sabato 26 febbraio 2011

LA RIVOLTA ARABA SCUOTE I PALESTINESI

Ieri a Ramallah oltre mille palestinesi, in gran parte giovani non schierati con alcun partito, ed esponenti e attivisti della sinistra, hanno sfilato nelle strade del centro per chiedere la fine degli Accordi di Oslo e la «riconciliazione» tra Fatah e Hamas.

DI MICHELE GIORGIO *
Roma, 26 febbraio 2011, Nena News – Il 25 febbraio delle manifestazioni di protesta nel Nordafrica e in Medio Oriente, ad un mese esatto dall’inizio della «rivoluzione egiziana», non poteva non coinvolgere anche i palestinesi, finora soltanto sfiorati dal vento della rivolta araba. Ieri a Ramallah oltre mille palestinesi, in gran parte giovani non schierati con alcun partito, ed esponenti e attivisti della sinistra, hanno sfilato nelle strade del centro per chiedere la fine degli Accordi di Oslo e, quindi, della cooperazione di sicurezza tra l’Anp di Abu Mazen e Israele.
Sono stati però scanditi slogan anche a sostegno della «riconciliazione» tra Fatah e Hamas e dell’unità tra Cisgiordania e Gaza. Temi ben diversi da quelli al centro delle manifestazioni, organizzate dall’Anp contemporaneamente a Nablus e in altre città, che hanno visto migliaia di palestinesi protestare contro il veto posto dagli Stati Uniti, qualche giorno fa, a una proposta di risoluzione di condanna del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nei confronti della colonizzazione israeliana.
«Naturalmente anche noi ci opponiamo con forza all’occupazione e contestiamo le colonie israeliane ma, allo stesso tempo, pensiamo che non possiamo limitarci a qualche sporadica protesta contro gli Stati Uniti e la loro politica nella regione. Dobbiamo ricostruire l’unità palestinese e a dare una nuova energia al nostro popolo sotto occupazione israeliana», spiega Hassen Faraj, uno degli organizzatori della manifestazione di Ramallah. «Oggi (ieri) i giovani palestinesi di ogni orientamento, tutti insieme, hanno lanciato un segnale chiarissimo di ciò che vogliono e di ciò che faranno in futuro», aggiunge Faraj. Non siamo di fronte a un movimento di decine di migliaia di giovani palestinesi decisi ad abbattere regimi e dittatori nel nome di pane e libertà, come avvenuto in Tunisia ed Egitto. Ma tra i ragazzi palestinesi cresce forte l’esigenza di trovare politiche alternative per liberarsi dell’occupazione israeliana, il problema principale, e per rinnovare una classe politica inadeguata ad affrontare la sfida sempre più difficile per la libertà. E ciò vale non solo in Cisgiordania ma anche a Gaza dove all’inizio di gennaio un gruppo di giovani ha messo in rete un manifesto di protesta «contro tutto e tutti» che ha fatto il giro del mondo e al quale hanno poi fatto seguire un altro documento con proposte e richieste concrete rivolte ad Hamas e Fatah.
«C’è un malessere diffuso tra i nostri ragazzi e i dirigenti politici di qualsiasi schieramento e partito, anche della sinistra, appaiono incapaci di comprenderlo», dice al manifesto Omar Barghouti, attivista palestinese divenuto un punto di riferimento per i gruppi di giovani che premono per un cambiamento profondo. «È qualcosa di nuovo che si è messo in moto e potenzialmente può coinvolgere tutti i palestinesi che non ce la fanno ad andare avanti in questa situazione», aggiunge Barghouti, che sottolinea l’importanza della forte richiesta – condivisa da una ampia porzione di palestinesi – di fine degli accordi di Oslo e dell’Anp nata nel 1994.
Ma a Gaza non restano con le mani in mano. «Ci stiamo organizzando per proseguire le contestazioni (di Hamas e Fatah) – dice Ebaa Rezeq, 20 anni – se non cambia il modo di concepire il potere e la politica, non sarà possibile realizzare le nostre aspirazioni». Ebaa prevede una partecipazione giovanile massiccia alla manifestazione per l’unità dei palestinesi che si terrà a Gaza il 15 marzo, in contemporanea a quelle previste a Ramallah e in altre città della Cisgiordania. «Quel giorno manifesteranno anche tanti palestinesi in Israele e all’estero per affermare che siamo un solo popolo, unito ora come in passato», aggiunge la ragazza.
Ieri era anche il 17esimo anniversario del massacro di 29 fedeli musulmani compiuto da un colono israeliano (Baruch Goldstein) nella Tomba dei Patriarchi di Hebron. Nella città cisgiordana sono scoppiati scontri fra l’esercito israeliano ed un migliaio di manifestanti palestinesi. Almeno quatto i feriti. I dimostranti, tra i quali attivisti stranieri e israeliani, hanno denunciato la chiusura permanente di Via Shuhada, una delle arterie commerciali di Hebron, per imposizione dei 500 coloni israeliani insediati nella città. A Rafah (Gaza), qualche ora prima, l’aviazione dello Stato ebraico aveva centrato un automobile palestinese ferendo due militanti di Hamas. Nena News
* questo articolo e’ stato pubblicato oggi dal Manifesto

giovedì 24 febbraio 2011

Dopo il danno la beffa: multe ai pastori bastonati a Civitavecchia

Tre allevatori sotto inchiesta: il leader Felice Floris e altri due militanti del Movimento nel mirino della Procura. In quaranta devono pagare migliaia di euro di sanzioni

di Umberto Aime

CAGLIARI. Tre avvisi di garanzia e quaranta contravvenzioni: è l'effetto penale della vigliaccata, subita, e delle manganellate, incassate, dai pastori a Civitavecchia il 28 dicembre. A poche ore dalla partenza per Milano, domani festeggeranno in Piazza Affari, 43 iscritti e simpatizzanti del Movimento hanno ricevuto altrettanti biglietti speciali dalla Procura di Civitavecchia e dalla prefettura di Roma.

Gli indagati. Sono tre: Felice Floris, leader dell'Mps, quel giorno trascinato a terra da tre poliziotti in assetto anti-sommossa mentre cercava di mediare con un funzionario della questura e liberato in un battibaleno dalle donne del Movimento. Il secondo è Priamo Cottu, Ollolai, a Civitavecchia ammanettato dai carabinieri e rilasciato solo dopo l'intervento di un sindaco al seguito del gruppo: «Garantisco io per lui», fu il prezzo pagato per non vedere l'amico caricato su uno dei dieci blindati schierati. Poi c'è Andrea Cinus, Sant'Anna Arresi, spinto all'improvviso, senza alcun motivo e con violenza dalle forze dell'ordine sul cancello-prigione per i pastori, cancello apparso dal nulla al molo numero uno.

I tre sono indagati per resistenza a pubblico ufficiale e il rifiuto - così c'è scritto - di farsi identificare. Gli avvisi di iscrizione sul registro degli indagati sono stati firmati dal sostituto procuratore Consolato Labate, con un passato da ex capo dell'ufficio indagine della Federcalcio, e titolare dell'inchiesta sugli incidenti di dicembre. Allo stesso magistrato il procuratore capo Gianfranco Amendola, ex parlamentare europeo dei Verdi alla fine degli anni ottanta, ha affidato anche l'inchiesta preliminare sul "comportamento delle forze dell'ordine prima, durante e dopo la carica". Carica a freddo, va ricordato, ma non si sa se anche il fascicolo-bis abbia prodotto o meno degli avvisi di garanzia.

I multati. Sono quaranta sui trecento del Movimento che, due mesi fa furono bloccati da un esercito di poliziotti sùbito dopo lo sbarco dal traghetto «Nuraghes». Sono stati multati per manifestazione non autorizzata: la sanzione va da 2500 a diecimila euro. Contravvenzioni che non pagheremo mai, hanno fatto sapere i pastori.

Le polemiche. A caldo gli incidenti di Civitavecchia scatenarono le sdegnate reazioni bipartisan da parte dei parlamentari sardi, con diverse interrogazioni urgenti al ministro dell'Interno, Roberto Maroni. In quei giorni, anche sul web si scatenò un'affollata crociata, spontanea e popolare, in difesa dei pastori, con molti attacchi per "un'evidente violazione da parte delle forze dell'ordine dei principi costituzionali, la libertà di manifestare, sfociata in una brutale forma di repressione preventiva", parole dell'avvocato Nino Marazzita.

Il nuovo viaggio. Gli avvisi e le contravvenzioni non fermano il Movimento: «Oggi partiremo per Milano - dice Felice Floris -. Saremo in trecento, abbiamo chiesto l'autorizzazione alla questura: dunque, siamo in regola. Come tutte le volte, anche domani porteremo in piazza solo la nostra volontà di protestare contro chi ha messo alla fame i pastori: le multinazionali. Non siamo dei violenti e mai lo saremo».




RIFLESSIONI DI FIDEL: Il piano della Nato è occupare la Libia

Il petrolio si è trasformato nella principale ricchezza nelle mani delle grandi multinazionali yankee; grazie a questa fonte d’energia dispongono di uno strumento che ha accresciuto considerevolmente il loro potere politico nel mondo. È stata la loro principale arma quando hanno deciso di liquidare facilmente la Rivoluzione Cubana appena si promulgarono le prime leggi giuste e sovrane nella nostra Patria: privarla di petrolio. Su questa fonte d’energia si è sviluppata la civiltà attuale. Il Venezuela è la nazione di questo emisfero che ha pagato il prezzo più alto. Gli Stati Uniti erano divenuti padroni degli enormi giacimenti la natura ha posto in questo fraterno paese. Alla fine dell’ultima Guerra Mondiale si cominciarono ad estrarre dai giacimenti dell’Iran, così come da quelli dell’Arabia Saudita, Iraq e dei paesi arabi situati nella zona, maggiori quantità di petrolio. Questi divennero i principali fornitori. Il consumo mondiale si elevò progressivamente alla favolosa cifra di, approssimata, 80 milioni di barili al giorno, includendo quelli che si estraggono nel territorio degli Stati Uniti, e ai quali ulteriormente si sommarono il gas, l’energia idraulica e quella nucleare. All’inizio del XX secolo, il carbone era stato la fonte fondamentale di energia che rese possibile lo sviluppo industriale, prima che si producessero migliaia di milioni di automobili e di motori che consumano combustibile liquido. Lo spreco del petrolio e del gas è associato a una delle maggiori tragedie, irrisolta in assoluto, che l’umanità sta soffrendo: il cambio climatico. Quando la nostra Rivoluzione è sorta, Algeria, Libia ed Egitto non erano ancora produttori di petrolio, e gran parte delle enormi riserve dell’Arabia Saudita, Iraq, Iran e degli Emirati Arabi Uniti non erano stati ancora scoperti. Nel dicembre del 1951, la Libia divenne il primo paese africano a conquistare la sua indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il suo territorio fu scenario d’importanti combattimenti tra le truppe tedesche e del Regno Unito, che diedero fama ai generali Erwin Rommel e Bernard L. Montgomery. Il 95 % del suo territorio è totalmente desertico. La tecnologia ha permesso di scoprire importanti giacimenti di petrolio leggero d’eccellente qualità, che oggi raggiungono un milione e 800.000 barili al giorno, e abbondanti depositi di gas naturale. Tale ricchezza le ha permesso di raggiungere una speranza di vita di quasi 75 anni e il più alto ingresso pro capite dell’Africa. Il suo duro deserto si trova ubicato al di sopra di un enorme lago di acqua fossile, equivalente a tre volte la superficie di Cuba, e questo ha reso possibile la costruzione di una vasta rete di conduzioni di acqua dolce che si estende in tutto il paese. La Libia, che aveva un milione di abitanti quando conquistò la su indipendenza, oggi conta su circa sei milioni. La Rivoluzione della Libia avvenne nel mese di settembre del 1969. Il suo principale dirigente fu Muammar al-Gaddafi, militare d’origine beduina che, giovanissimo, s’ispirò nelle idee del leader egiziano Gamal Abdel Nasser. Senza dubbio molte delle due decisioni sono state associate ai cambi che avvennero quando, come in Egitto, una monarchia debole e corrotta fu spazzata via dalla Libia. Gli abitanti di questo paese hanno millenari tradizioni guerriere. Si dice che gli antichi libici facevano parte dell’esercito di Annibale, quando fu al punto di liquidare l’antica Roma con le forze che valicarono le Alpi. Si potrà essere o no d’accordo con Gaddafi. Il mondo è stato invaso con tutti i tipi di notizie, soprattutto quelle dei media di massa dell’informazione. Si dovrà aspettare il tempo necessario per conoscere con rigore quanto c’è di vero o di falso, o una miscela di fatti di ogni tipo che, in mezzo al caos, si sono prodotti in Libia. Quello che per me è assolutamente evidente, è che il Governo degli Stati Uniti non sono affatto preoccupati per la pace in Libia, e non vacilleranno nel dare alla NATO l’ordine d’invadere questo ricco paese, forse in questione di ore o di pochi giorni. Quello che con perfide intenzioni hanno inventato le falsità che Gaddafi si dirigeva in Venezuela, come hanno fatto nel pomeriggio di domenica 20 febbraio, hanno ricevuto oggi una degna risposta del Ministro degli Esteri del Venezuela, Nicolás Maduro, che ha detto testualmente che sperava “…che il popolo della Libia incontri, nell’esercizio della sua sovranità, una soluzione pacifica alle sue difficoltà, che si preservino l’integrità del popolo e della nazione libica, senza l’ingerenza dell’imperialismo”. Io, da parte mia non immagino il dirigente libico che abbandona il paese, scordandosi delle responsabilità che gli vengono le imputate, siano o no false, in parte o nella loro totalità. Una persona onesta sarà sempre contro qualsiasi ingiustizia che si commetta con qualsiasi popolo del mondo, e la peggiore di queste, in questo istante, sarebbe stare zitti di fronte al crimine che la NATO si prepara a commettere contro il popolo della Libia. La cupola di questa organizzazione bellicosa ne ha l’urgenza.E questo va denunciato!



Fidel Castro Ruiz

(22 febbraio 2011 – traduzione Gioia Minuti)



Libia. Non è una rivolta popolare ma una guerra civile. I dovuti distinguo

di Sergio Cararo *

Qualche giorno fa sulle pagine di Peacereporter, giustamente Christian Elia invitava a fare dei distinguo nelle rivolte popolari che stanno cambiando la mappa politica del Medio Oriente. Sarebbe infatti un errore non cogliere le diverse dinamiche e forze soggettive che si sono rese protagoniste di un processo storico atteso, inevitabile ma certamente imprevedibile nella velocità della sua estensione.

Questa accortezza diventa ancora più necessaria nel valutare gli eventi in Libia e le profonde differenze con quanto accaduto negli altri paesi del Maghreb, Tunisia ed Egitto soprattutto. Non solo, occorre anche separare il giudizio su Gheddafi rispetto alle cause e alle conseguenze degli eventi in corso.

In Libia, diversamente che in Tunisia e in Egitto, dobbiamo parlare di guerra civile e non di rivolta popolare. La differenza c’è. Ad esempio i centri strategici (da quelli legati al ciclo energetico a quelli militari) parlano infatti di guerra civile e non di rivolta. L’evacuazione del personale tecnico straniero e dei civili viene inoltre decisa quando il livello di conflitto supera di parecchio quello delle manifestazioni di piazza e degli scontri con la polizia.

In Libia le condizioni della rivolta popolare mancavano di un aspetto non certo secondario (decisivo invece negli altri paesi arabi): quello economico-sociale. I livelli di vita dei libici erano infatti sensibilmente migliori di quelli negli altri paesi. Il 70%della forza lavoro era impiegata nello Stato, i prezzi sussidiati e le rendite petrolifere molto più socializzate. (1)

In Libia non possiamo parlare di rivolta popolare ma di una spaccatura dentro il gruppo dirigente della Jamayria che – diversamente dal conflitto asimmetrico degli scontri nelle piazze tunisine ed egiziane - ha portato immediatamente ad uno scontro militare feroce ed equivalente che ha avuto nella regione storicamente ribelle della Cirenaica islamica la sua base di forza.

Gheddafi, come ha ricordato anche Luciana Castellina su il Manifesto, è stato un valoroso combattente anticolonialista e per anni ha cercato di alimentare focolai di rivolta contro il neocolonialismo in Africa e Medio Oriente. Gli USA, la Gran Bretagna, le organizzazioni islamiche reazionarie hanno cercato spesso di fargliela pagare. Ha costruito intorno a sé un misto di innocua retorica e di verità sui crimini del colonialismo. Lontano dalle frontiere di Israele ha blaterato molto sulla Palestina ma non ha mai agito seriamente. Dopo anni di embargo (e di bombardamenti USA non dimentichiamolo) nel 1999 Gheddafi ha cercato la strada del compromesso con l’imperialismo, soprattutto dopo l’11 settembre, temendo di fare la fine dell’Iraq di Saddam Hussein (2)

Dal 2003 ha stoppato il processo di socializzazione delle risorse ed ha avviato la liberalizzazioni in economia (sia nel settore energetico che negli altri). Ha ripreso le relazioni con gli USA e l’Unione Europea, Ha consentito a tutte le multinazionali petrolifere di ristabilirsi nel paese. Ha giocato molto sui due elementi di enorme vulnerabilità dell’Europa: il rifornimento energetico e le ondate migratorie dal sud. Su questo ha strappato accordi vantaggiosi (e vergognosi) con l’Unione Europea e soprattutto con l’Italia assicurandogli il pugno di ferro sui disperati che cercano di raggiungere le coste italiane. Non si è avveduto però che quando le cose devono cambiare…cambiano, e che 41 anni al potere sono troppi comunque e per chiunque. A questo si preparavano anche i servizi segreti italiani, forse senza che il Ministro Frattini avesse del tutto chiaro come stavano andando le cose (3).

Un corrispondente attento e “assai addentro” all’amministrazione USA come Molinari, sottolinea su La Stampa, che gli Stati Uniti sulla Libia hanno una linea diversa da quella sugli altri paesi. “Se in occasione della crisi egiziana l’amministrazione Obama aveva deciso di recitare un ruolo di primo piano per favorire la «transizione ordinata» verso il dopo Mubarak, di fronte alla rivolta libica la scelta è invece differente” scrive infatti Molinari (4). Che significa? Significa che dietro la guerra civile in Libia è perfettamente leggibile l’aperta ingerenza degli Stati Uniti. Obiettivo? Non solo togliersi di torno un leader arabo odiato, odioso e imprevedibile ma mettere le mani su quello che viene definito “il tassello essenziale della cosiddetta sicurezza energetica europea” (5) ed infine trovare il posto giusto e desiderato per l’Africom, il comando strategico statunitense per Africa e Medio Oriente la cui collocazione proprio sulla sponda sud del Mediterranea era stata rifiutata agli USA dalla vicina Algeria. Tre risultati con un colpo solo! L’unica incognita è rappresentata dall’emirato islamico che i senussiti vogliono instaurare in Cirenaica. Sarà disponibile a convivere con gli interessi USA o sarà una nuova variabile indipendente come Al Qaida?

Infine, ma non per importanza. Lo sviluppo e gli esiti della guerra civile in Libia sembrano lasciar intravedere un intervento militare delle potenze occidentali. Tre navi militari italiani già incrociano al largo della Libia. Gli Stati Uniti spingono Italia e Francia a intervenire e si preparano a farlo in prima persona qualora riescano a crearne le condizioni.

La differenza con quanto è avvenuto in Tunisia ed Egitto appare dunque notevole. La “democrazia” in Libia potrebbe arrivare con le portaerei USA o quelle delle ex potenze coloniali italiana e francese. Non è certo quello per cui si sono battuti i giovani tunisini né il popolo di Tahrir e del Sinai. Se questo è lo scenario allora è meglio la guerra civile che la stabilizzazione imperialista. A meno che anche a sinistra non si voglia lavorare per il re di Prussia o per il ritorno della monarchia!


(1) Dispaccio dell'ADN/Kronos del 22 febbraio
(2) Redazionale di www.medarabnews.com del 23 febbraio
(3) Il Sole 24 Ore del 23 febbraio
(4) La Stampa del 23 febbraio
(5) Redazionale www.medarabnews.com del 23 febbraio

* www.contropiano.org



martedì 15 febbraio 2011

Castrovillari: si impicca detenuto romeno di 48 anni, salgono a 9 i suicidi in carcere da inizio anno


Da inizio anno salgono così a 9 i detenuti suicidi a 17 il totale delle morti in carcere. Nel carcere di Castrovillari nel mese di settembre 2009 due detenuti si suicidarono a distanza di pochi giorni, mentre i precedenti casi risalgono al 2003 (2 suicidi) e al 2002 (1 suicidio).

Si chiamava Vasile Gavrilas, aveva 48 anni ed era in attesa di giudizio con l’accusa di “concorso in omicidio”: ieri mattina poco prima delle 10 si è impiccato alle sbarre con i lacci delle scarpe, nel carcere di Castrovillari, in provincia di Cosenza.
Vasile era in carcere dallo scorso 25 ottobre, quando fu arrestato assieme ai fratelli Costel e Cristinel Habliuc, di 28 e 29 anni, anch’essi romeni, con l’accusa di avere ucciso il bracciante agricolo bulgaro Angelov Krasimir, di 33 anni.
I fratelli Habliuc, durante l’udienza di convalida tenutasi nel carcere di Castrovillari, avevano risposto alle domande, fornendo la loro versione dei fatti e confermando l’avvenuto pestaggio scoppiato per delle “avances” fatte dalla vittima a una sedicenne romena, fidanzata di uno dei tre fermati. Vasile Gravilas, invece, si era avvalso della facoltà di non rispondere.
Il corpo senza vita di Angelov Krasimir, originario di Vidin (Bulgaria) e residente a Cassano Ionio (Cs), era stato rinvenuto da alcuni addetti alla vigilanza del villaggio turistico di Marina di Sibari sotto un eucalipto in un’area di parcheggio adiacente alla carreggiata e posta all’entrata del villaggio turistico.

Chieti: detenuto di 27 anni ritrovato morto, disposta l’autopsia per accertare cause del decesso

Un detenuto è morto nella Casa circondariale di Chieti, in via Janni. Aveva 27 anni, si chiamava Gaetano Busiello ed era originario di Napoli. Il giovane, detenuto a Chieti da circa 4 mesi, è presumibilmente morto tra le 23 di sabato 12 febbraio e le 4 del mattino di domenica 13. Lo hanno scoperto senza vita i compagni di cella. Domani l'autopsia chiarirà le cause del decesso, al momento l'ipotesi è quella di “infarto”. Subito, oltre che i familiari, sono stati informati il direttore del carcere, il comandante, il magistrato di sorveglianza. Con la morte di Busiello e il suicidio di Gianluca Corsi nel carcere di Velletri da inizio anno salgono a 8 i suicidi in carcere e a 15 il totale dei detenuti morti: 6 di loro avevano meno di 30 anni e altri 7 un’età compresa tra i 32 e i 39 anni.

fonte: Ristretti Orizzonti

lunedì 14 febbraio 2011

L’aggressione speculativa al territorio e la resistenza dei movimenti popolari. Due giorni di dibattito


Grandi opere, Grandi eventi, Grandi Affari. Convegno nazionale.Napoli, 26-27 febbraio 2011

L’aggressione speculativa al territorio e la resistenza dei movimenti popolari_due giorni di dibattito, con contributi di comunità in lotta e tecnici, per costruire un movimento nazionale per la casa, i servizi urbani, l’ambiente, i beni comuni
La Rete Campana Salute e Ambiente, insieme ad ad altre realtà locali e nazionali di lotta(Abitare nella Crisi, comitato NoExpo 2015 di Milano, comitato NoMose di Venezia, comitato NoTunnel TAV di Firenze, Epicentro Solidale de l’Aquila, Rete No Ponte, Rete Difesa del TerritorioFranco Nisticò Calabria, Medicina democratica, …), promuove e organizza un workshop nazionale sul sistema delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi.
L’intento dell’iniziativa è quello di svolgere una valutazione critica di queste forme d’intervento territoriale e dell’espropriazione dei beni comuni, sia dal punto di vista dell’accumulazione capitalistica che per le conseguenze sulla qualità della vita delle comunità che li subiscono. Vogliamo mettere a confronto saperi tecnici e militanti, al fine di individuare forme di coordinamento ed obiettivi comuni tra i movimenti di lotta attivi su queste questioni e dare alle vertenze in corso e quelle a venire una dimensione nazionale.”
PROGRAMMA
Sabato 26
Ore 10:30-14: relazione introduttiva e contributi di tecnici e comitati sulle questioni ed i casi studio
Ore 14-16: pausa pranzo
Ore 16-19:30: ripresa delle relazioni e degli interventi programmati
Ore 19.30-20:00: sintesi provvisoria dei lavori
Domenica 27
Dalle ore 10:30: discussione aperta e sintesi dei lavori
Sono previste relazioni dalle seguenti situazioni territoriali: Milano(NoExpo2015); Venezia (NoMose); Firenze (No tunnel TAV); L’Aquila;RomaLazio (No inceneritore Albano); Napoli (NoForum2013) eCampania (gestione rifiuti e devastazione ambientale); Calabria (No Ponte).
Interverranno gli urbanisti Edoardo Salzano (in teleconferenza) ePaolo Berdini; contributi di Vincenzo Milucci (infrastrutture energetiche e questione nucleare), Massimo Brancato (accordo Marchionne e deindustrializzazione del territorio), Antonio Valazzina (inceneritori e danni alla salute)
I lavori si svolgeranno a Napoli, presso il centro sociale occupato Banchi Nuovi, in via del Grande Archivio 17.
Preghiamo i compagni e le situazioni di lotta interessate a partecipare di contattarci; per quanto in nostra possibilità, cercheremo di fornire un supporto logistico per pernottamento e pranzo.
info e adesioni: assisebagnoli@gmail.com cell. 340 2716771
Fonte: Rednest.org

Processo Bianzino


È stata rinviata al 21 marzo la prossima udienza del processo a carico di Gianluca Cantoro, l'assistente di polizia penitenziaria al carcere di Capanne accusato di omissione di soccorso, omissione di atti d'ufficio e falso poiché non avrebbe soccorso Aldo Bianzino, morente in cella, la notte tra il 13 e il 14 ottobre del 2007. Lo ha stabilito ieri mattina il collegio di giudici (Maffei, Bellucci e Monaco) accogliendo l'incompatibilità sollevata dalla dottoressa Monaco sul caso Bianzino. Pertanto l'udienza è stata subito rinviata.
Per la prima volta era presente nell'aula del tribunale di Perugia anche l'avvocato Fabio Anselmo, già noto per aver assistito la famiglia di Stefano Cucchi e fresco di nomina come legale di fiducia dalla ex moglie di Aldo, Gioia Toniolo assieme ai due figli maggiori di lui Aruna Prem ed Elia. Di fronte ai giudici, anche gli avvocati Massimo Zaganelli e Gioia Cecchini che rappresentano i genitori di Aldo e il figlio minore Rudra Bianzino, nato dal legame tra il falegmane di Pietralunga e la compagna Roberta Radici, morta per cause naturali nel 2009.
Aldo fu bloccato nell'ottobre del 2007 dopo un blitz di Polizia e Guardia di Finanza nell'abitazione dove viveva con la compagna, Rudra e la mamma di lei. Le forze dell'ordine ammanettarono Aldo e Roberta dopo aver scoperto e sequestrato una coltivazione di marijuana nel giardino dietro l'abitazione, posta in un luogo sperduto tra le colline dell'Altotevere a Pietralunga. Dopo la morte di Aldo, la Procura aprì anche un fascicolo per omicidio volontario a carico di ignoti, poi archiviato nel dicembre del 2009.
Prosegue invece il filone di indagini che vede imputata la guardia carceraria Cantoro. Lo stabilì nel novembre del 2009 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Perugia, Marina De Robertis che ha rinviato a giudizio il poliziotto "ritenendo - come aveva prospettato il pm Giuseppe Petrazzini - che ci sono elementi sufficienti per processare Cantoro. Omise reiteratamente - si legge nel capo d'imputazione - di avvertire i sanitari di cui Bianzino chiedeva l'intervento, da mezzanotte alle 8 del mattino, dicendo di sentirsi male". Altri cinque agenti in servizio a Capanne saranno sentiti nel processo che ripartirà il 21 marzo.


fonte: La Nazione 

domenica 13 febbraio 2011

Per ricordare Valerio

Valerio Verbano. Ucciso da chi, come, perché ·
L'uccisione di Valerio Verbano non è un mistero. E' diventata tale solo per l'assenza di indagini vere, accurate, decise. Questo libro è un “processo indiziario” che copre abbondantemente quella assenza. Attraverso l'analisi di interrogatori, verbali, sentenze, documenti e libri prodotti dai neofascisti, ricostruisce e radiografa tutto quel che si mosse a destra tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80. Connette gruppi, figure, mitologie; fa luce sul proliferare di sigle sempre nuove e rivendicazioni multiple ideate per depistare, creare confusione, mimetizzarsi e cercare di parificare destra e sinistra. Compone i pezzi di un puzzle e alla fine qualcosa si capisce: ci sono individui, armi, identikit, formule retoriche che ritornano. Un cumulo di indizi che fanno chiarezza sulla morte di Valerio, ucciso il 22 febbraio 1980 nella sua abitazione, davanti ai suoi genitori legati e imbavagliati.


La prima presentazione del libro avverrà sabato 19 febbraio, alle ore 18, nella Palestra Popolare Valerio Verbano. Ne discuteranno con il pubblico Carla Verbano, l'autore Valerio Lazzaretti, Sante Notarnicola e l'editore. 




sabato 12 febbraio 2011

Insulti contro bimbi rom morti svastiche e scritte razziste a Roma

il capogruppo del Pd del XVI municipio Scamardì: "E' ora di finirla di sottovalutare questi episodi. Sono gravi e le autorità devono riuscire a trovare i responsabili soprattutto in un momento così delicato"


"Rom -4" e "Rom Raus" (che in italiano vuol dire 'rom fuori') scritte con una bomboletta spray ed accanto alcune svastiche. Sono le scritte apparse stamani su un muro di via della Pisana, nella zona di Bravetta, a Roma che si riferiscono alla morte dei 4 bambini morti in un insediamento abusivo della capitale. A denunciarlo il capogruppo del Pd del XVI municipio Raffaele Scamardì.

"Le scritte sono state fatte la scorsa notte - afferma Scamardì - all'altezza del civico 64 sulle colonne della scalinata che porta a Vicolo del Fontanile Arenato. Non è il primo episodio del genere. Già l'anno scorso vicino alle poste di via di Bravetta un'altra scritta antisemita prendeva come bersaglio Anna Frank".

"E' una vergogna che va subito cancellata, e se non interviene immediatamente il decoro urbano - aggiunge - come la scorsa volta, lo faremo noi di nostro pugno insieme ai cittadini del quartiere. E' ora di finirla di sottovalutare tali episodi. Sono gravi e le autorità devono riuscire a trovare i responsabili soprattutto in un momento delicato come questo!".


http://roma.repubblica.it/




Cassazione:Definire 'Forza Nuova' una formazione politica "fascista e portatrice di valori quali la xenofobia, il razzismo, la violenza e l'antisemitismo" non e' reato

Roma, 10 feb. (Adnkronos) - Definire 'Forza Nuova' una formazione politica "fascista e portatrice di valori quali la xenofobia, il razzismo, la violenza e l'antisemitismo" non e' reato e rientra nell'esercizio del diritto di critica. Lo ribadisce la Cassazione secondo la quale "l'attribuzione agli appartenenti a quella stessa associazione di espressioni quali nazifascisti e neonazisti sul riflesso che, alla luce dei dati storici e dell'assetto normativo vigente durante il ventennio fascista, la qualita' di fascista non puo' essere depurata dalla qualita' di razzista e ritenersi incontaminata dall'accostamento al nazismo". Ecco perche' la Quinta sezione penale - sentenza 4938 - ha bocciato il ricorso della Procura di Roma che si era opposta all'assoluzione dal reato di diffamazione accordata a Paolo Brogi, autore di un articolo sul 'Corriere della Sera', unitamente al direttore Paolo Mieli, nel quale l'allora vice presidente della Provincia di Roma, Nando Simeone parlando di un corteo organizzato nella capitale da Forza Nuova disse che "non era tollerabile che spazi politici e di espressione" fossero "lasciati a disposizione di organizzazioni chiaramente fasciste e portatrici di valori quali la xenofobia, il razzismo, la violenza e l'antisemitismo". Immediata era stata la denuncia del leader di Forza Nuova Roberto Fiore che si era sentito diffamato. L'autore dell'articolo e chi aveva dato la definizione erano stati assolti dal gup del Tribunale di Roma, nell'aprile 2010 "perche' il fatto non costituisce reato". Assolto pure l'allora direttore Mieli "perche' il fatto non sussiste". Inutilmente la Procura di Roma ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che la critica politica in questo caso aveva "travalicato i limiti" degenerando in "aggressione alla reputazione altrui". Di diverso avviso la Suprema Corte che, bocciando il ricorso, ha evidenziato come la Cassazione abbia gia' riconosciuto "l'esimente del diritto di critica storica e politica nell'attribuzione agli appartenenti a Forza Nuova di espressioni quali nazifascismi e neonazisti ".


(Dav/Col/Adnkronos)

Perugia: processo per la morte di Aldo Bianzino; sotto accusa un assistente di polizia penitenziaria

È stata rinviata al 21 marzo la prossima udienza del processo a carico di Gianluca Cantoro, l’assistente di polizia penitenziaria al carcere di Capanne accusato di omissione di soccorso, omissione di atti d’ufficio e falso poiché non avrebbe soccorso Aldo Bianzino, morente in cella, la notte tra il 13 e il 14 ottobre del 2007. Lo ha stabilito ieri mattina il collegio di giudici (Maffei, Bellucci e Monaco) accogliendo l’incompatibilità sollevata dalla dottoressa Monaco sul caso Bianzino. Pertanto l’udienza è stata subito rinviata.

Per la prima volta era presente nell’aula del tribunale di Perugia anche l’avvocato Fabio Anselmo, già noto per aver assistito la famiglia di Stefano Cucchi e fresco di nomina come legale di fiducia dalla ex moglie di Aldo, Gioia Toniolo assieme ai due figli maggiori di lui Aruna Prem ed Elia. Di fronte ai giudici, anche gli avvocati Massimo Zaganelli e Gioia Cecchini che rappresentano i genitori di Aldo e il figlio minore Rudra Bianzino, nato dal legame tra il falegmane di Pietralunga e la compagna Roberta Radici, morta per cause naturali nel 2009.

Aldo fu bloccato nell’ottobre del 2007 dopo un blitz di Polizia e Guardia di Finanza nell’abitazione dove viveva con la compagna, Rudra e la mamma di lei. Le forze dell’ordine ammanettarono Aldo e Roberta dopo aver scoperto e sequestrato una coltivazione di marijuana nel giardino dietro l’abitazione, posta in un luogo sperduto tra le colline dell’Altotevere a Pietralunga. Dopo la morte di Aldo, la Procura aprì anche un fascicolo per omicidio volontario a carico di ignoti, poi archiviato nel dicembre del 2009.

Prosegue invece il filone di indagini che vede imputata la guardia carceraria Cantoro. Lo stabilì nel novembre del 2009 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Perugia, Marina De Robertis che ha rinviato a giudizio il poliziotto “ritenendo - come aveva prospettato il pm Giuseppe Petrazzini - che ci sono elementi sufficienti per processare Cantoro. Omise reiteratamente - si legge nel capo d’imputazione - di avvertire i sanitari di cui Bianzino chiedeva l’intervento, da mezzanotte alle 8 del mattino, dicendo di sentirsi male”. Altri cinque agenti in servizio a Capanne saranno sentiti nel processo che ripartirà il 21 marzo.



La struttura Delta

Gli storici prendano nota. Ieri, per la prima volta, si è riunita in chiaro, alla luce del sole, la Struttura Delta. Le "guardie armate" del presidente del Consiglio nella carta stampata e nella tv.
Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, e Claudio Brachino, direttore di Videonews-Mediaset. Convocati direttamente da Silvio Berlusconi, non più nella magione privata di Arcore, a Villa San Martino. Ma nella sede governativa di Roma, a Palazzo Grazioli. Per mettere a fuoco lo "spin" comunicazionale, con il quale il Cavaliere cercherà di riscrivere ancora una volta a suo vantaggio il "palinsesto" politico-mediatico dell'intera nazione. E per mettere a punto la controffensiva violenta, con la quale cercherà di distruggere la magistratura, la libera stampa, l'opposizione parlamentare e sociale.

Dunque, la drammatica torsione democratica del berlusconismo declinante ci consegna l'ennesima, incredibile "epifania". Politica e giornalismo piegati insieme, nello stesso tempo e nello stesso modo, per sovvertire codici normativi e aziendali. Per propiziare atti "sediziosi" e inquinare fatti incontrovertibili. La Struttura Delta, come questo giornale l'aveva "battezzata" nel novembre 2007 mutuandola da Joseph Conrad, esiste da anni. È stata una delle prime intuizioni del premier-tycoon, che invece di risolvere il suo enorme conflitto di interessi, l'ha ingigantito e sfruttato fino in fondo per mettere in moto la più micidiale e pericolosa macchina di fabbricazione del consenso mai concepita in una normale democrazia europea. Capo del governo (perciò sovrano delle tre reti pubbliche Rai) e insieme padrone delle tre grandi reti private Mediaset, Berlusconi ha capito subito che ciò di cui aveva sommamente bisogno, per gestire il consenso, era servirsi del suo "inner circle" manageriale, pubblicitario e giornalistico, per dettare l'agenda al Paese. Creare una "squadra", cioè, nella quale la più grande agenzia newsmaker della nazione, cioè il governo stesso, potesse dettare "i titoli" della giornata all'intero network televisivo-informativo italiano. Per cancellare quelli dannosi, per nascondere quelli scomodi, per enfatizzare quelli utili alla propaganda "di regime". Questa vergognosa versione italiana del Grande Fratello orwelliano l'abbiamo vista all'opera quattro anni fa, all'epoca del cosiddetto scandalo Rai-Set. Attraverso un'inchiesta sul fallimento della Hdc di Luigi Crespi, la Guardia di Finanza scoperchiò la "rete" inquietante di connivenze e complicità tra manager, dirigenti e giornalisti del servizio pubblico e dell'impero privato del premier (da Agostino Saccà a Deborah Bergamini) grazie alle quali si arrivò al punto di occultare, nei tg della sera e della notte, i risultati negativi di Forza Italia alle elezioni del 2006.

Da allora la Struttura Delta ha continuato a lavorare. Sempre a pieno regime. Basta vedere il Tg1 o il Tg5, per non parlare del Tg4 e dell'infinita varietà di programmi che le reti "ammiraglie" del servizio globale Rai-Set trasmettono nelle ore più impensate del giorno (Mattino 5, La vita in diretta, Pomeriggio sul 2). Ed ha anche affinato i suoi strumenti, in una spirale sempre più cinica e violenta che ha trasformato la macchina del consenso in macchina del fango. Incrociando sempre più spesso le televisioni e i giornali. Basta vedere il linciaggio al quale si sono dedicati i mass-media "di famiglia", dal Giornale a Panorama, contro chiunque abbia criticato il Cavaliere: da Dino Boffo a Gianfranco Fini. Anche un mese fa, il 17 gennaio per la precisione, la Struttura Delta si era riunita, in pieno scandalo Ruby. Dopo il consueto pranzo del lunedì ad Arcore con l'inseparabile Fedele Confalonieri e i figli Piersilvio, Marina e Luigi, il premier aveva convocato per un caffè l'intera squadra dei suoi "spin": l'onnipresente Mauro Crippa, direttore generale dell'informazione a Mediaset e primus inter pares della Struttura, l'immancabile Alfonso Signorini, direttore di Chi, ancora Sallusti, e poi il direttore di Panorama Giorgio Mulè e il direttore delle relazioni esterne di Fininvest Franco Currò.

I risultati di quel vertice "privato" sono stati almeno tre. L'intervista di Ruby alla trasmissione Kalispera su Canale 5, nella quale la ragazza marocchina ritratta tutto ciò che aveva detto nelle intercettazioni e nelle comunicazioni rese ai pm di Milano. La discesa in campo delle "ministre" a difesa del Cavaliere: la Gelmini a Porta a Porta, la Carfagna a Matrix e la Santanché ad Annozero. La valanga di videomessaggi autoassolutori e intimidatori dello stesso premier alla tv o ai Promotori della Libertà.

Ora, nella fase più disperata per il presidente del Consiglio, c'è un ulteriore salto di qualità. La Struttura Delta si riunisce direttamente nella capitale, a Palazzo Grazioli. In una inaccettabile sovrapposizione di ruoli e di funzioni, il capo del governo convoca i suoi referenti e i suoi dipendenti, portando ancora una volta alla ribalta, ma stavolta in campo aperto, il velenosissimo conflitto di interessi che intossica politica e informazione. Insieme, il premier e il suo anomalo "think tank" elaborano le offensive politiche e organizzano le offensive mediatiche. Il Pdl non esiste più (ammesso che sia mai esistito). Il partito, come filtro della rappresentanza democratica, è definitivamente scavalcato e surrogato dalla Struttura Delta. La "squadra degli spin" diventa un vero e proprio "gabinetto di guerra". Dove i giornalisti, dopo aver indossato la "mimetica" a Palazzo Grazioli, tornano in redazione a scrivere editoriali ispirati e a dettare cronache addomesticate.

Anche in questo caso, i risultati si vedono. Sono due, per adesso. Il primo: Giuliano Ferrara intervista Berlusconi sul Foglio, lo fa urlare contro "il golpe morale", gli fa dire che "il popolo è il mio giudice ultimo", e che quelle di Milano sono "inchieste farsesche, degne della Ddr". Giusto la sera prima, all'improvviso, la Rai aveva deciso di cambiare il palinsesto, per trasmettere sulla Rete Due Le vite degli altri, il film in cui Von Donnersmarck racconta le tragedie umane prodotte dai metodi spionistici della Stasi, la polizia segreta della Germania comunista di Honecker. Qualcuno può pensare che sia stato solo un caso? Il secondo: ancora Ferrara irrompe alle otto al Tg1 di Augusto Minzolini, parla per sei minuti filati (un tempo televisivo infinito) attacca "il gruppo Espresso di De Benedetti e dei professoroni del Palasharp, che vogliono abbattere il governo con metodi extraparlamentari", e spara a zero contro "il puritanesimo brutale che vuole tagliare la testa al re".

Cos'altro faranno il Giornale di Sallusti e le News Mediaset di Brachino lo scopriremo solo oggi e nei prossimi giorni. Cos'altro ha fatto e farà ancora la Struttura Delta, al riparo dall'ufficialità e dalle coincidenze che possiamo ricostruire solo ex post, forse non lo scopriremo mai. Ma intanto il nuovo "palinsesto", politico e giornalistico, è scritto. Nel cuore ferito dell'immenso conflitto di interessi berlusconiano, il "gabinetto di guerra" ha deciso di combattere la battaglia decisiva, forse l'ultima. Gli "assaltatori" sono all'opera. Contro la verità. Contro la responsabilità. Contro la dignità. E poi c'è ancora chi dice che questa non è una vera "emergenza democratica".

Giorno del Ricordo 2011: A proposito di “Martiri delle foibe”



di Claudia Cernigoi

gennaio 2011

Dopo tanti anni da quando ho iniziato a fare ricerca storica sulle foibe (cioè dal 1995), dopo tutta la documentazione che ho analizzato e tutte le cose che ho pubblicato (e che nessuno storico serio, finora, ha smentito), quando sento ancora parlare di diecimila “infoibati”, di migliaia di “martiri delle foibe”, non so se mi sento più arrabbiata o più demoralizzata. Perché, mi domando, una ricerca storica seria deve venire snobbata, ignorata, vilipesa, mentre si prosegue a parlare a sproposito di certi argomenti, solo per mantenere viva la propaganda anticomunista ed antijugoslava, sostanzialmente per rivalutare il fascismo?

Un esempio per stigmatizzare la situazione di disinformazione storica nella quale ci troviamo. A novembre, su segnalazione del Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, che ha elevato una protesta riguardo all’intitolazione in quella città di una via ai cosiddetti “martiri delle foibe” (termine che per la sua genericità e vaghezza di definizione necessiterebbe di un’analisi di svariate pagine, ma su cui tornerò più avanti), sono andata a vedere il forum di Alicenonlosa (http://www.alicenonlosa.it/aliceforum/) e di fronte a tanta (peraltro spocchiosa e saccente) ignoranza relativamente ai fatti storici di cui si pretende di parlare, mi sono davvero cadute le braccia.

Leggere di “almeno diecimila” infoibati, di “compagni del CLN” gettati nelle foibe, di paragoni tra Tito e Pol Pot, così come insulti al presidente Pertini, e citazioni fuori tema su Goli Otok (che fu campo di prigionia, orribile fin che si vuole, ma destinato ad oppositori interni e non c’entra per niente con le “foibe”), il tutto per rispondere all’equilibrata e documentata presa di posizione del Comitato antifascista e per la memoria storica mi ha fatto riflettere sul senso che ha cercare di fare ricerca storica circostanziata se poi quello che continua ad essere diffuso sono stereotipi di falsità e propaganda.

Uno dei vari anonimi polemisti, quello che cita i “compagni del CLN” infoibati, dopo avere parlato di “diecimila” vittime, fa i seguenti nomi: Norma Cossetto, i sacerdoti don Bonifacio e don Tarticchio, le tre sorelle Radecchi, i tre componenti della famiglia Adam. Nove persone. Punto. Dove don Tarticchio, Norma Cossetto e le tre sorelle Radecchi furono uccisi nel settembre 1943 in tre distinte località dell’Istria nel corso del conflitto; don Bonifacio scomparve nel 1946 e non si sa che fine abbia fatto, ma visto che è scomparso nel nulla, dice la propaganda, ovviamente è stato “infoibato”; la famiglia Adam, di Fiume, che faceva parte del CLN filo italiano che nell’estate del 1945, quando Fiume era passata sotto sovranità jugoslava operava per riannettere la città all’Italia, in barba a tutti gli accordi tra Alleati, fu arrestata appunto per questa attività eversiva, e non vi è prova che qualcuno dei tre sia stato “infoibato”.

Ed i “compagni” del CLN di cui parla l’Anonimo (diamogli una dignità di nome proprio con un’iniziale maiuscola) chi sarebbero? Non certo coloro (una ventina) che furono arrestati durante l’amministrazione jugoslava di Trieste perché organizzavano attentati dinamitardi contro l’autorità esistente, che amministrava Trieste in quanto potenza alleata; né i tre membri del CLN arrestati per essersi appropriati dei fondi della Marina militare della RSI pur di non lasciarli in mano agli jugoslavi, due dei quali furono rilasciati un paio di anni dopo, mentre il terzo, già malato al momento dell’arresto, morì in prigionia un anno dopo.

Si possono poi considerare “martiri” i membri dell’Ispettorato Speciale di PS che furono arrestati e condannati a morte dal tribunale di Lubiana, perché colpevoli di essersi macchiati di azioni criminali, come Alessio Mignacca, che picchiò una donna arrestata fino a farla abortire, ed uccise almeno tre persone che cercavano di sfuggire all’arresto, sparando contro di loro?

Si potrebbe continuare a lungo con questi esempi, ma il discorso da fare è, a mio parere, un altro, e ritorno sulla questione della definizione “martiri delle foibe”. Innanzitutto la maggior parte di coloro che vengono così indicati non furono veramente uccisi e poi gettati in una foiba: in parte si tratta di prigionieri di guerra morti durante la detenzione (così come accadde in altri campi di detenzione gestiti dagli Alleati, ad esempio in Africa), in parte di arrestati perché accusati di crimini di guerra o di violenze contro i prigionieri (vedi il caso di Mignacca sopra citato, ma anche quello di Vincenzo Serrentino, giudice del Tribunale speciale per la Dalmazia, che mandò a morte moltissimi innocenti) e condannati a morte dopo un processo. Coloro che finirono nelle foibe furono per lo più vittime di regolamenti di conti o di vendette personali, così come Norma Cossetto, così come don Tarticchio, sul quale gravava il sospetto che fosse un informatore dell’Ovra.

Intitolare strade a generici “martiri delle foibe” significa non rendere giustizia a nessuno, tantomeno alle vittime innocenti, serve solo ad eternare la polemica sulla “ferocia slava” che voleva operare una pulizia etnica contro gli italiani nella Venezia Giulia (teoria nazionalfascista che nessuno storico degno di questo nome ha mai avallato).

L’analisi di cui sopra è stata inviata, sempre a novembre 2010, al Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, quale contributo di solidarietà al loro lavoro di informazione per la conoscenza della storia. Non so se l’intervento è stato pubblicato da qualche testata parmense, ma ritengo ora, a ridosso del Giorno del ricordo del 10 febbraio, di diffonderlo più ampiamente, in vista di quanto verrà detto e scritto sull’argomento.

Bolivia, 'esplosive' proteste dei minatori


Il presidente Morales deve fronteggiare proteste crescenti contro l'aumento dei prezzi e la penuria di generi alimentari

Crescono in Bolivia le proteste contro il carovita e la carenza di generi alimentari: di fronte alla rabbia della popolazione, il presidente Evo Morales ha abbandonato un evento pubblico al quale avrebbe dovuto presiedere. Era previsto infatti un discorso del leader boliviano nella città di Oruro, in occasione di una parata che celebra un'insurrezione avvenuta in epoca coloniale. Nel corso della manifestazione, tuttavia, si sono verificate violente proteste da parte dei minatori locali, che hanno cominciato a fare esplodere delle cariche di dinamite. Una pratica usuale durante le contestazioni sindacali del Paese, dove la dinamite è facilmente reperibile per i lavoratori delle miniere. Immediata la partenza del presidente e dei suoi collaboratori, che hanno fatto ritorno a La Paz.

Il portavoce di Morales, Ivan Canelas, ha così commentato la vicenda: "Il governo ha deciso di non rispondere a vergognose provocazioni di questo tipo". Il malcontento intanto si diffonde in altre città boliviane: a Santa Cruz i manifestanti chiedono di smantellare l'Emapa (un'agenzia che avrebbe dovuto promuovere la produzione di generi alimentari ma si è rivelata del tutto inefficiente), a La Paz e a Cochabamba si organizzano marce contro il rialzo dei prezzi e la scarsità di zucchero in commercio.

Appello dagli studenti di Gaza: fare dell'apartheid week 2011 la più grande finora.


traduzione di un appello scritto da Gaza peer l'Israeli Apartheid Week di Marzo (Grazie Silvia)

Siamo studenti palestinesi, artisti, intellettuali, insegnanti, attivisti ed individui di diverse prospettive ed affiliazioni politiche. Vi scriviamo dall'assedio medioevale e brutale a cui è sottoposta Gaza, per chiedervi di partecipare ed organizzare la settima settimana dell'apartheid israeliana (IAW – Israeli Apartheid Week)[1], che inizia in tutti il mondo il 7 marzo 2011. Chiediamo ai gruppi di solidarietà e ai singoli di seguire, durante questa settimana, i vibranti passi dei tunisini ed egiziani creando una settimana di azioni contro l'Apartheid israeliana che faccia eco alla forza ed altezza dei movimenti contro l'apartheid sudafricana degli anni 70 ed 80.


Lo scopo della IAW è di informare le persone riguardo la natura di Israele come un sistema di apartheid e costruire campagne di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) come parte del movimento globale BDS. [2] Durante quella settimana vi chiediamo, coraggiosi attivisti solidali con la Palestina, di informare, di sostenere azioni di boicottaggio contro Israele, e di di dare luogo ad azioni dirette di massa senza precedenti tali da smuovere la gente in tutto il mondo in modo che Israele resti senza sostenitori. Qui a Gaza saremmo felici di collegarci con voi attraverso video conferenze via Skype ed interviste radio, per raccontare le nostre vite a Gaza, la campagna BDS e lo scopo dell'Israeli Apartheid Week dopo il successo dell'anno passato.

ADESSO è il momento di azioni di massa per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, evidenziando ed opponendosi al giogo barbarico di Israele, agli assassinii e alla pulizia etnica nei nostri confronti, la gente originaria della Palestina. È tempo ora per tutti noi di intensificare il messaggio che i governi complici nella continua barbarie di Israele contro la nostra gente vengano messi a nudo e cambiati. Salutiamo il coraggiosi popoli del nomdo arabo che ci hanno ispirato così fortemente nelle nostra lotta contro il più grande violatore di risoluzioni delle Nazioni Unite, il più grande stato fuorilegge.

Per quanto tempo noi, palestinesi di Gaza, dobbiamo sentirci dire che nel nostro caso va bene  vivere sotto un assedio medioevale confinati via terra, mare e cielo? La maggior parte di noi non può uscire da questa stretta striscia di terra, la più larga prigione a cielo aperto del mondo e la maggior parte degli adulti non ha possibilità di lavorare. 800.000 di noi, più di metà della nostra popolazione, sono bambini. Siamo ancora in lutto a causa degli attacchi israeliani dell'inverno 2009, quando 1400 persone sono state assassinate, e tra queste 350 bambini. Mentre gruppi in difesa dei diritti umani e lo stesso rapporto Goldstone delle Nazioni Unite evidenziano e documentano l'ampio catalogo di abusi verso i diritti umani, crimini contro l'umanità e punizioni collettive, la giustizia internazionale e i governi scandalosamente non agiscono in alcun modo. A causa di questa inazione ci aspettiamo più massacri, più confische di terre, più imprigionamenti e più soggiogamento razziale.

Certo, Israele ha il quarto esercito più forte del mondo, ma questo non ha mai impedito a palestinesi di resistere. Adesso ci sono maggiori possibilità di prima di raggiungere la giustizia. Prima e più potentemente agiremo, prima questa pagliacciata avrà fine, e prima arriverà il giorno che la gente di Palestina potrà emanare un sospiro di sollievo, in quanto per lo meno potremmo avere gli stessi diritti umani di chiunque altr*, al posto di questa vita in cattività, umiliazioni, sogni spezzati, case distrutte e perdita di persone amate.

Oltre 170 organizzazioni palestinesi hanno lanciato un appello nel 2005 per boicottare, disinvestire ed imporre sanzioni contro Israele fino a che non ponga un termine alle sue politiche di occupazione e colonizzazione contro i nativi residenti nella terra occupata, fino a che non garantisca il diritto al ritorno del popolo palestinese alle proprie case, e dia uguali diritti ai palestinesi residenti in Israele. [3]

Come molti eroi contro il regime razzista sudafricano, l'arcivescovo Desmond Tutu e Ronnie Kasrils hanno dichiarato che ci stiamo confrontando con un'oppressione più feroce di quella che hanno sopportato loro, e si sono uniti all'appello per il boicottaggio. In un tour nella Cisgiordania, Madlala Routledge, ministro della difesa sudafricano dal 1999 al 2004 ha detto: “è difficile per me descrivere i miei sentimenti. Quello che vedo qui è peggiore di quello che ho vissuto...il controllo completo sulla vita delle persone, la mancanza di libertà di movimento, la presenza dell'esercito ovunque, la completa separazione e l'estensiva distruzione che abbiamo visto”.

Vi invitiamo a fare di questa Israeli Apartheid week la più grande finora. ADESSO è il momento di cercare di evitare il prossimo, imminete massacro. Solo la società civile internazionale può scoraggiare un altro massacro, può finire l'assedio, può portarci giustizia. Se i governi internazionali non agiscono, sta a voi svegliare il mondo e cambiare il corso della storia. Come in Sudafrica lo sbilanciamento tra il potere di immagine in questa lotta può essere controbilanciato da un potente movimento con il BDS in testa.

L'anno scorso l'Israeli Apartheid Week è stata ospitata in 40 città – quest'anno ce ne aspettiamo oltre un centinaio. Noi Palestinesi del bantustan di Gaza acciamo appello a voi per iniziare ora i preparativi e fare di questa Israeli Apartheid Week una che venga ricordata, ma ancor prima un catalizzatore di cambiamento. Voi sapete di avere da noi il massimo del supporto che vi possiamo dare. Gli eventi dell'ultimo mese mostrano che nel mondo arabo può davvero accadere che un potere oppressivo venga rimosso. Dipende da noi.


[2] www.pacbi.org  


PSCABI (Palestinian Student Campain for the Academic Boycott of Israel)

mercoledì 9 febbraio 2011

3 febbraio Napoli: aggressione fascista.

Oggi, 3 febbraio 2011, a Napoli nei pressi di piazza Cavour, è stato aggredito un compagno dell’Unione degli studenti da una decina di fascisti mentre strappava i manifesti con scritto “Il duce siamo noi” che da qualche giorno tappezzano i muri del centro storico. Alla domanda di uno di loro “cosa stai facendo?”, il compagno ha rivendicato la natura antifascista della nostra Costituzione. A quel punto è stato accerchiato e aggredito con schiaffi e pugni in pieno volto. Un’aggressione che testimonia ancora una volta la vigliaccheria di chi si muove nell’ombra ed attacca in 10 contro 1, di chi approfitta della crisi globale per alzare la testa, tutelato da un governo che attraverso le sue politiche non fa che legittimare questi vili attacchi. Rivendichiamo quindi la nostra natura ANTIFASCISTA e invitiamo gli studenti e tutta la cittadinanza a ripudiare l’esistenza di gruppi fascisti e neofascisti nella nostra città.

Ventiseienne muore suicida nel carcere Marassi

Nuovo suicidio nel carcere di Marassi. Un detenuto rumeno di 26 anni, appellante che sarebbe dovuto uscire ad agosto, è morto nel vano doccia di una cella della Prima sezione detentiva inalando il gas della bomboletta utilizzata dai detenuti per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande. E' quanto si legge in una nota del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe).

Secondo quanto ricostruito dal sindacato, quando i compagni di cella si sono accorti di quanto stava avvenendo, era ormai troppo tardi.

"Il suicidio del detenuto - si legge nella nota - riporta d'attualità la grave situazione penitenziaria genovese ed avviene proprio il giorno dopo l'ennesimo pubblico allarme lanciato dal Sappe sulle critiche condizioni detentive genovesi, allarme che tutti i Sindacati della Polizia Penitenziaria avevano espresso a Palazzo Tursi nell'audizione voluta dal Consiglio comunale di Genova per un approfondimento delle problematiche penitenziarie genovesi. I detenuti a Marassi sono circa 730 (il 60% dei quali stranieri) a fronte di una capienza massima ufficiale della struttura di 456 posti letto mentre gli organici della Polizia Penitenziaria registrano carenze organiche pari a ben 157 agenti".



la valle che resiste -comunicato sugli arresti in val susa antinucleare

Nella notte tra domenica e lunedì era previsto il trasporto di scorie nucleariverso la Francia attraverso la Val di Susa. Alle 4.00 di lunedì un presidio diprotesta presso la stazione di Condove Chiusa San Michele è stato violentementecaricato dall'ingente spiegamento delle forze dell'ordine. Alcuni feriti, 27fermati (che saranno denunciati) e 2 arresti sono il risultato dell'operatodella questura.

Il treno delle scorie era composto di due convogli di cui uno è tornatoindietro.

Alcune decine di persone hanno messo in crisi l'imponente e costosodispositivo organizzato per il trasporto di materiale radioattivo altamentepericoloso.

A quanto ci risulta il trasporto di scorie di ieri non è stato segnalato dalleautorità preposte alla popolazione, cosa che riteniamo gravissima. Chiediamo pertanto alle amministrazioni di farsi carico di verificare il motivo per cui non sono state attuate tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza degli abitanti dei territori coinvolti al passaggio delle scorie.

La scelta energetica non è una partita di scacchi ma una cosa molto seria.

Oggi, a 40 anni dal reattore sperimentale di Saluggia, ne paghiamo le conseguenze. Pericolosità dei trasporti per il riprocessamento delle scorie e costi incredibili sulle bollette dell'energia elettrica.

Come movimento No Tav da sempre seguiamo con attenzione la questione nucleare.

Pensiamo che il presidio di ieri sia stato importante e giusto per iniziare un nuovo percorso di lotta e informazione su questo tema.

Siamo vicini e solidali con le persone arrestate, denunciate e ferite.

Il movimento No TAV in assemblea al presidio Picapera, lunedì 7 febbraio 2011,ore 23



martedì 8 febbraio 2011

Nasce da Diliberto il nuovo Pci

Il "Manifesto" di domenica 6 febbraio pubblica a tutta pagina il documento politico di mille dirigenti, fondatori, militanti e simpatizzanti di Rifondazione comunista che dichiarano di “non riconoscere più in questa esperienza un fattore propulsivo per la ricostruzione del partito comunista in Italia” e si apprestano dunque ad avviare, insieme al Partito dei comunisti italiani dell'ex ministro della giustizia Oliviero Diliberto, un processo nuovo di ricostruzione che avrà un suo primo passaggio congressuale già prima dell'estate.

A questi mille, secondo i promotori, ne seguiranno molti altri nei prossimi mesi in quanto è già partita la campagna di adesioni ed è stato aperto un sito web all'indirizzo www.ricostruireilpartitocomunista.blogspot.com. Tra gli altri hanno aderito un centinaio di quadri e delegati Fiom, Cgil e del sindacalismo di base; il filosofo Domenico Losurdo, l'economista Vladimiro Giacchè e lo storico Alexander Hobel, che presiedono l'associazione culturale Marx XXI che riunisce un centinaio dei maggiori intellettuali marxisti italiani; Manlio Dinucci, giornalista del Manifesto e figura di riferimento del movimento pacifista; il senatore Fosco Giannini, esponente di punta del dissenso anti-bertinottiano in Rifondazione Comunista; lo storico Andrea Catone, direttore della rivista l'Ernesto (che dà il nome all'omonima area politico-culturale di Rifondazione); Mario Geymonat, intellettuale marxista, docente universitario; Marino Severini, popolare leader del gruppo musicale La Gang; Fausto Sorini, animatore già negli anni '70-'80 della lotta interna al Pci contro la socialdemocratizzazione del partito, poi fondatore di Rifondazione; il noto vignettista Apicella; Vladimiro Merlin, capogruppo di Rifondazione al comune di Milano; Carla Nespolo, deputata e senatrice del Pci e dirigente nazionale di primo piano dell'Anpi; Federico Martino, deputato ed ex assessore alla regione Sicilia. Tanti anche i sindacalisti, docenti universitari e segretari provinciali e cittadini di Rifondazione Comunista.

“Il progetto originario di Rifondazione è giunto al capolinea – si legge nel documento - e dopo lo scioglimento del Pci non sono state gettate le fondamenta adeguate su cui ricostruire un nuovo partito comunista all’altezza dei tempi. La maggioranza del gruppo dirigente bertinottiano, nel corso degli anni, ha demolito l’impianto teorico e strategico comunista. Dopo la scissione di Bertinotti e Vendola ritroviamo un partito ancora più debole, incerto ed in piena crisi di identità: un assemblaggio eclettico, dove gli scontri e le battaglie correntizie hanno prodotto una grave degenerazione della vita interna, e dove spicca l'assenza di un pensiero forte condiviso e di un solido collante ideologico”. Per cui, scrivono i mille, “anche se sappiamo che in Rifondazione continuano a militare molti che sentiamo vicini e con cui vogliamo tenere aperta l'interlocuzione, non riconosciamo più in questa esperienza un fattore propulsivo per la ricostruzione del partito comunista in Italia”.

“Sappiamo – spiegano i firmatari - che il PdCI non rappresenta la soluzione della questione comunista in Italia. Sono i suoi dirigenti per primi a riconoscerlo. Ma il fatto che il suo gruppo dirigente abbia assunto il progetto della ricostruzione di una nuova forza comunista unita e unitaria, e oggi avanzi la proposta di avviare, nei prossimi mesi, una fase congressuale aperta, capace di dare vita ad un vero e proprio cantiere per la ricostruzione del partito comunista, determina una situazione nuova”.

"Il nostro impegno – precisano i mille - non contraddice l’esigenza di una più vasta unità d’azione di tutte le forze della sinistra, né esclude la ricerca di convergenze utili per arginare l’avanzata delle forze più apertamente reazionarie, tanto più alla vigilia di possibili elezioni anticipate che ci vedranno impegnati con tutta la Federazione della Sinistra. E' dentro questa esigenza di unità, non certo contro di essa, che può progredire e affermarsi il processo di ricostruzione di una forza comunista unitaria e indipendente”.





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