lunedì 25 ottobre 2010

Ancona: Detenuto di 22 anni ritrovato morto nel carcere

Alberto Grande, 22 anni, è stato ritrovato morto ieri mattina nella sua cella del carcere di Montacuto ad Ancona.
Si tratta della terza vittima dentro l’istituto di pena anconetano dall’inizio dell’anno: tre detenuti giovani e non affetti da particolari patologie, le cui morti appaiono quantomeno “sospette”.
Il primo caso risale allo scorso mese di maggio (non conosciamo la data precisa), quando un 27enne marocchino fu ritrovato senza vita steso sul pavimento della cella. La notizia non trapela fino ad agosto quando, in occasione dell’iniziativa “Una cella in piazza”, la responsabile del Prap regionale, Manuela Ceresani, dichiara alla stampa: “Due soli i suicidi registrati da inizio anno (nelle carceri delle Marche - n.d.r.), uno ad Ancona (Montacuto) e il secondo a Fermo”. (Il Messaggero - Cronaca di Ancona, 21 agosto 2010). Ma il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, che ha ricevuto dal Prap delle Marche la comunicazione del decesso (suicidio?), classifica l’episodio come “morte per cause naturali”.
Il pomeriggio del 25 settembre Ajoub Ghaz, detenuto tunisino di 26 anni, viene ritrovato morto nella sua cella. Dai primi rilievi sembra che abbia ingerito un mix letale di farmaci. La procura di Ancona dispone l’autopsia. “Non si esclude la tesi di un suicidio” (Resto del Carlino - Cronaca di Ancona, 26 settembre 2010)
Il 27 settembre Eugenio Sarno, Segretario generale del sindacato Uil-Pa Penitenziari, dichiara all’Adnkronos: “Il suicidio del 26enne detenuto tunisino nel carcere di Ancona, che si è verificato sabato scorso, fa salire l'asticella delle autosoppressioni dietro le sbarre, nel 2010, a 50 morti".
Il 13 ottobre il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria diffonde le statistiche aggiornate riguardanti i suicidi in carcere: ad Ancona non risulta avvenuto nessun suicidio, mentre risulta quello avvenuto a Fermo (Ap), come dichiarato dalla responsabile del Prap Marche in agosto. Si tratta di Vincenzo Balsamo, che si è impiccato il 23 febbraio.
Ieri, per la terza volta dall’inizio dell’anno, nel carcere di Montacuto un giovane detenuto muore per cause apparentemente misteriose. Il Resto del Carlino - Cronaca di Ancona, oggi scrive: “Ennesimo giallo nel carcere di Montacuto. La vittima è un ragazzo di origini napoletane, Alberto Grande, e il rinvenimento del suo cadavere è avvenuto nella tarda mattinata di ieri”. “Quando un compagno di cella ha dato l’allarme sul posto sono accorsi medico e infermiere del carcere che hanno tentato di rianimare il giovane, purtroppo invano. Grande non si è mai ripreso e una volta constatato il decesso la salma è stata trasferita all’istituto di medicina legale dell’ospedale di Torrette. Tutte in piedi le ipotesi che hanno provocato l’arresto cardiocircolatorio del ventiduenne. Gli inquirenti e le autorità carcerarie non escludono che si sia potuto trattare di un gesto volontario, magari a seguito dell’assunzione di farmaci. La cosa certa al momento è che sul corpo del giovane non sono stati trovati segni di morte violenta, ma è chiaro che soltanto l’autopsia, disposta dalla procura, chiarirà ogni dubbio”.
Alberto Grande si è suicidato, assumendo intenzionalmente un mix letale di farmaci, o delle droghe?
Oppure l’arresto cardiocircolatorio che lo ha ucciso è da attribuire a “cause naturali”?
Per noi rimane il fatto che un ragazzo di 22 anni, entrato sano in carcere lo scorso luglio, in carcere ci è morto.

fonte: Ristretti Orizzonti

A Terzigno usati i gas Cs come al G8 di genova!

Come dimostra la foto di uno dei tantissimi bossoli di lacrimogeno lanciati nelle strade di Terzigno e soprattutto di Boscoreale in questi giorni, le forze dell'ordine stanno usando abbondantemente i famigerati lacrimogeni a base di Cs, usati con grande scandalo durante il G8 di Genova, vietati dalla convenzione di GInevra per uso militare perchè il Cs è considerato un gas venefico di cui ancora non si conoscono pienamente gli effetti sulla salute a lungo andare!
Ricordiamo poi che nei nostri comuni in queste serate se ne fa un uso abbondante in contesti urbani chiusi e pieni di case, con un evidente effetto di concentrazione.

Leggi gli articoli pubblicati su Carta sul candelotto usato al G8 di Genovahttp://www.frillieditori.com/books/cartacs.htm

Comunicato stampa di VivaPalestina-Italia

Il convoglio VivaPalestina5, partito il 18 settembre da Londra, e giunto, attraverso Francia, Italia, Grecia, Turchia, a Lattakia (Siria) il 2 ottobre, unendosi con due convogli partiti dal Qatar e da Casablanca, ha atteso 17 giorni in quel porto il visto di entrata in Egitto, via mare. Il convoglio comprende 380 attivisti di oltre 30 paesi, 145 veicoli con aiuti umanitari, essenzialmente medicinali, protesi e materiale didattico, (la delegazione italiana è composta da 14 attivisti di cui 5 dal Piemonte, con aiuti per 50 mila euro, una ambulanza e un´auto medica).
Dopo lunghe trattative e imposizioni egiziane (dal divieto a George Galloway, leader di VivaPalestina, di entrare in Egitto, al blocco del trasporto di cemento, al re-imballaggio su pallets degli aiuti, al rifiuto di entrata per 17 degli attivisti, considerati persone non gradite), ieri sera la nave cargo, con bandiera maltese, è salpata con i veicoli, il carico e solo 30 persone. Tutti gli altri, se non ci saranno ulteriori imposizioni, partiranno con voli charters per El Arish (Egitto) nel pomeriggio.
E´ ormai evidente che dietro questo continuo succedersi di rifiuti all'entrata in Egitto e poi a Gaza del convoglio internazionale c´è l´intervento di Israele di cui il governo egiziano si sta rendendo complice e contro cui i paesi arabi "moderati" fanno molto poco.
Il governo israeliano vuole interrompere questa crescente catena di iniziative umanitarie e politiche (convogli e flottiglie) che stanno denunciando in modo ormai continuativo le politiche israeliane di assedio e blocco quasi totale della popolazione della Striscia di Gaza.Il governo egiziano si presta a questo gioco cercando di logorare la resistenza e la compattezza dei partecipanti al convoglio.
Riteniamo vergognoso che si impedisca l´arrivo di aiuti umanitari ad una popolazione già duramente provata, come quella di Gaza, sotto assedio dal 2006.
Riteniamo intollerabile che l´Egitto impedisca l´esercizio di uno dei diritti fondamentali che le convenzioni internazionali garantiscono a tutti i cittadini, una libera circolazione delle persone attraverso le frontiere di tutti i paesi del mondo. La manovra egiziana appare anche poco accorta: perché una buona parte della sua economia si regge proprio sulla libera circolazione di tutti quei cittadini, moltissimi sono gli italiani, che ogni anno visitano l´Egitto e le sue note località archeologiche.
Possono circolare liberamente i turisti che spendono soldi nei vari tour organizzati, ma sotto controllo, non possono circolare gli attivisti umanitari. Senza parlare degli immigrati clandestini che in Egitto vengono imprigionati se non spesso uccisi.
Turisti sì, attivisti no?
Riteniamo immorale come cittadini `di coscienza´ che giornali e tv non abbiano dato nessuna notizia di questi eventi. Che nessuna voce di intellettuali o accademici, si sia alzata sulla perdurante agonia della popolazione di Gaza.
Numerose iniziative si stanno ora organizzando nel paese per sostenere la missione del Viva Palestina 5, rivolgendosi al ministero degli esteri, alle ambasciate, a parlamentari a sindacati e a tutti i cittadini perché sia garantito il suo compimento.
Domani a Roma si terrà un presidio di solidarietà di fronte all'Ambasciata egiziana.
A Torino si terrà un presidio venerdì 22 ottobre, dalle ore 17, davanti alla RAI in via Verdi per dare maggiori informazioni sul convoglio.


www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 20-10-10 - n. 336

martedì 19 ottobre 2010

Comunicato stampa sui fatti di Terzigno

Comunicato stampa 19/10/2010
Ancora una volta la prepotenza dello stato autoritario mette a segno l’ennesimo vile attacco alle popolazioni vesuviane che rivendicano il loro diritto ad esistere!!!!
Gli scontri sono iniziati nella notte verso le 3 a Terzigno dove un centinaio di manifestanti sono stati sgomberati dalla zona presidiata dalle forze dell’ordine in tenuta anti sommossa attraverso il lancio di lacrimogeni. La protesta nelle stesse ore si sposta nei pressi della ss 268 uno dei punti di sbocco degli auto compattatori diretti alla discarica in cui si registra l’incendio di un auto compattatore. Durante gli scontri notturni sono state fermate 5 persone e tuttora non ancora rilasciate.
In mattinata la mattanza continua, verso le ore 9.30 alla rotonda di Boscoreale un contingente di circa 250 poliziotti  ha caricato un centinaio di manifestanti in maggioranza donne sedute pacificamente per terra. Durante gli scontri un ragazzo è stato letteralmente prelevato dietro il cordone della polizia e selvaggiamente picchiato, in tutto si registrano 5 fermi tutti successivamente rilasciati.
Alle ore 10.30 a Terzigno ci sono state altre cariche della polizia contro i manifestanti che si opponevano al passaggio degli auto compattatori.
In queste ultime ore la rabbia dei cittadini di Boscoreale e Terzigno è sfociata nell’occupazione dei rispettivi comuni.
Questa è l’ennesima prova della sconfitta dello stato il quale solo attraverso  l’uso indiscriminato della forza spera di risolvere il problema dei rifiuti in  Campania!!!


Movimento Difesa del Territorio Area Vesuviana

lunedì 18 ottobre 2010

Casa Pound e Blocco studentesco non sonoformazioni antsistema fanno parte di esso!

"Basta con le mistificazioni della sinistra : Casa Pound e Blocco studentesco non sonoformazioni anti-sistema, ma parte integrante del progetto di Berlusconi"
(RENATA POLVERINI)


"Rivendico il merito personale e della giunta che presiedo di aver da tempo costruito un rapporto stretto con questi ragazzi, finanziando le loro sedi e le loro iniziative."
(GIANNI ALEMANNO)


"Risulta quanto meno astrusa la presunta vocazione ribelle di questo gruppo che in realtà gode di finanziamenti e prebende da parte di quello stesso potere, locale e nazionale, che dice di voler contrastare"
(GIANFRANCO FINI)


CONDIVIDERE - DIFFONDERE - INFORMARE

sabato 16 ottobre 2010

Salvatore è libero _comunicato del Cau_

“Carenza di prove”, “assoluta contraddittorietà da parte della pubblica accusa”, “dichiarazioni degli ispettori della DIGOS non riscontrabili nei fatti”, così oggi si è pronunciato il giudice, facendo cadere le accuse montate ad arte dalla Polizia contro Salvatore, il precario della ricerca fermato al termine del corteo di ieri.

Un corteo partecipato, pacifico ma determinato che ha portato in piazza migliaia di studenti medi e universitari, precari Cobas-scuola e disoccupati contro la Riforma Gelmini, i tagli al mondo della formazione e la sospensione delle tariffe agevolate di UNICO Campania per studenti e fasce deboli della società.

L’operato della polizia nella giornata di ieri è stato un chiaro monito per tutti coloro che in tante città italiane stanno animando la protesta studentesca: da Napoli a Palermo, da Roma a Torino chi lotta deve sapere che può essere fermato durante un corteo senza motivo, picchiato a sangue, persino trascinato in Questura, trattenuto di notte e processato per direttissima con accuse che spesso neanche reggono di fronte ad un magistrato. Tentativo fallito.
Oggi 16 ottobre, più di 200 tra studenti, precari e lavoratori si sono ritrovati sotto il Palazzo di Giustizia di Napoli per chiedere la liberazione di Salvatore.
Ora che l’abbiamo ottenuta, lanciamo un appello a tutti coloro che vogliono rilanciare nella nostra città la lotta contro Riforma di scuola e Università per la costruzione di una mobilitazione che riporti in piazza studenti e lavoratori mercoledì 20 ottobre.

I diritti non si arrestano!
The future is unwritten, il futuro è ancora da scrivere…

Solidarietà al compagno Salvatore

I fatti del 15 ottobre, che hanno portato all’arresto di Salvatore, rappresentano l’ultimo atto in ordine di tempo della strategia repressiva posta in essere dalle forze di potere, per contrastare ogni minima espressione di dissenso sociale che metta in discussione l’ordine di cose attuale.

La negligenza, l’indifferenza, l’arroganza e la latitanza delle istituzioni politiche sta determinando un vuoto istituzionale che di fatto trasforma le varie problematiche e le centinaia di vertenze sociali in un mero problema di ordine pubblico.

Tutto ciò non fa che alzare il livello di tensione, che potrebbe, poi, legittimare azioni autoritarie in grado di minacciare i più elementari diritti, che già vengono calpestati.

Di fronte a tutto questo, continueremo a lottare perché non possiamo voltare la faccia davanti alle ingiustizie quotidiane che la nostra gente vive sulla propria pelle.

La repressione non fermerà la nostra lotta.

Tutta la nostra solidarietà e il nostro affetto al compagno Salvatore e a tutti i movimenti che sono vittima della repressione!

Rete Studenti Salerno

C.S.A. Asilo Politico

Vile atto repressivo a Napoli

comunicati stampa sui fatti di Napoli(15 ottobre): il corteo cobas scuola contro tagli  e riforma gelmini e l'arresto assurdo e immotivato di un precario della ricerca.


Oggi 15 ottobre 2010, a Napoli, in varie migliaia hanno manifestato con un corteo regionale in difesa della scuola pubblica: docenti, precari scuola, precari della ricerca, personale ATA , studenti medi e universitari, genitori.
Erano presenti delegazioni di lavoratori di aziende campane in lotta e di pensionati dell’AL.P.I.
Il corteo, attraversato dagli slogan contro la Germini di cui si chiedevano le dimissioni, esprimeva la gioia della scadenza riuscita per la forte partecipazione al corteo, tanto che si chiedeva ai responsabili Digos di poter prolungare il corteo fino alla prefettura. Cosa che, purtroppo, veniva rifiutata.
Pertanto il corteo giungeva correttamente alla conclusione in Piazza Matteotti.
Dopo la conclusione un’ ampia delegazione di precari scuola e ricerca, insieme a gruppi di studenti, imboccavano il percorso pedonale di via Cervantes fermandosi, però, dubbiosi dopo meno di dieci metri, anche perché superati velocemente da circa sette, otto agenti in borghese della Digos che correvano verso un gruppo di studenti che si trovavano al lato del corteo improvvisato e fermo, colpendo violentemente quegli studenti con pugni, tanto che sono stati visti alcuni giovani con sangue sul volto e ragazzine terrorizzate. Sembravano cercare alcuni ragazzi in particolare?!!!
A diversi metri di distanza, immotivatamente veniva fermato un precario della ricerca, Salvatore Prinzi, che non faceva neanche parte del corteo abbozzato.
Il precario veniva tenuto per ore in questura senza nessuna informazione alla famiglia e  ai compagni, rimasti in attesa in presidio improvvisato. Persino gli avvocati non sono stati ammessi o informati fino alle 17,00.
Successivamente, abbiamo saputo che il giovane è stato incriminato per resistenza, oltraggio e lesioni perchè un agente avrebbe dichiarato di essere caduto durante il fermo ferendosi e questo sarebbe stato determinato dal precario che si sarebbe divincolato.
Questi eventi sono gravissimi perché rappresentano una novità nelle logiche che hanno fino a ieri guidato chi gestiva l’ordine pubblico.
Non possiamo che ritenere che questi eventi siano dovuti ad una volontà di criminalizzare le lotte sociali.
Chi perde il lavoro, o il diritto allo studio o il futuro, non può più neanche protestare, in una situazione dove anche i commercianti di quel tratto di via Cervantes, che hanno assistito alla scena,  parlano di un clima di minacce e di timore determinati dalla polizia.
Domani mattina alle nove saremo tutti al tribunale in presidio.



CONFEDERAZIONE COBAS

---------------------------------------------
comunicato CAU

Venerdì 15 ottobre, al termine del corteo di studenti medi e universitari, insieme ai precari della scuola e i disoccupati, in piazza per protestare contro la riforma di scuola ed università, si è verificata un’assurda e inspiegabile caccia all’uomo da parte di polizia e agenti della DIGOS. Con violenza gli agenti hanno picchiato alcuni studenti e tratto un precario della ricerca in stato di fermo.
Dopo 5 ore di estenuante attesa, senza la possibilità per gli avvocati di salire per assistere il ragazzo, alle ore 17:20 il fermo è stato commutato in stato di arresto, con l'accusa di reati completamente inventati (oltraggio a pubblico ufficiale, resistenza...), e domani mattina alle ore 8:30 si terrà il processo per direttissima.

Da parte delle forze dell'ordine nessun contuso, come invece su molti giornali viene scritto. Resta solo la violenza con la quale oggi le forze dell’ordine, hanno deciso che è un crimine manifestare per i propri diritti, dallo studio, al lavoro, ai trasporti.

Chi in questa città è impegnato nelle lotte sociali, dal lavoro alla scuola, dall'università ai territori, non si tirerà però indietro!


Se l'autunno si preannunciava caldo, adesso è bollente e ci spetta!



...the future is unwritten...

-------------------------------------------------------------------
COMUNICATI DI SOLIDARIETA'

Venerdì 15 ottobre a Napoli abbiamo assistito all'ennesimo atto di repressione. Studenti medi e universitari, precari della scuola e disoccupati sono scesi in piazza in occasione del corteo indetto dai COBAS Scuola per protestare contro i tagli imposti dalla manovra finanziaria. Il corteo si è svolto regolarmente fino all'altezza di piazza Matteotti dove ha cercato di svoltare verso la prefettura. In quel momento la DIGOS ha improvvisamente cercato di fermare alcuni manifestanti, dividendo in due spezzoni il corteo. Dopo qualche ora di fermo è stato convalidato l'arresto per un compagno, che ora si trova in questura in attesa del processo per direttissima di domani mattina.

Le montature mass-mediatiche dell'ultima settimana sulla questione dei presunti "attacchi" alle sedi della CISL, la sempre più forte repressione contro i movimenti e le dichiarazioni provocatorie di Maroni sulla manifestazione di sabato indetta dalla FIOM, sono il chiaro sintomo che lo Stato sta mettendo in atto una nuova strategia della tensione, che cerca di schiacciare con violenza e in maniera preventiva qualsiasi forma di dissenso.
L'arresto di oggi ha il chiaro intento di alzare la tensione per la manifestazione dei metalmeccanici di domani.
L'arresto di oggi è chiaramente politico!

Sabato 16 ottobre alle ore 8:30 PIAZZALE CENNI, ADIACENTE CARCERE DI POGGIOREALE ci sarà un presidio in concomitanza con il processo per direttissima in cui è coinvolto il compagno arrestato. Invitiamo tutti i compagni a parteciparvi e manifestare solidarietà.

La repressione non ci fermerà!
Solidarietà al compagno arrestato

Iskra Napoli
Collettivo Baruda
Unità Comunista
Collettivo Comunista Costiera Amalfitana
Assemblea Campana per la Costituente Comunista

-----
La criminalizzazione e repressione poliziesca dei movimenti dei precari, degli studenti, dei disoccupati, dei difensori del territorio e di tutte le componenti di classe che rifiutano la logica istituzionale del disciplinamento e della compatibilità, è la risposta -consueta- dello stato demokratico/fascista intento a ridurre al silenzio qualsiasi tentativo di generalizzazione del conflitto.Tutto questo per imporre uno sfruttamento feroce e senza precedenti della maggior parte della società da parte di una minoranza senza vergogna, corrispondente all’elite economica.


Libertà per Salvatore.

Per una società senza galere, frontiere e sfruttamento.

Movimento Difesa del Territorio Area Vesuviana
Collettivo Area Vesuviana
------------------------------------------------------

massima solidarieta' a Salvatore e a tuti i compagni e movimenti vittime della repressione!!!

non un passo indietro!!!!

Rete studenti Salerno
C.S.A. Asilo Politico 

venerdì 15 ottobre 2010

Repressione a Messina comunicato stampa Rete No Ponte‏

Esprimiamo piena solidarietà e vicinanza agli anarchici messinesi che,a pochi giorni dal corteo No Ponte del 2 ottobre a Messina, sono statidenunciati e minacciati dalle forze dell'ordine. Il semplice attacchinaggio di volantini che inneggiavano alla Resistenza popolare contro chi vuole distruggere l'area dello Stretto di Messina ha portato a perquisizioni e a denunce per istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, imbrattamento, resistenza a pubblico ufficiale.

La sproporzione tra l'azione e la reazione non ci sorprende, e si innesta in un'ondata intimidatoria e repressiva che, dalla fase di preparazione della manifestazione villese del 19 dicembre scorso, monta sempre più, arrivando perfino alla pretesa di identificare chi semplicemente partecipa alle riunioni della Rete No Ponte.

Queste denunce seguono quelle comminate a 25 tra anarchici e antagonisti per i blocchi ferroviari della manifestazione dei precari della scuola del 12 settembre scorso, sempre a Messina. L'intento è chiaro e segue un cliché vecchio e stantio: criminalizzare le aree più radicali del movimento per creare spaccature, divisioni, e contemporaneamente intimidire quelle più moderate, inculcando nella popolazione la convinzione che sia impossibile, oltreché inopportuno, opporsi alle imposizioni.

Siamo vicini e solidali con le vittime di queste azioni repressive, ben consapevoli che attacchi come questi non riusciranno a fermare chi combatte per la difesa del proprio territorio e dei beni comuni.

Continueremo a lottare per difendere i nostri territori da ogni forma di militarizzazione e tentativo di speculazione sulla pelle di chi li vive e giorno dopo giorno lotta per difenderli.

Fermiamo i cantieri del Ponte!

Lottiamo per le vere priorità!

RETE NO PONTE

lunedì 11 ottobre 2010

poliziotti greci condannati

Da la stampa.it

Alexandros Grigoropoulos fu assassinato nel 2008: la sua morte scatenò due mesi di proteste in tutto il Paese

Un tribunale greco ha condannato due poliziotti per l’uccisione del quindicenne Alexandros Grigoropoulos nel centro di Atene nel 2008, che provocò circa due settimane di proteste e disordini in tutto il Paese. Il tribunale ha riconosciuto l’agente Epaminondas Korkoneas colpevole di omicidio, e Vassilis Saraliotis complice. «Tutti siamo vittime e io muoio un giorno dopo l’altro», ha detto Korkoneas al termine del processo. Ora rischia l'ergastolo. I dettagli della sentenza sono attesi entro oggi.

Korkoneas aveva sostenuto di aver sparato in aria per avvertimento e che la morte del giovane sarebbe stata provocata dal rimbalzo di un proiettile. Ma il medico legale, pur rivelando che il colpo di pistola al torace che provocò la morte raggiunse la vittima di rimbalzo, per aver colpito una colonnina spartitraffico, ha sostenuto che l’arma era puntata ad altezza d’uomo, come affermato da alcuni testimoni, che hanno escluso anche qualsiasi provocazione da parte del giovane studente. Il processo si è tenuto ad Amfissa, circa 200 chilometri a ovest di Atene, per il timore di nuovi disordini.

Rivolta degli immigrati, chiuso aeroporto di Cagliari

L’aeroporto è stato chiuso al traffico per una rivolta scoppiata nel Centro di prima accoglienza realizzato nell’area militare dello scalo

L’aeroporto “Mario Mameli” di Elmas (Cagliari) è stato chiuso al traffico per una rivolta scoppiata nel Centro di prima accoglienza realizzato nell’area militare dello scalo aereo. Gli immigrati clandestini, un centinaio, hanno preso il controllo della palazzina e alcune decine di nordafricani hanno raggiunto la pista. Agenti della Polaria, supportati da altro personale mandato dalla Questura di Cagliari, stanno effettuando un rastrellamento della pista dell’aeroporto e di tutta l’area adiacente, dove è scattato lo stato di massima allerta per impedire che gli immigrati possano raggiungere gli aerei in sosta e la zona partenze e arrivi dello scalo.

La palazzina nell’aeroporto militare, dove è stato realizzato il Centro di prima accoglienza, a circa 150 metri di distanza dalla torre di controllo, è stata circondata dalle forze dell’ordine. La situazione è molto tesa.

Scuola: una 'Spa' per la gestione

(ANSA) - ROMA, 10 OTT - Il governo sta studiando la costituzione di una societa' per azioni cui affidare la proprieta' degli edifici scolastici. Alla S.p.A andrebbe anche la competenza per la loro manutenzione e messa in sicurezza. Lo scrive il Sole 24 Ore affermando che in questo modo ci sarebbe un miglior utilizzo dei fondi di spesa mentre il rendimento sarebbe garantito dall'incasso di canoni per la locazione e servizi pagati dagli enti locali che cederebbero la proprieta'.

domenica 10 ottobre 2010

Gay Pride, scontri a Belgrado l'estrema destra contro il corteo

BELGRADO - Centinaia di persone hanno partecipato pacificamente questa mattina al Gay Pride a Belgrado mentre, a distanza dal corteo, altrettanti estremisti di destra che si opponevano alla parata si sono violentemente scontrati con la polizia che difendeva i manifestanti. Armati di mattoni, bottiglie e fumogeni, gruppi di ultranazionalisti si sono scontrati con la polizia prima, durante e dopo il breve corteo cercando a più riprese di forzare i cordoni degli agenti per impedirne lo svolgimento. Decine le persone arrestate.

Tra i 5mila e i 6mila agenti, parte dei quali a cavallo, hanno garantito lo svolgimento del Gay Pride, mentre in cielo volavano gli elicotteri. I poliziotti in assetto antisommossa hanno completamente isolato le strade dove passava la marcia dell'orgoglio omoesessuale che si è svolta senza incidenti. Vi hanno partecipato centinaia di gay e lesbiche, leader politici serbi ed esponenti stranieri.

Poco distante i teppisti, al grido di "morte ai gay", "la caccia è cominciata", hanno affrontato il massiccio schieramento di agenti lanciando sassi e altri oggetti pesanti. La polizia che ha presidiato in forze l'intero centro della capitale ha fatto uso di gas lacrimogeni e manganelli per respingere i violenti. Gli scontri hanno avuto luogo in varie zone, a Terazje, Slavja, intorno alla Cattedrale di San Sava e davanti al Parlamento dove un gruppo di violenti si è arrampicato sulle impalcature che avvolgono l'edificio in restauro, e due di loro sono riusciti a penetrare all'interno. Gli agenti sono prontamente intervenuti e hanno arrestato in tutto otto facinorosi. Gli hooligan, che in mattinata avevano provocato un principio di incendio alla sede del Partito democratico del presidente Borids Tadic, hanno attaccato anche la sede del Partito socialista serbo (Sps), presieduto dal ministro dell'interno Ivica Dacic. Con un fitto lancio di sassi hanno infranto finestre e danneggiato i muri dell'edificio.

Ieri nel centro della capitale serba decine di migliaia di persone avevano già partecipato alla "Passeggiata della famiglia" per chiedere pacificamente l'annullamento della manifestazione. Oggi gruppi di preti ortodossi e credenti con icone e stendardi religiosi hanno affrontato i cordoni di agenti cantando preghiere "per salvare la Serbia". "Siamo qui per dire a tutti che quelli sono malati e che solo Dio li può salvare", ha detto un prete con riferimento agli omosessuali, radunati nel Parco del Maneggio.

La manifestazione si è trasformata in un "test di democrazia" agli occhi dell'Unione europea: l'ultima sfilata dell'orgoglio omosessuale a Belgrado, nel 2001, finì nel sangue sempre a causa delle proteste dei gruppi di estrema destra e lo scorso anno la manifestazione fu annullata per le minacce di gruppi violenti. La marcia dimostra che "la Serbia è una terra di gente libera" ha commentato il ministro per le Minoranze e i diritti umani, Svetozar Ciplic, che ha partecipato al corteo insieme al capo della delegazione Ue in Serbia, Vincente Degert.

Palermo: aggressioni della polizia davanti al liceo Umberto I‏

Ieri si è consumato l’ennesimo atto dell’ondata repressiva che negli ultimi mesi ha colpito studenti, lavoratori e disoccupati.

Esprimiamo solidarietà al gruppo di studenti e studentesse antifascisti/e palermitani che ieri mattina durante un volantinaggio fuori ad un liceo sono stati aggrediti e poi denunciati.


comunicato degli antifascisti palermitani:

Sabato 9 ottobre, alle ore 12, davanti ai cancelli del liceo classico Umberto I, si è svolto un volantinaggio, con modalità pacifiche, per denunciare le continue minacce e aggressioni da parte di Casa Pound e Azione Giovani, organizzazioni dell’estrema destra, nei giorni scorsi, davanti ai cancelli del medesimo istituto.


Dopo pochi minuti sono arrivate le forze di polizia, che hanno intimidito e aggredito senza ragione i manifestanti, sette dei quali sono stati prelevati ingiustamente, sempre con la forza e condotti in questura. Uno di loro, inerme, è stato buttato a terra, aggredito da 4 poliziotti e portato via in manette. Molte delle persone che si trovavano lì hanno subito minacce verbali e aggressioni fisiche da parte di polizia e di DIGOS.

La questura ha dichiarato falsamente di essere intervenuta per fermare gli scontri che si erano creati tra antifascisti e Casa Pound; nessun esponente di Casa Pound era però presente in quel momento e non era in corso alcuna colluttazione.

Il risultato della ” tutela “ dell’ordine pubblico: sette feriti e in stato di fermo. Il preside dell’Umberto I dopo avere saputo che la polizia da lui chiamata stava aggredendo i ragazzi, si è rifiutato di intervenire. Agli studenti, nel frattempo, è stato impedito di uscire dall’istituto. Diversi studenti del liceo, che avevano filmato l’accaduto, sono stati minacciati e costretti dalla DIGOS e dalla polizia a cancellare i filmati.

Lo stato di fermo per tre compagni si è trasformato in arresto.

ANTIFASCISTI E ANTIFASCISTE PALERMITANI/E

venerdì 8 ottobre 2010

Giustizia: cosa ci fanno questi bambini nelle carceri italiane?

di Serena Cara
http://www.ezrome.it/, 7 ottobre 2010

Si è da poco conclusa, il 29 settembre scorso, una mostra d’arte dal titolo eloquente: Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane. In mostra, alla Sala di Santa Rita vi erano foto toccanti e profonde che testimoniano una tematica purtroppo di grande attualità: nel nostro Paese ci sono ben 56 bambini di età inferiore ai 3 anni che vivono nei carceri con le loro mamme detenute. Questi sono i dati forniti dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta.

Bimbi non solo italiani ma anche provenienti dalla Romania, Nigeria ed ex Jugoslavia. Gli scatti in mostra sono stati realizzati da cinque fotografi professionisti: Marcello Bonfanti, Francesco Cocco, Luigi Gariglio, Mikhael Subotzky e Riccardo Venturi. Ogni fotografo con il suo stile e la sua intensità ha immortalato i bambini con le loro mamme in cinque Istituti di reclusione femminili in Italia : Roma (Rebibbia), Avellino (Bellizzi Irpino-Pozzuoli), milano (San Vittore), Torino (Lorusso e Cutugno), Venezia (Giudecca).

Una mostra unica sotto diversi aspetti. Primo fra tutti il soggetto prescelto. L’emergenza nei carceri è un tema da tempo trattato in cui si cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di vita dei detenuti nel nostro paese. Troppo poco, invece si è parlato della presenza di bambini che sono chiusi in spazi non adatti alla loro crescita psicofisica, questo perché rappresentano per lo Stato una minoranza. L’esposizione ha voluto richiamare l’attenzione delle Istituzioni e dei parlamentari su questa problematica, ma anche sollecitare la discussione della proposta di legge a “tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”.

La mostra, promossa dall’assessorato alle Politiche Giovanile del Comune di Roma, è nata dalla collaborazione tra Contrasto e l’associazione di volontariato “A Roma, Insieme”, che dal 1991 è impegnata nei progetti sulle politiche sociali di Roma, e dal 1994 su questa tematica. Come è potuto accadere che dei bambini così piccoli, non colpevoli, sono stati costretti a passare i loro primi anni di vita, in luoghi igienicamente ma anche psicologicamente non adatti alla loro crescita?

Facciamo un passo indietro, era il 1997 quando il ministro delle pari opportunità Angela Finocchiaro propose una legge sulle detenute madri che verrà approvata nel 2001: la legge 40/2001.

Prima di allora le madri potevano ottenere gli arresti domiciliari per pene al di sotto dei quattro anni. Se invece non vi erano i presupposti, i bambini al di sotto dei tre anni avrebbero seguito le madri dietro le sbarre. Questa decisione creò non poche perplessità, per l’ inadeguatezza degli spazi carcerari per la crescita dei minori ma anche per il doppio trauma del successivo distacco tra madre e figlio, al compimento dei tre anni di età del minore.

Sin da subito fu chiaro che la legge non risolveva affatto l’emergenza sociale, si spinse quindi verso una nuova soluzione. Si suggerì così la “detenzione domiciliare speciale”, tutt’oggi in vigore. Questa consiste nella possibilità di scontare la pena al di fuori dal carcere, per le condanne con figli di età inferiore ai dieci anni. Questo ovviamente solo se si accerta che non vi sia pericolo di recidiva. Una volta che il bambino compie il decimo anno di età la donna può godere della semilibertà, in base al comportamento tenuto, negli anni precedenti.

La Legge Finocchiaro nonostante l’importante passo, non cambiò di fatto la situazione, in quanto le donne che possono beneficiare della detenzione domiciliare speciale sono ben poche.

La Legge infatti prevede che le donne detenute possono usufruire di questa soluzione solo se hanno un domicilio privato. Come è facile immaginare le donne straniere hanno difficilmente questo requisito.

Non solo, la Legge può essere applicata a donne che hanno già avuto la condanna, mentre l’emergenza più grande risiede nel fatto, che sono moltissime le detenute incinte o con minori al seguito, che sono ancora in attesa dal primo grado del processo. A luglio è stata proposta una riforma della legge del 2001 per la realizzazione di case-famiglia protette per tutte le detenute che non possono usufruire della detenzione domiciliare speciale. Questa situazione sociale è stata mostrata negli scatti della Sala Santa Rita di Roma.

Ogni fotografo ha narrato in modo diverso la l’emergenza. Scatti fortemente realistici, mostranti la vita quotidiana di bambini che non hanno libertà. Un elemento comune: le sbarre. Questo fa nascere una riflessione: i piccoli delle foto, probabilmente hanno visto il cielo sempre schermato dalle sbarre in ferro delle celle. Questa consapevolezza, basterebbe per accelerare i tempi, intanto la mostra alla Sala Santa Rita di Roma, ha fatto la sua parte, si spera che, chi di competenza si affretti a risolvere questa problematica sociale.

Per la fine dell'isolamento e la liberazione di Hamad Sa'adat e di tutti i prigionieri palestinesi!‏

5-10 ottobre 2010

Giornate internazionali di mobilitazione per la liberazione di Ahmad Sa'adat e di tutti i progionieri palestinesi!

Proprio in questo periodo in cui la propaganda sionista sferra un forte attacco soprattutto in Italia, con la chiamata del corteo pro-Israele promosso dalla deputata del PdL, e colona, Fiamma Nirenstein ed al quale parteciperanno politici di destra come l'ex premier spagnolo J.M. Aznar, quanto deputati e dirigenti del PD, nonchè giornalisti, "intellettuali", artisti del varietà ed altri, ci sembra importante e necessario che tutti i collettivi, le organizzazioni, i singoli che hanno a cuore la palestina e riescono ancora a restare lucidi di fronte ad una propaganda che sempre più nasconde e legittima la politica di Israele volta a cancellare la Palestina e il popolo palestinese e il sionismo come movimento razzista e coloniale.

Da un anno e mezzo Ahmad Sada'at è prigioniero ed è in completo isolamento nelle carceri israeliene, privato del diritto di vedere i suoi cari e il suo avvocato, di leggere un libro o fumare una sigaretta e passa la sua unica ora d'aria in solitudine, con le manette ai polsi e le caviglie incatenate.

Quali crimini efferati ha compiuto per meritare una simile, disumana, punizione? Il suoi crimini sono considerati dallo Stati d'Israele tra i peggiori, tra i più imperdonabili: essere il segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), organizzazione che da sempre lotta contro l'occupazione Israeliana, non aver riconosciuto il tribunale che lo giudicava in quanto "estensione dell'occupazione illegale, di fronte alla quale si pone il legittimo diritto del nostro popolo a resistervi", non aver mai piegato il capo, non essersi mai rassegnato all'annientamento del suo popolo e al saccheggio della sua terra.

Il caso di Ahmad Sada'at simbolicamente rappresenta la situazione di tutto il popolo palestinese, popolo che è doppiamente prigioniero: imprigionato arbitrariamente nelle carceri, spesso in isolamento, senza processo e senza diritti, rinchiuso nelle prigioni a cielo aperto di Gaza e dei campi profughi, nei quali è impedita ogni libertà di movimento e ogni diritto all'istruzione, alla salute, alla vita.

Questo perchè ai palestinesi non è solo negato il sacrosanto diritto a resistere alla politica terrorista e guerrafondaia di Israele, è negato il diritto stesso all'esistenza. Israele - lo ha dimostrato con l'attacco militare "Piombo fuso" di due anni fa, con l'assalto alla Freedom Flottilla e continua a dimostrarlo insanguinando ogni giorno la Palestina - non si fermerà finchè non avrà portato a termine la sua opera di sterminio del popolo palestinese: sosteniamo chi ogni giorno lotta, dentro e fuori le mura di una prigione, per sabotare questo piano di distruzione e morte.

Contro la retorica della "sicurezza per lo Stato d'Israele": la resistenza è un diritto, non un crimine!

Per la fine dell'isolamento e la liberazione di Hamad Sada'at e di tutti i prigionieri politici palestinesi!



Collettivo Autorganizzato Universitario - Napoli

martedì 5 ottobre 2010

Stop Green Hunt! - Amnesty denuncia le torture del governo indiano

Amnesty International: Le autorità devono aprire un'inchiesta sugli atti di tortura, le violenze sessuali e la detenzione illegale degli adivasi nello Chhattisgarh.

14 settembre 2010

Amnesty International questo martedì 14 settembre ha dichiarato che le autorità indiane devono ordinare al più presto l'apertura di un'inchiesta imparziale e indipendente sui casi di tortura, maltrattamenti, stupri e altre violenze sessuali, che sono state segnalati ai danni degli adivasi (indigeni) detenuti illegalmente nello Chhattisgarh.

Gli adivasi dei villaggi di Pachangi e Aloor, nel distretto di Kanker, hanno rivelato ad Amnesty International che paramilitari delle forze di sicurezza delle frontiere (BSF) e poliziotti dello Stato dello Chhattisgarh il 5 e il 6 settembre hanno arrestato 40 indigeni dei loro villaggi, li hanno fatti spogliare e li hanno bastonati. Cinque uomini - Narsingh Kumra, Sukram Netam, Premsingh Potayi, Raju Ram e Bidde Potayi sarebbe stati stuprati con i bastoni e sarebbero tutt’ora in cura presso l'ospedale governativo di Kanker.

Queste violenze hanno avuto luogo a seguito di un'imboscata tesa ad una pattuglia della polizia delle frontiere (BSF) da parte di membri del Partito comunista indiano (maoista) durante la quale tre membri delle BSF e due poliziotti sono stati uccisi.

Diciassette persone di due villaggi diversi sono stati arrestate. Dopo aver messo loro una benda sugli occhi, queste persone sono state divise in più gruppi e portate presso il campo BSF di Durgkondal su autocarri chiusi. Amnesty International ha appreso che almeno due delle persone interrogate - Dhansu Khemra e Sarita Tulavi - erano giovani donne di 16 anni mentre altre quattro erano donne e ragazze tra i 16 e i 20 anni.

Durante la loro detenzione, le persone arrestate sono state picchiate dalle forze di sicurezza che volevano estorcere loro una confessione di appartenenza al movimento maoista e di implicazione nell’imboscata del 29 agosto. Scosse elettriche sono state usate dagli interroganti su almeno 10 prigionieri e due donne sono state vittime di abusi sessuali.

Secondo gli indigeni, la polizia di Kanker ha liberato una donna detenuta, Surita, la mattina del 7 settembre, perché soffriva di malaria. Suo padre, Punnim Tulavi, maestro di scuola è stato liberato lo stesso giorno, ma altri due uomini sono stati arrestati.

Le altre cinque detenute sono state portate dinanzi ad un tribunale locale insieme a due degli uomini adivasi l'8 settembre, mentre i restanti 10 uomini adivasi sono stati processati il 10 settembre. Tutti gli adivasi sono accusati di complicità nell’imboscata del 29 agosto tesa dal gruppo maoista illegale e si trovano ora nelle prigioni di Kanker e Jagdalpur, essendo stata loro rifiutata la libertà dietro cauzione.

Secondo il diritto indiano, ogni persona arrestata deve essere processata entro le 24 ore che seguono il suo arresto. Per tentare di eludere questa norma, la polizia ha affermato che i due gruppi di prigionieri erano stati arrestati alla vigilia della loro comparsa in tribunale.

Gli atti di tortura, i trattamenti, le punizioni crudeli, inumane e degradanti, ivi comprese le violenze sessuali, sono vietati in qualsiasi circostanza, anche in tempo di guerra o in situazioni di emergenza, dal diritto internazionale e in particolare dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e dalla Convenzione di Ginevra. L' India è altresì firmataria della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e il Parlamento indiano sta per votare una nuova legge contro la tortura conformemente alle disposizioni della Convenzione prima della sua ratifica.

Amnesty International fa appello alle autorità indiane affinchè:

· Procedano quanto prima all’apertura di un’inchiesta , imparziale, indipendente ed effettiva sui casi di tortura, maltrattamenti e abusi sessuali, come pure sulla detenzione illegale degli adivasi. Le persone sospettate di avere avuto un ruolo in questi abusi, in particolare le persone che occupano un posto di responsabilità nella catena di comando, devono essere immediatamente sospese da qualsiasi incarico che permetterebbe loro di ripetere tali violenze e devono essere assicurate alla giustizia;

· Accordino alle vittime di tortura e altri abusi dei risarcimenti esaustivi; e provvedano in particolare a che tutte le vittime di tortura e altri abusi, con particolare riguardo alle violenze sessuali, ricevano cure mediche adeguate, sia fisiche che psicologiche, da parte di professionisti formati e sensibilizzati a trattare questo tipo di vittime

· Provvedano a che i minori di 18 anni, qualora siano imprigionati, vengano detenuti separatamente dagli adulti e trattati conformemente alla legge indiana relativa ai minori in detenzione ed alla convenzione delle Nazioni Unite relativa ai diritti del bambino che l’India ha ratificato.

Nel corso degli ultimi cinque anni, lo Chhattisgarh ha conosciuto un'escalation di violenza tra i gruppi armati maoisti illegali che affermano di combattere per gli adivasi e le forze paramilitari indiane. Almeno 600 persone sono state uccise e circa 30.000 adivasi sono stati costretti ad abbandonare le loro terre.

-----------------------------------------------------------
È più facile per la coscienza dei liberali credere che la guerra nelle foreste sia una guerra tra il Governo e i maoisti, che definiscono le elezioni una farsa, il parlamento un porcile e che hanno dichiarato apertamente la loro intenzione di rovesciare lo Stato indiano.

È comodo dimenticare che le popolazioni tribali dell’India centrale hanno una storia di resistenza che precede Mao di parecchi secoli (una dimenticanza banale perché se non avessero questa storia, essi non esisterebbero più). Gli Ho, gli Oraon, i Kols, i Santhals, i Mundals e i Gonds si sono ribellati tutti numerose volte, contro i britannici, contro gli zamindars (esattori delle tasse all’epoca degli imperatori) e contro gli usurai.

Le ribellioni sono state brutalmente represse, parecchie migliaia di persone sono state uccise, ma la popolazione non è mai stata sottomessa. Anche dopo l’indipendenza, le popolazioni tribali sono state protagoniste del primo sollevamento che potrebbe essere qualificato come maoista, nel villaggio di Naxalbari nel Bengala occidentale (da cui trae origine il termine “naxalita” - utilizzato oggi come sinonimo di “maoista”).

Da allora la politica dei “naxaliti” si è intrecciata in maniera inestricabile con i sollevamenti tribali, e questo la dice lunga sia sui “naxaliti” che sui tribali. Questa rivolta ha lasciato in eredità una popolazione furente che è stata deliberatamente isolata ed emarginata dal Governo indiano.

La Costituzione, fondamento morale della democrazia indiana, è stata adottata dal Parlamento nel 1950. Una data tragica per le popolazioni tribali.

La Costituzione, infatti, ha approvato la politica coloniale e ha fatto del Governo il custode delle terre delle popolazioni tribali. Dal giorno alla notte ha trasformato l’insieme delle popolazioni tribali in occupanti abusivi dei loro stessi territori, le ha private del loro tradizionale diritto ai prodotti della foresta, ha criminalizzato un intero modo di vivere. In cambio del diritto di voto, le ha spogliate del diritto alla loro sussistenza e alla loro dignità.

Così facendo, le ha costrette nella spirale dell’indigenza e, come per un crudele gioco di prestigio, il Governo ha cominciato a rivolgere la loro stessa miseria contro di esse.

Le numerose deportazioni forzate di intere popolazioni - per la costruzione di dighe, per progetti d’irrigazione, per le miniere – sono state presentate come adattamento delle popolazioni tribali alla cultura dominante perché anche queste godessero “dei frutti dello sviluppo moderno”. La grande maggioranza delle decine di milioni di persone dislocate (più di 30 milioni solo per le dighe), profughi del “progresso” indiano, è costituita da popolazioni tribali.

Quando il Governo comincia a parlare di benessere per i tribali, è ora di preoccuparsi.

Il Ministro degli Interni P. Chidambaram ha espresso recentemente le sue preoccupazioni affermando che non vuole popolazioni tribali che vivano in un “museo delle culture”.

Il benessere delle popolazioni tribali non sembrava, però, essere una priorità durante la sua carriera di avvocato di molte tra le maggiori imprese minerarie, di cui curava gli interessi.

Questo spiega bene l’origine delle sue recenti preoccupazioni.

Durante questi ultimi cinque anni, i Governi del Chhattisgarh, dello Jharkhand, dell’Orissa e del Bengala occidentale hanno firmato con le multinazionali centinaia di MoUs (Memorandum of Understanding - Protocollo d’Intesa), tutti segreti, del valore di parecchi miliardi di dollari per la costruzione di acciaierie, fabbriche di spugne di ferro, centrali elettriche, raffinerie di alluminio, dighe e miniere. Perché questi MoUs si traducano in denaro occorre dislocare le popolazioni tribali.

Di qui, questa guerra.

Quando un paese che si autoproclama una democrazia dichiara una guerra aperta all’interno dei suoi stessi confini, a che cosa è paragonabile questa guerra? La resistenza ha qualche chance? Ne dovrebbe avere una? Chi sono i maoisti? Sono semplicemente dei nichilisti violenti che trasmettono alle popolazioni tribali un’ideologia antiquata, spingendoli a un’insurrezione senza speranza? Quali lezioni hanno imparato dalla loro esperienza passata? La lotta armata è intrinsecamente non democratica? La Teoria del Sandwich – delle popolazioni tribali incastrate tra il doppio fuoco dello Stato e dei maoisti - è una teoria esatta? I “maoisti” e i “tribali” sono due categorie totalmente distinte come si è affermato? I loro interessi convergono? Hanno imparato qualcosa l’uno dall’altro? C’è stato interscambio tra di essi?

Alla vigilia della mia partenza, mia madre mi ha chiamato, sembrava stanca. “Ho pensato”, ha detto con un bizzarro istinto materno, “che ciò di cui questo paese ha bisogno è una rivoluzione”.

Un articolo su Internet afferma che il Mossad israeliano sta formando 30 alti ufficiali di polizia indiani alle tecniche degli omicidi mirati, per decapitare l’organizzazione maoista.

Sulla stampa si dibatte a proposito del nuovo materiale che è stato acquistato in Israele: rivelatori telemetrici laser, attrezzature di registrazione di immagini termiche e i “droni”, così popolari grazie all’esercito americano. Armi perfette da utilizzare contro i poveri.

Il tragitto da Raipur a Dantewara necessità di circa dieci ore di viaggio attraverso quelle regioni note per essere “infestate di maoisti”.

Questi non sono termini casuali. I termini “infestare/infezione” riconducono a “malattia/parassiti”. Le malattie devono essere curate. I parassiti devono essere sterminati. I maoisti devono essere annientati. Così, in maniera strisciante e innocua, il linguaggio del genocidio è entrato nel nostro vocabolario.

Per proteggere le autostrade, le forze di polizia hanno “messo in sicurezza” una ristretta striscia di foresta su entrambi i lati.

Più lontano, all’interno, c’è il regno dei Dada log. (I fratelli. I compagni).

Nella periferia di Raipur un enorme tabellone pubblicizza l’ospedale per i tumori sovvenzionato da Vedanta (la compagnia per la quale il nostro Ministro degli Interni ha lavorato nei tempi passati).

Nell’Orissa, dove estrae la bauxite, Vedanta finanzia un’università.

Così, in maniera strisciante ed innocua, le società minerarie penetrano le nostre immaginazioni: esse diventano i giganti buoni che realmente si preoccupano per noi.

Arundhati Roy

CIE di Elmas. Nuova rivolta

Inagibile un intero piano dopo la rivolta di questa notte

Non cala la tensione ad Elmas, il centro di prima accoglienza per immigrati, nei pressi dell’eliporto di Cagliari. Il primo ottobre in una prima rivolta erano state danneggiate un paio di camerate. Questa notte è andato a fuoco un intero piano. Ora è inagibile. Ogni materasso bruciato è un gesto di sabotaggio concreto alla macchina delle espulsioni. Il governo è in difficoltà: ristrutturare i centri costa e i soldi non sempre ci sono. L’opposizione democratica, quella che critica i CIE, ma ha aperto i CPT, non trova di meglio che protestare perché i centri rischiano la chiusura e chi ci lavora potrebbe perdere il posto. Che in quei centri siano rinchiusi lavoratori vittime delle normative razziste, poco importa. Il 2 ottobre il senatore democratico Giuseppe Lumia invita il ministro dell’Interno Maroni ad adoperarsi “affinché il Cie di Pian del Lago a Caltanissetta torni ad essere pienamente operativo.” Il CIE nisseno venne distrutto da una rivolta il 14 novembre del 2009.

La Gara del Ponte, Madre di tutte le Turbative

di Antonio Mazzeo

“L’apologia dell’illegalità”. Potrebbe essere intitolato così uno dei passaggi chiave dell’intervento del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il 30 settembre 2010, a Palazzo Madama. Una fiducia conquistata dopo una lunga auto-celebrazione, lui, l’uomo della provvidenza, artefice unico dello sblocco dei lavori del Ponte sullo Stretto, padre-madre di tutte le Grandi Opere. «Entro dicembre sarà pronto il progetto esecutivo, già molto avanzato, del Ponte di Messina», ha dichiarato Berlusconi. «Era stato dato anche l’appalto ad una cooperativa di imprese italiane dopo che eravamo riusciti, prodigando molti sforzi, ad evitare la partecipazione all’appalto di grandi imprese straniere, perché volevamo che quest’opera fosse un orgoglio tutto italiano. Con l’intervento del Governo della sinistra il piano è stato accantonato. Avevo personalmente, con il sottosegretario Letta, partecipato a 32 riunioni per il varo di questo piano, sino a giungere all’appalto, che è stato dato. In cinque minuti il Governo della sinistra ha accantonato il progetto. Cinque anni per costruire e cinque minuti per distruggere».

Un’esternazione shock che ha spinto due senatori del Partito Radicale, Donatella Poretti e Marco Perduca, a presentare un’interpellanza urgente alla Presidenza del Consiglio dei ministri. «Il presidente Berlusconi si è autodenunciato per avere diretto la gara d’appalto per il Ponte di Messina», scrivono i parlamentari. «Non solo ha candidamente ammesso di avere fatto di tutto per evitare che alcune imprese partecipassero solo perchè straniere, ma anche che vincesse una italiana. Berlusconi dovrà spiegare in aula in cosa sono consistiti i suoi “molti sforzi” e se le 32 riunioni citate erano state fatte per la realizzazione del piano per arrivare ad un appalto realizzato su misura per la cooperativa di imprese».

In verità, non scorre nulla di nuovo sotto il Ponte. Berlusconi, infatti, ha ripetuto in Parlamento quanto aveva impunemente dichiarato nel corso di un comizio tenuto nel novembre 2008 durante la campagna elettorale per l’elezione del Governatore della regione Abruzzo. «Sapete com’è andata col Ponte sullo Stretto?», aveva esordito il premier a L’Aquila. «Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d’appalto ma in consorzio... Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche».

L’ammissione di aver blindato (o turbato?) la gara del Ponte giungeva dopo che parlamentari, ambientalisti e ricercatori avevano denunciato anomalie ed evidenti conflitti d’interesse nell’espletamento dei bandi. Tra le carte dell’inchiesta della procura di Monza su presunti reati societari in ambito Impregilo (la società di costruzione che guida l’associazione general contractor del Ponte), conclusasi con il rinvio a giudizio dei vecchi amministratori Paolo Savona e Pier Giorgio Romiti, uscì fuori un’intercettazione telefonica dove l’economista Carlo Pelanda, rivolgendosi al Savona, si dichiarava sicuro che «la gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo». Nel corso della stessa telefonata, avvenuta alla vigilia dell’apertura delle offerte, Pelanda sosteneva di avere avuto assicurazioni del probabile esito della gara «dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri».

Incuriositi dalla singolare vocazione profetica dell’interlocutore, i magistrati lombardi interrogarono l’ex presidente d’Impregilo. «Era una legittima previsione», rispose Paolo Savona. «Il professor Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiettivamente il concorrente più forte». Carlo Pelanda, editorialista del Foglio e del Giornale, ricopriva al tempo l’incarico di consulente del ministro della difesa Antonio Martino, origini messinesi e uomo di vertice di Forza Italia. Pelanda era pure un intimo amico di Marcello Dell’Utri, al punto di aver ricoperto l’incarico di presidente dell’associazione “Il Buongoverno”, fondata proprio dal senatore su cui pesa una condanna in appello a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ad interessarsi al possibile esito della gara del Ponte c’era pure Francesco Cossiga (recentemente scomparso), di cui proprio il Pelanda era stato consigliere durante il settennato trascorso da Presidente della Repubblica. Nel corso di una puntata di Porta a Porta dedicata alle intercettazioni telefoniche, in onda il 5 ottobre 2005, fu lo stesso Cossiga a dire: «Sono stato intercettato mentre parlavo con un mio amico, un imprenditore che brigava pesantemente per ottenere gli appalti del ponte». Poi l’ex Presidente si rivolse all’avvocata Giulia Buongiorno (oggi parlamentare di Futuro e Libertà), presente in studio: «Avvocato che faccio? Lo sputtano questo Pm o mi consiglia di lasciar perdere?». «Presidente, io difendo quell’imprenditore e il Pm mi ha garantito che il suo nome non comparirà. Stia tranquillo», rispose con imbarazzo la Buongiorno. Nell’inchiesta di Monza non c’è traccia del nome dell’amico di Cossiga che «brigava» per gli appalti nello Stretto.
«Quella che è stata una delle gare d’appalto più rilevanti della storia d’Italia, presenta pesanti ombre ed anomalie», scrivono i ricercatori di Terrelibere.org, che agli interessi criminali del Mostro sullo Stretto hanno dedicato inchieste e un libro-dossier. «Si sono registrati, ad esempio, un impressionante ribasso d’asta di 500 milioni di euro, una controversa penale che impegnerebbe le istituzioni alla prosecuzione dei lavori, ed infine la misteriosa defezione delle grandi imprese estere. A questo si aggiungono i conflitti di interesse tra finanziatori e finanziati, controllori e controllati e soprattutto gli incroci, le ricorrenze di nomi e società, le partecipazioni multiple che fanno pensare ad una maxi lobby che da anni sponsorizza e promuove le grandi opere».

Terrelibere.org ha denunciato, in particolare, come nella speciale commissione giudicatrice istituita dalla Società Stretto di Messina che ha assegnato l’appalto alla cordata Impregilo, ha partecipato l’ingegnere danese Niels J. Gimsing. «Oltre ad essere stato membro (dal 1986-1993) della commissione internazionale di valutazione del progetto di massima del Ponte, risulta aver lavorato nella realizzazione dello Storbelt East Brigde, progettato dalla società di consulenza Cowi di Copenaghen a cui il raggruppamento temporaneo d’imprese guidato da Impregilo ha affidato “in esclusiva” l’elaborazione progettuale del Ponte sullo Stretto».

«Tra i più stridenti conflitti d’interesse nella gara per il general contractor del Ponte – aggiungono i ricercatori di Terrelibere - c’è quello legato alla partecipazione delle Coop “rosse”, su schieramenti contrapposti, con i due gioielli più rappresentativi del settore costruzioni, il CCC Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna (in associazione con Astaldi) e la CMC Cooperativa Muratori & Cementisti di Ravenna (in associazione con Impregilo). Con l’“anomalia”, sempre tutta italiana, che proprio la CMC di Ravenna risulta essere una delle 240 associate, la più importante, della cooperativa “madre”, CCC di Bologna. Ciò avrebbe comportato la violazione delle normative europee e italiane in materia di appalti pubblici, le quali escludono espressamente la partecipazione ad una gara di imprese che “si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo”, ovverosia di società tra esse “collegate o controllate”». L’ipotesi di violazione di queste norme da parte delle coop durante la gara per il Ponte è stata pure sollevata dal WWF Italia e dalla parlamentare Anna Donati. Il WWF è anche ricorso davanti all’Autorità per i Lavori Pubblici e alla Commissione Europea per chiedere, inutilmente, l’annullamento della gara.


Nonostante i pesanti rilievi, la Società Stretto di Messina scelse di non intervenire, ma alla vigilia dell’apertura delle buste, il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna scomparì provvidenzialmente dalla lista delle società della cordata Astaldi. La coop “madre” lasciò il campo libero alla coop “figlia” che si aggiudicò con Impregilo il bando di gara. Forse era a queste “cooperative d’imprese” che si è riferito erroneamente il Presidente del Consiglio nel suo ultimo intervento in Senato. In realtà la vincitrice della più che sospetta gara del Ponte è “Eurolink”, l’associazione temporanea costituita da Impregilo con una quota del 45%, Sacyr (18,7%), Società italiana per condotte d’acqua (15%), CMC di Ravenna (13%), Ishikawajima- Harima Heavy industries (6,3%) e Consorzio stabile Aci (2%).



Le anomalie e i tentativi, anche mafiosi, di condizionare le gare per la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, sono stati approfonditi nei volumi:

A. Mangano, A. Mazzeo, Il mostro dello Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte, Sicilia Punto L, Ragusa, 2006.

B. A. Mazzeo, I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina, Alegre Edizioni, Roma, 2010

lunedì 4 ottobre 2010

Speciale Ecuador. Correa "Il golpe è fallito. Non ci sarà perdono"

01.10.2010

Hanno sequestrato per 12 ore la democrazia ecuadoriana ma hanno perso!

Come Giornalismo partecipativo aveva annunciato fin dall’1.30 ora italiana la strada del blitz per liberare il presidente prendeva campo come l’unica possibile. Intanto era sempre più importanti le testimonianze sulle infiltrazioni nella polizia, su civili in genere riconoscibili come vicini a Lucio Gutiérrez (l’ex presidente fondomonetarista su posizioni apertamente eversive) per esempio nell’assalto a Ecuador TV subito dopo che il canale pubblico era riuscito a far parlare in diretta al paese il presidente ancora sequestrato. Gli squadristi che hanno assaltato Ecuador TV e spento il segnale per oltre un’ora non erano infatti poliziotti ma civili comandati da Pablo Guerrero, avvocato di Lucio Gutiérrez.

Poco prima delle 4 di mattina, ora italiana, l’esercito che fino a quel momento si era tenuto a distanza arriva nelle immediate vicinanze dell’ospedale della polizia dove è sequestrato il presidente. Da varie informazioni nell’ospedale sono “trattenute” almeno una trentina di altre persone, in maggioranza giornalisti. Tra loro Gabriela Fajardo che si comunica col nostro contatto a Quito María Alejandra Benalcazar e le descrive il breve conflitto a fuoco al termine del quale il presidente è libero. All’operazione di riscatto hanno preso parte 500 soldati.

Alle 4.39 ora italiana il presidente è nel palazzo di Carondolet e parla all’immensa folla dei democratici ecuadoriani che con la loro azione decisa hanno impedito che il golpe prosperasse. Se infatti a Quito e Guayaquil per ora la città è stata in balia dei golpisti che hanno anche controllato a lungo e chiuso gli aeroporti, nella maggior parte dei centri minori la strada è stata da subito presa dalla popolazione.

Alle 7.00 ora italiana intanto sta cominciando a Buenos Aires la riunione straordinaria di UNASUR.

Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it/

................................

Le dichiarazioni di Correa: “È stato un tentativo fallito di colpo di Stato”

(La Radio del Sur)

Il mandatario ecuadoriano ha esposto le informazioni in suo possesso che accusano individui vicini all’ex presidente Lucio Gutiérrez. Ha annunciato che verrà effettuata una profonda epurazione nella polizia.

Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, che ieri è stato vittima di una sollevazione della polizia, ha dichiarato che questa azione è stato un chiaro tentativo di cospirazione nel quale sarebbero coinvolti individui vicini al destituito presidente Lucio Gutiérrez.

Sulla rete nazionale, il mandatario ha raccontato che si era diretto al reggimento Quito Nº 1 immediatamente dopo essere venuto a conoscenza della ribellione di un gruppo di poliziotti che reclamavano per una presunta decurtazione dei loro stipendi.

“Questa non è stata una rivendicazione salariale ma un chiaro tentativo di cospirazione”, ha detto.

Correa ha ringraziato la sua scorta personale che a rischio della vita ha preservato la sua integrità fisica.

Civili incappucciati armati di mitra hanno brutalmente represso i cittadini, guidati dal Ministro degli Esteri Ricardo Patiño, che si erano mossi dal Palazzo del Governo in difesa del mandatario.

Tutti gli elementi che hanno partecipato all’insurrezione che ha tanto danneggiato le istituzioni e il Paese saranno puniti come meritano “qui non ci sarà né perdono né oblio”, ha avvertito.

Oltre ai cospiratori di sempre, Correa sospetta che dietro la sollevazione si possano nascondere elementi in uniforme che nel passato ricevevano contributi economici da potenze straniere.

“Gli irresponsabili di sempre ci hanno danneggiato presentandoci come forse molti ci vorrebbero vedere, come una repubblica da operetta, dove sedicenti poliziotti, cercando presunte migliorie salariali, sequestrano il presidente stesso della Repubblica”, ha detto.

“Ma che nessuno si inganni: non è stato questo il motivo, non è questo ciò che è successo oggi. Quello che è accaduto è un tentativo di colpo di Stato, di cospirazione, di destabilizzazione, cosa che ai cospiratori non è riuscita grazie all’atteggiamento del Governo Nazionale, al popolo ecuadoriano e alle forze dell’ordine leali”, ha sottolineato il mandatario.

In questo senso ha segnalato che le azioni insurrezionali sono state una serie di azioni coordinate che volevano creare il caos con il pretesto che sarebbero stati tolti benefici economici a poliziotti e militari, cosa che, ha aggiunto, è falsa.

Ha individuato Gilmar Gutiérrez e Fausto Cobos, parlamentari del partito Sociedad Patriótica, dell’oppositore Lucio Gutiérrez, come responsabili di campagne di disinformazione con caratteristiche di guerra psicologica, con il proposito di sollevare le truppe in armi contro il potere costituito.

Per questo ha annunciato che “non ci sarà né perdono né oblio” per i responsabili della rivolta e che verrà effettuata una profonda epurazione nella Polizia.

Correa ha confermato la morte del sergente Floilán Jiménez e la presenza di 27 feriti dopo lo scontro verificatosi tra poliziotti e manifestanti e militari, come ha informato Andes.

All’operazione per liberare il capo dello Stato, che è rimasto sequestrato nell’Ospedale della Polizia per dodici ore, hanno partecipato 35 ufficiali e 500 uomini (300 delle Forze Speciali e 200 di altre unità), secondo le informazioni fornite da Luis Castro, comandante delle Forze Speciali.

Anche se non ha precisato il numero di uomini in uniforme feriti o deceduti, l’ufficiale ha denunciato che sono stati colpiti da franchi tiratori della polizia insorta, che hanno aperto il fuoco senza controllo.



Traduzione Andrea Grillo per Senza Soste.it

Media scorretti sull'oppio afgano

L'ultimo rapporto Onu mostra che la coltivazioni del papavero rimane stabile dopo anni di calo. Ma l'informazione mainstream sorvola su questo, parlando solo della 'buona notizia' dei raccolti rovinati da un parassita

Il modo in cui giornali e telegiornali hanno riferito nei giorni scorsi i risultati dell'annuale rapporto dell'Onu sulla produzione di oppio in Afghanistan è un classico esempio di manipolazione e distorsione dell'informazione.

Tutti, senza eccezioni, hanno messo in risalto la 'buona notizia' riferita al fatto che il raccolto di quest'anno si è dimezzato rispetto al 2009 (da 6.900 a 3.600 tonnellate) 'grazie' a una malattia dei papaveri che ha colpito le province meridionali di Helmand e Kandahar, quindi per imprevedibili cause naturali.

Nessuno, invece, ha dato la vera notizia, tutt'altro che buona: ovvero che l'estensione delle piantagioni di papavero da oppio, che dal 2007 era progressivamente diminuita, quest'anno è invece rimasta stabile (23,000 ettari).

Il che significa che, se non ci fosse stato il provvidenziale parassita dei papaveri, il raccolto sarebbe stato uguale a quello dell'anno scorso. Se non superiore visto che, rispetto al 2009, il numero dei coltivatori è leggermente aumentato.

Lo stesso sommario introduttivo del rapporto Onu, d'altronde, si apre affermando che la coltivazione di oppio ''non è cambiata'' rispetto al 2009, ritenendo quindi questa l'informazione più importante da dare.

Solo l'agenzia di stampa Associated Press ha portato correttamente la notizia, titolando ''Onu: stabile la produzione afgana di oppio nonostante gli sforzi'', parlando solo alla ventiquattresima riga dei raccolti distrutti dai parassiti. Ma i grandi giornali e telegiornali hanno scelto di dare un altro taglio alla notizia.

I mass media hanno inoltre sottolineato come la produzione di oppio coincida con le regioni sotto controllo dei talebani. In realtà quest'anno le coltivazioni sono diminuite in alcune province 'talebane' come Zabul (-58 %), Badghis (-45 %), Uruzgan (-20 %), Helmand (-7 %) e Kunar (-6 %), mentre sono aumentate in regioni controllate dal governo e dalle forze alleate come Nangarhar (+145 %), Badakshan (+97 %) Laghman (+73 %).

Notevole l'aumento delle piantagioni anche nella provincia di Kandahar (+30 % rispetto al 2009), centro del 'surge' militare Usa e feudo del noto narcotrafficante Ahmed Wali Karzai, fratello minore del presidente afgano e uomo chiave della Cia nella regione.

Enrico Piovesana

De Corato: «Maroni chiuda i centri sociali e i loro siti web»

«I ripetuti allarmi sulla sicurezza che il ministro Maroni sta lanciando da giorni paventando nuove azioni terroristiche cozzano con la situazione di Milano dove esistono autentiche zone franche rappresentate dai centri sociali».

Lo ha dichiarato ieri il vice sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato per il quale «(...) i centri sociali milanesi contribuiscono a tenere vivo quel clima che porta poi al radicamento di forme eversive che, per fortuna, finora, grazie alla capacità di valenti magistrati sono state bloccate sul nascere. Se vogliamo disattivare una miccia sempre accesa la prima cosa è chiudere questi luoghi».

«La Panetteria Okkupata di via Conte Rosso - prosegue De Corato - occupa abusivamente uno stabile privato da 18 anni. Lambita dall’inchiesta sulle Nuove Br e frequentata dai presunti brigatisti, poi arrestati, Morlacchi e Virgilio, recentemente ha ospitato per un presunto convegno una ex terrorista, Irmgard Moeller, ex militante della Banda Bader-Meinhof».

«Al Cox, stabile comunale rioccupato abusivamente, ci si ritrovava a commentare, manco fosse il cineforum, le udienze sull’inchiesta delle nuove Br, invitando, tra un dibattito e l’altro, Renato Curcio - continua il vice sindaco -. Sono solo due esempi di assolute anomalie. Ma se ne potrebbero fare a bizzeffe. Eppure rimane lo status quo con almeno 13 stabili pubblici e privati di Milano in mano all’area antagonista senza che si muova foglia. E non si capisce come sia possibile che il ministro Maroni inviti solamente ad abbassare i toni su Internet. Da Indymedia al blog dei Corsari ad alcuni gruppi nati su Facebook, in quei siti si fa apologia del terrorismo, si cercano proseliti usando la rete come tam tam per incitare ad azioni violente, per minacce o suggerire pedinamenti di soggetti non graditi».

«Il ministro - conclude il vice sindaco - dovrebbe dare mandato alla polizia postale di chiuderli. Qui non si tratta di provvedimenti liberticidi ma di misure di sicurezza pubblica«, conclude De Corato.

sabato 2 ottobre 2010

Dj Set AsiloPolitico

Sabato 2 Ottobre - CrossOverNite AsiloPolitico - Salerno

Fatti di Pistoia, colpo di scena finale. Teste dell’accusa invalidati dalle parole di un fotografo. La sentenza il 19 novembre

pistoia_tribunaleCi si attendeva la sentenza, l’atto finale di un lungo processo che vede ancora indagate 6 persone per i noti fatti di Pistoia. Alla fine il giudice ha rimandato le parti al 19 novembre, ma la giornata di oggi sarà comunque ricordata nelle memorie processuali e probabilmente risulterà decisiva ai fini della sentenza. La mattinata si è aperta con l’intervento di uno degli imputati livornesi, a cui la corte ha permesso la lettura di un lungo intervento. L’imputato ha ripercorso l’intera vicenda personale, non mancando di sottolineare, per la prima volta in aula, la propria amarezza per essersi trovato, assieme agli altri imputati, vittima di una “rappresaglia” politica ad opera di coloro che hanno condotto le indagini ai danni di persone estranei ai fatti che stavano partecipando a una riunione contro la legge sulle ronde, seguita da “un preoccupante meccanismo inquisitorio in cui il principio fondamentale dell’onere della prova da parte di chi accusa è venuto meno più e più volte ed essere dunque “costretti a cercare affannosamente le prove della propria innocenza”.

Poi è stato presentato il dossier che rivela in maniera articolata i legami esistenti tra agenti della Questura di Pistoia e militanti di Casapound. Alla fine dell’intervento c’è stata la mossa a sorpresa della difesa, che come anticipato, ha segnato profondamente la giornata di oggi. E’ stato invitato a testimoniare un fotografo del Tirreno di Pistoia, che insieme ad un altro fotografo e due giornalisti, l’11 ottobre, fu inviato sul luogo dei danneggiamenti come inviato redazionale. Il fotografo ha dichiarato di essere rimasto sorpreso dalla testimonianza di Marco Lucarelli, pizzaiolo e teste chiave dell’accusa, testimonianza ascoltata in aula durante le prime udienze, in quanto il teste, interpellato proprio l’11 ottobre dai suoi colleghi giornalisti, dichiarava di non aver visto né sentito niente e di non esser stato presente in zona al momento dei fatti. Una dichiarazione pesante come un macigno se si considera che lo stesso Lucarelli, la sera, si presenterà in Questura per rivelare, a suo dire, la dinamica dei fatti e riconoscere alcuni degli imputati. A quel punto il giudice ha ascoltato la replica di Lucarelli, il quale, ha dichiarato di non ricordarsi del fatto, e di non aver mai parlato coi giornalisti, ma, ha insistito più e più volte, destando i dubbi dell’intera platea, “solo con la polizia”. A quel punto, vista la discordanza di testimonianze, il giudice ha ordinato un confronto tra il fotografo e Lucarelli. Quest’ultimo, fortemente imbarazzato, ha continuato a negare, ma sia il giudice, sia il pm, hanno ritenuto inattendibile la sua versione, tanto da non ritenere necessaria la convocazione dei colleghi giornalisti autori delle domande. Al teste Lucarelli è stata poi sottoposta una fotografia del bancone della pizzeria, dove è affisso un adesivo di Casapound. Lucarelli ha confermato di aver consentito ai militanti di Casapound l’affissione dell’adesivo in relazione a una raccolta fondi per la ristrutturazione della sede neofascista, confermando così i rapporti esistenti tra il suo locale e Casapound, negati durante il primo interrogatorio.

La difesa a quel punto, ha rimarcato l’inattendibilità del teste chiave dell’accusa, ancora una volta incerto e “mal consigliato” nel riferire dei suoi comportamenti rispetto alla vicenda pistoiese.

Il giudice dopo una breve pausa processuale ha deciso di convocare un altro teste, che secondo il racconto di Lucarelli e Romondia, avrebbe richiesto loro, il trasporto della stufa (i pizzaioli dichiararono di aver riconosciuto gli imputati durante il trasporto della stessa, anche se Romondia parlò di “una lavatrice”). Il teste, dopo aver più volte negato l’affidamento di questo incarico, ha ricordato infine il fatto, testimoniando però una versione dei fatti che ancora una volta contraddice pesantemente la ricostruzione di Lucarelli, che, occorre precisare, non ha mai rivelato la presenza di questa terza persona. Il teste ha infatti rivelato di aver personalmente partecipato al trasporto insieme ai due pizzaioli, e di non aver visto fuggire nessuno. Ha raccontato poi di aver trasportato la stufa tra le 15 e le 16 (i fatti sono invece avvenuti quasi un’ora dopo) con un carrello senza l’aiuto di Lucarelli e Romondia, i quali sono poi tornati tranquillamente al lavoro nella pizzeria. Una testimonianza complicata dal lungo tempo trascorso, ma che in ogni caso, conferma le lacune e le contraddizioni dei principali testi dell’accusa, coloro che hanno permesso la carcerazione immediata dei primi tre imputati.

Il Comitato Parenti e Amici degli imputati livornesi per i fatti di Pistoia, al termine dell’udienza ha espresso “massima soddisfazione” riferendosi all’udienza, poiché “com’era inevitabile, finalmente sta emergendo in maniera insopprimibile la nostra verità e la falsità delle accuse”. Il Comitato, che sarà nuovamente presente all’ultima udienza del 19 novembre, si augura infine che “il tribunale trovi la forza capacità di concludere questa triste e assurda vicenda prendendo atto della totale inattendibilità e incoerenza di tutti i testimoni dell’accusa, i quali si sono contraddetti palesemente nelle proprie testimonianze giurate”. Gli esponenti del Comitato rilanciano inoltre la presenza l’invito alla presenza in aula per le ore 9 del 19 novembre prossimo.

yh

yh