato del 2,3 % ma nei tre anni precedenti era cresciuto del 7 % (ciò significa nel 2010 una crescita, rispetto al 2008, del 4,7 %), sempre nel 2009 la Tanzania è cresciuta del 7,4 %, l’Etiopia del 9,9 %, l’Uganda del 10,4 %, il Mozambico del 6,3 %.

Un altro dato molto interessante – e che palesa come per il proletariato giovanile esista una comunanza di situazioni fra un Occidente “progredito e post-tutto” e un Oriente “arretrato al Medioevo” – è l’altissimo tasso di disoccupazione dei giovani dei paesi arabi. Ragazzi e ragazze senza prospettive certe di lavoro, ma con un curriculum da persona scolarizzata e qualificata molto occidentale. Questi giovani alternano periodi prolungati di disoccupazione a brevi tempi di lavoro, ottenuto sempre e comunque tramite un sistema di capolarato pre-capitalista (mica le nostre agenzie interinali!). La generazione – e non è solo una generazione ma almeno due – che ha a che fare con i 46 contratti atipici della legge 230 ha probabilmente gli stessi problemi della gioventù tunisina ferma al bar in attesa di una retribuzione. E stiamo a domandarci ancora cosa avrebbero a che fare con noi?

domenica 17 aprile 2011

Napoli, 3mila in corteo contro la guerra in Libia

Ieri 16 Aprile oltre tremila persone, in maggioranza giovani studenti, hanno sfilato nelle strade di Fuorigrotta e Bagnoli per ribadire la loro contrarietà alla guerra in Libia.
Il corteo, aperto da uno striscione in ricordo di Vittorio "Utopia" Arrigoni, ha sfilato scandendo slogan contro tutte le guerre "umanitarie".
Durante il percorso abbiamo voluto "svelare"la vera natura degli interessi economici che muovono anche la guerra in libia, attraverso azioni simboliche di sanzionamento.
Una filiale dell'Unicredit, un concessionario della FIAT, la sede di Bagnoli Futura sono state colpite da un fitto lancio di uova.
Il corteo è giunto alla base NATO di Bagnoli, base da cui vengono coordinate le azioni militari contro la Libia, per ribadire che la presenza di basi militari (italiane, statunitensi o NATO) sono una presenza di morte sui territori.
Domani si terrà un'assemblea pubblica all'Università Orientale, aperta alle sensibilità politiche e sociali più diverse, in cui ci si confronterà su come rilanciare la mobilitazione contro la guerra.
Da Stop the War

Contro l’intervento in Libia

Relazione di Osvaldo Pesce alla tavola rotonda del 4 aprile 2011

Milioni di persone sono scese in piazza in vari paesi arabi, con rivendicazioni sociali e solidarietà tra i popoli. Questo è un fatto nuovo di grande importanza. Movente primario è stata la crisi economica globale del sistema capitalistico partita dagli USA, in particolare il raddoppio dei prezzi dei generi alimentari, dovuto al rincaro internazionale aggravato da siccità e incendi in Cina e Russia.

Potrebbero aver influito anche i tentennamenti di Washington rispetto all’impegno in Medio Oriente e lo spostamento della sua attenzione sul Pacifico.

La rabbia popolare ha abbattuto o messo in crisi i governi filo-occidentali del Maghreb, dell’Egitto e della penisola araba.

La piazza araba però non chiede solo pane e lavoro, fa richieste sociali e politiche. Non sono richieste di origine religiosa, perché uno stato islamico non risolverebbe i loro problemi (in Egitto i Fratelli musulmani sono scesi in piazza 5 giorni dopo, in pratica chiedendo il permesso al movimento); non vogliono neanche copiare la “democrazia” occidentale, cercano una strada propria per il cambiamento della vecchia società.

L’Occidente invece agita lo spettro dell’islamismo (e della “migrazione biblica”) per arroccare l’opinione pubblica - istintivamente portata a solidarizzare coi movimenti - e prepararla a un eventuale intervento militare.

Il potere non è cambiato nella sostanza, anche se Ben Ali e Mubarak sono caduti. La repressione c’è già: in Egitto sono in funzione tribunali militari, bastonano manifestanti in piazza Tahrir, tentano di seminare terrore e discordia.

Le masse fanno davvero la storia; la mancanza di una direzione politica organizzata, che abbia un programma strutturato contro lo stato, non porterà a soluzioni immediate, ma i semi resteranno e col tempo produrranno grandi cambiamenti.

E’ interesse del popolo italiano e di quelli arabi che la giusta esigenza di cambiamento che viene da questi paesi non venga strumentalizzata per altri scopi, e che siano i popoli a decidere il loro futuro in completa autonomia, senza interventi militari ed ingerenze dall’esterno.

Tutti i poteri politici ed economici imperialisti che hanno interessi diretti o indiretti nell’area cercano ora di intromettersi.

La diversa storia e la diversa composizione sociale dei paesi arabi, la presenza maggiore o minore di risorse petrolifere, i diversi rapporti con altri paesi, possono portare a esiti politici diversi.

Riguardo alla Libia occorre guardare i fatti da un’ottica specifica: la struttura sociale è ancora legata alle tribù. Gheddafi, che viene da una tribù minore della Sirte, è visto dalla tribù più importante, che fa capo a Bengasi, come un sopraffattore che ha armi e denaro.

In Libia il costo della vita è basso rispetto al reddito medio della popolazione, non c’è una emigrazione per povertà, le rivendicazioni dei senussiti non sono quindi per i generi di prima necessità ma per sostituirsi all’attuale potere centrale.

Gli occidentali manovrano nel contrasto libico per tentare la scrollata contro il governo di Gheddafi, non sufficientemente controllabile (così come non è controllabile il governo di Assad in Siria) nel quadro della globalizzazione, e per indebolire il paese in modo da potersi gestire il suo petrolio e il suo gas.

Parigi, amica degli USA, è irritata dagli eventi nel Maghreb,e riconosce il Consiglio Nazionale provvisorio di Bengasi; il discorso duro di Sarkozy contro Gheddafi ha fini elettorali, l’anno prossimo vuole prendere voti e spazio politico al partito di Le Pen; Sarkozy fa credere di poter contare sull’Europa, di voler agire in favore dell’unità europea, e con questa azione di forza, che ha iniziato per primo (ha rovesciato la posizione della Francia, che aveva votato contro la guerra in Iraq), pensa di recuperare voti dei “pied noir”con un ritorno al mito colonialista e nazionalista della grandeur francese.

Londra era presente in Libia fino al 1970; oggi cerca di riprendere terreno, fin dall’inizio si è posta a fianco di Parigi; due navi militari inglesi sono presenti nel porto di Bengasi, ed emissari inglesi in Cirenaica.

I governanti italiani si cibano di chiacchiere che nessuno ascolta: cercano di mantenere una porta aperta a Gheddafi, ma alla fine si sono allineati con gli altri concedendo l’uso delle basi e inviando aerei che però “non sparano”. Germania e Turchia non condividono le posizioni della “coalizione dei volenterosi”.
 http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1470513990449405245
L’astensione di Russia, Cina, Germania, India e Brasile al Consiglio di Sicurezza è un segnale negativo, di debolezza di fronte all’interventismo, che lascia mano libera ai guerrafondai.

I fatti dimostrano che in un primo tempo c’è stata la ribellione di Bengasi, con l’appoggio occidentale; poi si è ottenuta l’acquiescenza dell’ONU a embargo, sequestro dei beni e no-fly zone, con inevitabile coinvolgimento dei civili; l’attacco aeronavale francese, inglese e americano, con bombardamenti feroci contro tutto il territorio libico, è stato fin da subito una guerra di fatto, che è andata ben oltre lo stesso mandato dell’ONU; si vuole passare a una terza fase, con la fornitura di armi agli insorti e l’intervento di truppe terrestri. Siamo dunque di fronte non più a una guerra civile ma a una guerra imperialista.

La Libia è un paese alle porte di casa nostra, con cui l’Italia ha importanti rapporti economici e politici da molto tempo e non certo solo da quando c’è l’attuale governo. Il popolo libico deve risolvere da solo i suoi conflitti, senza ingerenze e senza intervento armato dall’esterno; un Afghanistan o un Iraq alla porta di casa colpisce lo sviluppo economico e sociale non solo della Libia ma anche del nostro paese e di tutti i paesi sulle coste del Mediterraneo: dobbiamo opporci con forza a ogni intervento aperto o subdolo, dichiaratamente armato o apparentemente “umanitario”.

Ci sono divisioni sul che fare all’interno della dirigenza USA e dei suoi due grandi partiti. Obama vuole un intervento in tempi brevi, per coinvolgere poi i paesi europei, che trarrebbero i maggiori vantaggi da una sconfitta di Gheddafi. Washington è più preoccupata per la situazione in Arabia Saudita ed Emirati. La rivolta in questi paesi è molto profonda e potrebbe sconvolgere tutta l’area. I popoli avanzano rivendicazioni politiche e i governanti rispondono con proposte economiche (ad esempio il Kuwait ha concesso 3.000 $ a famiglia) oppure con l’invasione saudita (nel Bahrein). Le tv degli emirati al Jazeera e al Arabija hanno diffuso notizie false sul conflitto in Libia (10mila morti e 50 mila feriti) per giustificare l’intervento. La Lega Araba, influenzata dall’Arabia Saudita, ha chiesto di creare in Libia la no-fly zone. Il Qatar è intervenuto direttamente nei cieli libici. Arabia Saudita ed Emirati vogliono la testa di Gheddafi per dimostrarsi “democratici” e sperano di calmare la piazza.

L’attacco alla Libia serve anche per mettere in ombra il movimento delle piazze arabe, la ribellione popolare. La politica dell’Occidente è dominata dalla paura del cambiamento, l’ultima sua parola è la repressione.

Si comprende allora perché Putin ha dichiarato che la “coalizione dei volonterosi” è andata oltre le decisioni del Consiglio di Sicurezza iniziando una crociata contro la Libia, per cui anche la Russia deve riprendere ad armarsi. I bombardamenti sulla Libia spiegano perché la Repubblica Popolare Democratica di Corea e la Repubblica islamica dell’Iran sono costrette a garantirsi una difesa militare contro un possibile attacco, per salvaguardare la propria indipendenza e sovranità; anche l’Europa (se esistesse politicamente) dovrebbe riflettere sulla necessità di rendersi indipendente dalla superpotenza USA.

E’ un momento di grandi sconvolgimenti: con la fine del bipolarismo USA-URSS, l’imperialismo USA ha imposto la sua globalizzazione, e tramite i suoi strumenti economici (FMI, Banca Mondiale, WTO) e politici (ONU, G8) cerca di imporre ovunquele sue regole e di stabilire quali paesi e quali continenti si possono sviluppare e quali devono morire, quali regimi restano e quali vanno combattuti.

Gran parte della produzione industriale è stata delocalizzata (per es. in Cina o India), e i poteri economici in Occidente si chiedono: perché non riprendersi quanto concesso finora, perché non abolire lo stato sociale all’interno e ristabilire il colonialismo all’esterno?

La Francia pensa solo per se stessa e non all’Europa, e ha messo o sta mettendo le mani su settori importanti dell’industria italiana ( Fiat Ferroviaria, Banca Nazionale del Lavoro, alimentari e acque minerali, alta moda e ora Bulgari, Parmalat Edison ecc, in attesa di Alitalia, e l’ENI deve vendere azioni dell’oleodotto South Stream a Electricité de France): è una rapina; la FIAT a sua volta si è accordata col governo USA (e già aveva venduto Fiat Avio, costruttrice dei propulsori per i razzi Ariane, a un fondo d’investimenti americano).

Le svendite, delocalizzazioni e chiusure di aziende hanno disastrato il paese: bisogna fermarle; è ora impellente affrontare la “questione italiana”.

Il centrosinistra è filoamericano (ricordiamo le posizioni sulla guerra in Afghanistan, Jugoslavia, Iraq e ora Libia) e gli attuali governanti non hanno saputo porre i problemi reali, non sono all’altezza di dirigere il paese (per di più Berlusconi è sotto ricatto anche per i suoi rapporti con Gheddafi e Putin, vedi rottura con Fini, problemi giudiziari, critiche della stampa internazionale) perché non hanno o non vogliono avere una visione che vada oltre problemi di corto respiro.

Si tratta invece di capire come evolverà il mondo: bisogna ormai ragionare in termini di multipolarismo, che favorisca la crescita di ogni singola realtà, bisogna creare nel paese una linea economica e una struttura politica che si inseriscano attivamente all’interno delle strutture europee, lavorando nella prospettiva di un’Europa indipendente dalla superpotenza USA, con una politica estera propria e in cui ogni paese possa identificarsi.

Le basi italiane non devono essere concesse per azioni di guerra, il nostro paese non deve essere coinvolto in avventure militari.

Gli USA devono lasciare il Mediterraneo ai popoli che lo abitano.

Dobbiamo dare aiuto concreto ai paesi arabi del Mediterraneo per costruire il loro sviluppo economico e le loro infrastrutture, sulla base di rapporti paritari.

Patrizia Aldrovandi e tre giornalisti della Nuova Ferrara rinviati a giudizio per diffamazione

Per aver detto e scritto che il fascicolo del primo pubblico ministero Maria Emanuela Guerra era  praticamente vuoto a 4 mesi dalla morte di Federico Aldrovandi, sono stati rinviati a giudizio per diffamazione dal tribunale di Mantova, la mamma del ragazzo, il direttore e due giornalisti della Nuova Ferrara. Il processo è fissato al 1 marzo 2012. Il magistrato ha chiesto un risarcimento di un milione e mezzo di euro.
"Confesso che ho pianto di rabbia e dispiacere, confessa Patrizia, non me l'aspettavo. In questa battaglia per la verità sulla morte di Federico, che ha avuto un primo e parziale riconoscimento, abbiamo sempre usato l'arma della civiltà e del rispetto. Ora mi vogliono processare per aver detto semplicemente quello che è agli atti del processo e nelle motivazioni della sentenza di primo grado del giudice Francesco Maria Caruso".
Insieme alla mamma di Federico sono stati rinviati a giudizio il direttore della Nuova Ferrara Paolo Boldrini e due redattori del quotidiano ferrarese. Agli atti figurano praticamente tutti gli articoli pubblicati dal quotidiano, che fanno riferimento al ruolo del magistrato nella vicenda che il 25 settembre 2005 portò alla morte del diciottenne Federico, durante un controllo di Polizia. Quattro agenti della questura di Ferrara sono stati condannati a 3 anni e sei mesi per eccesso in omicidio colposo. Come fonte di prova della diffamazione, acquisita nel processo, anche una pagina che riporta le fotografie, separate e distinte, di Patrizia Aldrovandi e di Maria Emanuela Guerra. "La madre di Federico, sostengono gli avvocati del magistrato, sembra guardare con tono minaccioso la nostra assistita, gettando in questo modo discredito sul suo operato".
"Mi dispiace per Patrizia, commenta il direttore della Nuova Ferrara Paolo Boldrini, ha già perso un figlio, ha affrontato un lungo e doloroso percorso giudiziario e ora da vittima dello Stato diventa addirittura presunta autrice di un reato contro lo Stato".
"Tra un anno, attacca l'avvocato Fabio Anselmo che difende la mamma di Federico, trasformeremo il processo a nostro carico in un processo contro il sostituto Maria Emanuela Guerra, porteremo le prove del suo operato".
"Se ci dovesse essere, a questo punto non accetterò più nessuna remissione della querela, spiega Patrizia, non abbiamo paura della verità. L'unica condizione è che la signora Guerra chieda scusa a tutti".
Il sostituto procuratore Maria Emanuela Guerra il 14 marzo 2006 lasciò le indagini , le subentrò Nicola Proto. Il 12 dicembre 2009 il figlio del primo magistrato fu condannato per spaccio di droga a due anni e quattro mesi in un'inchiesta denominata " Bad Boys". Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Ferrara, scattarono poche settimane prima del 25 settembre 2005. La Nuova Ferrara è stata querelata anche per aver scritto questo.

Avete ucciso Vittorio Arrigoni, ma noi resteremo umani!

Avete ucciso Vittorio Arrigoni, ma non ucciderete mai la speranza che in Palestina qualcosa possa cambiare. Vittorio era la nostra voce a Gaza, che parlava sotto le bombe, raccontando quello che vedeva con ironia e umanità, senza filtri. Una voce scomoda per i signori della guerra, di tutte le fazioni, sempre dalla parte degli ultimi e sempre a favore di una pace giusta. Discutevamo spesso con lui sulla sua pagina, che era il primo e più affidabile riferimento ogni volta che la tragedia della guerra permanente riportava la Palestina all'attenzione del mondo. Vittorio è morto nella sua Gaza, una prigione a cielo aperto dove vive in condizioni di apartheid un milione e mezzo di palestinesi. Non sappiamo se a ucciderlo siano stati davvero i salafiti della fantomatica e finora sconosciuta «Brigata Mohammed Bin Moslama», o se Vittorio sia rimasto vittima di un'operazione decisa in qualche stanza dell'intelligence israeliana. Quello che invece sappiamo senza alcun dubbio è che la sua morte priva la pace di uno dei figli migliori e che da oggi la Palestina sarà ancora più sola. Per questo, stringendolo forte in un abbraccio ideale, rilanciamo con rabbia e dolore il suo "Restiamo umani". Ciao Vittorio, uomo, compagno, fratello. Oggi piangiamo la tua morte, ma nessuno trascuri le lacrime che ci bruciano il viso, nessuno sottovaluti la nostra rabbia.

domenica 10 aprile 2011

Due donne trucidate dalle forze di occupazione israeliane a Gaza l'8 aprile


L'altroieri ero a casa di un'amica ad AbuSan, e quando mi sono svegliata mi ha spiegato che le forze di occupazione sioniste avevano ammazzato 2 ragazzi all'ingresso del villaggio di Khuza'a. Giusto dove arriva la strada principale per entrare nel villaggio.

Verso mezzogiorno ero ancora a casa, perchè era Venerdì, ed il venerdì qui non si va a visitare nessuno. Si sono sentiti colpi di artiglieria israeliani dal confine. Mi hanno spiegato che venivano dal villaggio vicino, Farahin, e non erano carri armati perchè i carri armati non lanciano sufficientemente lontano, erano altri tipi di missili, fatti per arrivare più distante. Quattro boom in meno di 5 minuti. Era un momento in cui dovevo uscire per restituire una macchina fotografica ad un'altra attivista dell'ISM, e dopo poco sono uscita comunque. Per strada c'erano solo ambulanze, una gran folla di uomini era radunata davanti alla moschea. Non sapevo cosa stesse succedendo, ero incerta se andare davvero dove dovevo andare, magari poi non c'erano più mezzi per tornare indietro, magari valeva la pena andare a vedere cosa stesse succedendo. Avevo sentito passando in mezzo alla gente la parola “shuhadiin” “due martiri”, ma non sapevo se si riferissero ai 2 ragazzi ammazzati la mattina all'ingresso del villaggio o a qualcos'altro. Camminavo avanti ed indietro sul marciapiede incerta sul da farsi, magari non era successo nulla, magari la gente si era radunata davanti la moschea perché era appena finita la preghiera del mezzogiorno e le ambulanze erano in giro perché ancora non si sapeva dove erano caduti i missili... Ad un certo punto mi raggiunge un amico in bicicletta, che mi chiede cosa faccio li e perché non vado dove devo andare, io gli chiedo cosa è successo e lui mi risponde “niente niente, adesso vai dove devi andare”. E lo sapeva, lui, cosa era successo. Due donne sono state trucidate di fronte a casa loro, la madre ed una figlia, la più giovane aveva 19 anni e si sarebbe sposata di li ad un mese; altre 2 sorelle ferite, una grave. Lui lo sapeva perché erano sue parenti, perché di sicuro è uscito di casa dopo che gli avevano telefonato comunicando la morte. Però a me non lo ha detto, me lo ha spiegato solo il giorno dopo, al momento mi ha detto che non era successo niente e di andare via, voleva tenermi lontano dalla morte e dalla distruzione, era un gesto gentile (dove trovi la forza questa gente di avere gesti gentili nelle situazioni peggiori, ancora non lo ho capito). E io il giorno dopo non gli ho chiesto cosa ha visto, non ne ho avuta la forza. Lui mi ha raccontato che una delle due sorelle ferite all'ospedale ha ripreso coscienza, ed ha domandato della madre, le hanno detto che era morta, poi ha domandato della sorella, e le hanno detto che era morta. L'altra sorella ferita sta lottando per la vita.




Il giorno dell'assassinio sono andata a fare visita alla famiglia per portare condoglianze. Qui ci sono tre giorni disponibili per portare le condoglianze, e le donne sono separate dagli uomini. Nella stanza delle donne c'erano due sorelle della vittima. Avevano lo sguardo vuoto di chi ha già pianto tutte le lacrime possibili. Di chi non trova giustificazione, ammazzata con un moderno missile creato per uccidere, solo per essere nata nel posto sbagliato, solo perché “palestinese di Gaza”. Scrivo creato per uccidere perché all'esplosione il missile ha scaraventato attorno a se centinaia di proiettili rotanti, e sono stati questo ultimi a crivellare i corpi delle donne, oltre che i muri e le porte della povera abitazione, le piante e gli alberi vicini. Ci hanno guidato sulla scena dell'assassinio 2 bambini: ci hanno mostrato le piante maciullate, i muri crivellati, la porta piena di buchi, le sedie intrise di sangue. E questo oggetto, un missile in grado di lanciare centinaia di proiettili, è un'arma creata per ammazzare il maggior numero possibile di persone, per cancellare quante più vite umane possibile, non c'è alcuna giustificazione per questo, non si può in nessun modo chiamare difesa, non è creato ne' pensato per uccidere una singola persona che minaccia l'incolumità di qualcun altro, è fatto per ammazzare quante più persone possibile: non è possibile controllare dove finiscano i proiettili rotanti, comporta comunque un'altissima probabilità di uccidere persone innocenti. Ed è stato usato di proposito contro civili, da parte di quello che chiamano “l'esercito più morale del mondo”.

Al ritorno una donna era infuriata: “guarda quella che loro chiamano democrazia: noi la paghiamo con i nostri figli e figlie, con la nostra vita, con le nostre case, con la nostra terra, con i nostri ulivi, con il nostro futuro, con i nostri sogni.”

Questo non è l'unico e probabilmente nemmeno il peggiore delle aggressioni sioniste a Gaza negli ultimi giorni, da giovedì pomeriggio si sono contate 18 vittime, ed altre due persone stanno lottando per la vita.
Grazie a Silvia.

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