sabato 4 giugno 2011

Fincantieri: vittoria degli operai

Alle ore 12 presso una sede distaccata del ministero dello Sviluppo economico si è svolto l’incontro tra i sindacati dei metalmeccanici Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil, la Fincantieri e il Governo. In contemporanea per le vie del centro di Roma circa 2.000 lavoratori provenienti da Genova, Castellammare di Stabia, Palermo, Porto Marghera, Trieste, Monfalcone e La Spezia manifestavano perchè fossero ritirati i progetti di chiusura degli stabilimenti.
Sul tavolo dell'incontro c'era appunto la vertenza apertasi nel Gruppo Fincantieri in conseguenza dell'annuncio dalla Direzione del gruppo, il 23 maggio, di chiudere totalmente due cantieri navali e di porre oltre 2.500 lavoratori in esubero.
In seguito a quell'annuncio partirono immediatamente le proteste decise degli operai specialmente a Sestri Ponente e Castellamare di Stabia i due stabilimenti di cui era prevista la chiusura totale. Le proteste dei giorni scorsi sono riuscite ad alzare la tensione e l'attenzione sulla questione, tanto che il sindaco di Castellamare aveva invocato l'intervento dell'esercito: "Se necessario - dichiarò il sindaco Luigi Bobbio il 25 maggio - coinvolgere l'Esercito. Chiedo allo Stato, in tutte le sue articolazioni, di non lasciare sola la città di Castellammare in questo difficile momento".
Ma oggi in seguito a quelle mobilitazioni è arrivata una buona notizia per gli operai e le operie: la Fincantieri ritira il piano di esubero. E da oggi grazie alla determinazine dei lavoratori, 2500 famiglie possono continuare a sperare in un futuro migliore di quello che la Fincantieri gli aveva riservato.

Festival dei Centri sociali e cultura antagonista a Torino

Dal 2 al 9 giugno. Chiudono Finardi, Linea 77 e Samuel

Si apre stasera con i Fratelli di Soledad e prosegue fino al 9 giugno con nomi importanti come Asian Dub Foundation e Grand Master Flash la kermesse che vorrebbe rinverdire al Palaruffini i fasti anni Settanta del Parco Lambro

di GUIDO ANDRUETTO
 Asian Dub Foundation
InfoAut, festival antagonista otto giorni di suoni militanti
Lontano, ormai, l'eco degli scontri e l'odore acre dei lacrimogeni che accompagnarono nel 1975 l'esibizione dei Genesis al Palazzetto dello Sport, e ancora successivamente per il live dei Ramones nel 1980, il Parco Ruffini e lo storico Palasport si trasformano adesso nella nuova casa aperta dell'antagonismo italiano e del movimento dell'Autonomia Operaia, che a Torino ha il suo punto fermo nel centro sociale Askatasuna, in occasione della prima edizione di "Infoaut". Si tratta di un festival della cultura antagonista che si apre oggi, e andrà avanti fino al 9 giugno, nell'area verde tradizionalmente riservata, durante l'estate, alle feste popolari e ai festival di movimenti e partiti di sinistra.

Sulla scia rossa di festival di massa come quello del Proletariato Giovanile che si svolse a metà anni Settanta al Parco Lambro di Milano, l'"Infoaut" radicalizza e rinnova sulla lunghezza d'onda della contemporaneità, i contenuti di una manifestazione che torna a battere sui due tasti chiave della controcultura e della controinformazione. Sette giorni in totale di dibattiti, concerti, mostre e presentazioni editoriali, infatti, rappresentano l'ossatura di questa nuova rassegna estiva (ideata dalla piattaforma virtuale di infoaut. org), dove non mancano, naturalmente, numerosi ospiti musicali di caratura internazionale. Il programma si inaugura questa sera alle 18 nell'area incontri all'interno del Parco con un dibattito dal titolo "Palestina e rivoluzione araba tra venti di guerra", alla presenza del militante palestinese Younes Kutaiba e di alcuni esponenti dell'antagonismo torinese che hanno partecipato al Liberation without Borders Tour in Tunisia, mentre alle 21 sul palco esterno apriranno il cartellone musicale i Fratelli di Soledad, con il loro inespugnabile combat-rock d'annata, cui seguirà domani sera, dopo le 22 al Palazzetto dello Sport (con ingresso a 15 euro), l'atteso live di una leggenda vivente dell'hip-hop mondiale, il rapper newyorkese Grand Master Flash, preceduto dalle esibizioni dei romani Colle der Fomento e Tayone.

Fra banchetti informativi, ristorante popolare e stand che ospitano, tra le tante cose, una curiosa mostra dedicata all'iconografia antagonista che negli anni ha trovato visibilità su t-shirt e felpe (si potranno trovare esposti vari modelli di magliette serigrafate a mano, con omaggi alle battaglie per l'indipendenza dei Baschi o dell'Irlanda del Nord), la giornata di sabato avrà come momenti salienti la presentazione alle 18 del libro "Filosofia di Berlusconi. L'essere e il nulla nell'Italia del Cavaliere", a cura di Carlo Chiurlo, e alle 22 il concerto degli Asian Dub Foundation, collettivo musicale anglo-pakistano, politicamente e socialmente impegnato,  nonché colonna sonora sparata dai sound-sytem nelle strade di Tunisi e del Cairo durante le recenti rivolte nel Maghreb. Infine, fra le molteplici iniziative che terranno banco fino a metà della prossima settimana, si segnala quella di lunedì alle 21 dedicata alla memoria del regista torinese Armando Ceste, che verrà ricordato da Infoaut attraverso le testimonianze di Valerio Mastrandrea, Steve Della Casa e Beppe Rosso.

 

L'ordine di Bibi: «pugno di ferro» contro la Flotilla

di  Michele Giorgio *
Netanhyahu, incassato l'appoggio di Obama, si prepara a violare ancora una volta ogni legge internazionale.
Aumenta la tensione con l'avvicinarsi del giorno, non ancora annunciato ufficialmente, della partenza per Gaza delle 15 navi della Flotilla «Stay Human», tra le quali l'italiana «Stefano Chiarini». Fiancheggiato dall'amministrazione Obama, il premier israeliano Benyamin Netanyahu per ora sta lavorando sulla diplomazia affinché la spedizione sia impedita. Ma un'azione di forza contro i pacifisti non viene esclusa: secondo il quotidiano di Tel Aviv Haaretz, il primo ministro ha detto ieri che ordinerà il pugno di ferro contro le navi che non obbediranno agli ordini della marina israeliana. Sono stati richiamati i riservisti e l'intelligence militare sorveglia diversi siti internet.
Non si può escludere il ripetersi del raid sanguinoso di un anno fa, quando un commando israeliano uccise sulla nave Mavi Marmara nove civili turchi (Netanyahu parlò di «legittima difesa» e non ha mai presentato scuse ufficiali ad Ankara). I promotori della Flotilla si dicono determinati ad andare avanti. I vertici dello Stato ebraico fanno sapere d'essere decisi a presidiare il blocco navale del piccolo lembo di territorio palestinese. La marina - ha scritto Haaretz - lavora alle «misure di contenimento» di eventuali azioni di resistenza passiva degli attivisti, ma una qualche forma di arrembaggio viene ritenuta dai comandi israeliani quasi «ineluttabile».
In queste ore è forte la tensione anche a Gerusalemme Est, la zona araba della città occupata nel 1967. Oggi, per l'anniversario della cosiddetta «riunificazione», si svolgerà il rikudgalim («marcia danzante della bandiera») alla quale parteciperanno migliaia di israeliani nella città vecchia di Gerusalemme, popolata in maggioranza da palestinesi che giudicano questi festeggiamenti una provocazione politica.
da "il manifesto" del 1 giugno 2011

giovedì 19 maggio 2011

G8 Genova, nuovi inquietanti particolari

Di quello che è accaduto si sa tutto, o quasi. Manca una risposta, quella fondamentale: perché? Di quello che è accaduto si sa tutto, o quasi: un manifestante ucciso, circa 560 tra dimostranti e agenti feriti, almeno 25 milioni di euro di danni. Ma nessuno finora ha pagato e, complice la prescrizione dei reati, probabilmente nessuno pagherà mai: la violenza che in quel luglio 2001 si è impadronita di Genova resterà senza responsabili.
 
Sono passati dieci anni dal G8 che annichilì un movimento, capace di riportare alla politica masse senza tessera: una festa giovane, con cittadini d'ogni età e nazionalità, schiacciata dalle botte degli uomini in uniforme e dalla guerriglia urbana di una minuscola minoranza in tuta nera. Chi si è trovato prigioniero di quella bolgia feroce non ha più dimenticato.
Ora il decennale apre la corsa a ricordare: ci saranno memorie, celebrazioni e libri sul vertice che ha marcato in modo nefasto l'esordio del lungo governo della destra italiana. Il primo volume porta la firma dell'ideatore di quella kermesse nata per essere pacifica, Vittorio Agnoletto. Assieme a lui, Lorenzo Guadagnucci, un giornalista che da allora si è occupato a tempo pieno di quei giorni di fuoco e di sangue. In "L'eclisse della democrazia" (ed. Feltrinelli, 270 pagine,15 euro) offrono una ricostruzione dettagliata e inedita degli episodi più vergognosi. A partire dalle pressioni per ostacolare le indagini.
 
Perché quella del G8 sembra una storia semplice ma non lo è. Squadre organizzate di black bloc si infiltrano nei cortei, vanno all'assalto e provocano una reazione scomposta delle polizie che caricano alla cieca. Nella nebbia dei lacrimogeni, tutto diventa violenza. In uno degli scontri, un carabiniere spara e uccide Carlo Giuliani. E questo trasforma le strade in un campo di battaglia, dove ogni regola viene calpestata.
Nella caserma di Bolzaneto centinaia di persone subiscono torture fisiche e psicologiche. Fino al blitz nella scuola Diaz, concepito per gonfiare le statistiche degli arresti, che si è trasformato nella "macelleria messicana" con il pestaggio di 93 innocenti. Per Amnesty International è stata "una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia recente".
Chi lo ha permesso? Il Parlamento non ha voluto indagare: ai tempi del governo Prodi e della maggioranza di centrosinistra, i rappresentanti del popolo italiano se ne sono lavati le mani e hanno delegato tutto ai giudici. I corpi dello Stato invece hanno fatto quadrato. Ed è questa la parte più inquietante del saggio di Agnoletto e Guadagnucci: l'analisi di come la polizia sia stata contro la magistratura in ogni fase del procedimento.
 
Lo raccontano per la prima volta i pm che si sono occupati dell'inchiesta, a partire da Enrico Zucca che testimonia una "proposta indecente", gravissima dal punto di vista istituzionale: "Arriva dalla polizia una richiesta esplicita, una sorta di patto: voi rinunciate ad andare a fondo nelle inchieste sulla polizia, noi facciamo altrettanto nelle indagini sui manifestanti. La proposta ci è riferita in questi termini dal procuratore aggiunto Giancarlo Pellegrino. È decisamente rifiutata".
Lo conferma anche Patrizia Petruzziello, il magistrato che ha poi condotto l'inchiesta su Bolzaneto: "Si proponeva una sorta di pari e patta". Secondo i pm, il no alla proposta diede inizio a uno scontro frontale tra istituzioni che finora è rimasto relegato nelle aule di giustizia genovesi ma che invece richiederebbe una riflessione molto più alta sui poteri degli apparati statali nell'Italia del XXI secolo.
La spaccatura è arrivata fin dentro la procura, dove i sostituti sono stati costretti a firmare un documento per chiedere di indagare i funzionari che hanno guidato il raid nella Diaz. Zucca ricorda un clima di tensione crescente: "Proprio agli albori dell'indagine pervenne un messaggio oscuro e sibillino, nel senso che si vociferava che pezzi deviati della polizia, al di fuori di ogni controllo, stavano tramando e non avrebbero tollerato alcuna inchiesta.
 
Fu una voce poi non verificata, ma l'effetto intimidatorio, nella fase in cui erano in gioco le decisioni sulla stessa apertura di un'inchiesta e con le lacerazioni esistenti in procura, era garantito. Inoltre l'inchiesta si sommava ai normali carichi di lavoro. In procura eravamo 25 sostituti, ma non fu deciso di dedicarne alcuni a tempo pieno alle inchieste sul G8". La pressione arriva al culmine quando l'istruttoria punta sull'VII nucleo antisommossa, la "celere" romana passata dagli stadi all'irruzione nella Diaz: "Ci arrivò il messaggio di aspettare, di essere cauti: "Non riusciremmo a contenere eventuali reazioni"...".
I rapporti tra procura e Viminale sono diventati surreali: viene taciuto il nome di uno degli agenti con i capelli raccolti in una lunga coda di cavallo, ripreso mentre bastona un giovane. Ricorda Zucca: "Nelle audizioni di De Gennaro e di Manganelli, attuale capo della polizia, facemmo presente il disagio procurato dal mancato chiarimento di alcune circostanze, per noi intollerabile e che gettava discredito sull'immagine dell'istituzione. Era un segno troppo evidente della mancata collaborazione".
 
Per Zucca con l'incriminazione di Gianni De Gennaro, accusato di avere spinto un questore a mentire, si va "allo scontro finale". In primo grado De Gennaro è stato assolto, in appello condannato a 16 mesi. Nel frattempo il prefetto è diventato il direttore di tutti i servizi segreti, primo dirigente a occupare l'incarico di massimo potere creato con la riforma dell'intelligence. E quasi tutti gli uomini in divisa coinvolti hanno fatto carriera: i meno fortunati - sottolinea il libro - sono quelli che in qualche maniera hanno collaborato con l'autorità giudiziaria.
Oltre all'allora numero uno della polizia, sul banco degli imputati sono finiti 29 agenti per la Diaz; 45 tra carabinieri, poliziotti, guardie carcerarie e medici per "il lager" di Bolzaneto e 25 dimostranti per le devastazioni. La Cassazione deve ancora pronunciarsi, ma gran parte dei reati sono già prescritti. Di fatto non ci sono responsabili per quella che Amnesty ha definito "la più vasta e cruenta repressione di massa della storia europea recente".
E non si capisce nemmeno il perché di tanta violenza: è stata solo l'impreparazione delle forze dell'ordine, che non hanno saputo prevenire e fronteggiare i casseur in tuta nera?
 
Andrea Camilleri nell'introduzione al libro offre una lettura diversa: "Ho sempre sostenuto che per me il G8 è stato una sorta di prova generale, un tentativo di golpe da parte della destra che fortunatamente è andato fallito. Rimango convinto che nella cabina di regia di quei giorni oltre alla polizia e ai carabinieri ci fossero anche politici e credo, oggi più che mai, che il fallimento di quell'operazione abbia fatto cambiare parere circa la strategia da seguire in Italia a qualche alta personalità politica".
Le indagini non hanno dimostrato una regia politica. Ma dieci anni dopo, resta aperta "la ferita", - come si intitola un altro saggio dedicato a quei giorni, a firma di Marco Imarisio e in uscita sempre per Feltrinelli - quella che ha infranto il sogno dei no global: i manganelli di Genova hanno spezzato la fiducia nello Stato e hanno allontanato un'intera generazione dalla politica. Una ferita che resta un problema fondamentale per il futuro della democrazia nel nostro Paese.

Gianluca Di Feo per "l'Espresso"

Spagna in rivolta

Le mobilitazioni di massa di questo 15 maggio (15M) spagnolo hanno visto oltre 130 mila persone scendere in piazza in 60 città del paese, per esigere “un’uscita sociale dalla crisi capitalista”: più di 40mila persone hanno animato le strade di Madrid, diverse migliaia a Barcelona, e poi Malaga, Alicante, Murcia, Valencia fra le (tante) altre.
Nell’aria gli stessi slogan che riecheggiano ormai da tempo nelle piazze di tutta Europa (e oltre): “Non siamo merce nelle mani di politici e banchieri!”, “Questa crisi non la paghiamo” e “Basta corruzione, passiamo all’azione”! Voci univoche di un soggetto politico multiforme, il cui obiettivo comune sta nella critica e nell’opposizione al capitalismo e ai suoi effetti devastanti su individui e territori, così come nella denuncia della corruzione politica e nella difesa dei diritti sociali.
Lanciate dalla piattaforma politica Democracia Real Ya, nata pochi mesi fa dal coordinamento di vari gruppi e associazioni, tra cui il movimento universitario Juventud sin futuro, le manifestazioni hanno visto scendere in piazza disoccupati/e, precari/e, lavoratori e studenti, “indignat* organizzat*” in un movimento intergenerazionale e trasversale dal punto di vista sociale e politico. La piattaforma, sul cui sito è visibile un manifesto che ne espone obiettivi e prospettive, è nata come iniziativa sul web proprio dal dissenso alle “riforme antisociali” (come la recentemente approvata Legge Sinde, atta a “difendere la proprietà intellettuale” sul web) ed in contrapposizione ai modelli corrotti della classe politica e finanziaria al potere: speculatrice, totalmente cieca rispetto ai bisogni reali della popolazione e rispetto alle istanze sociali di casa, lavoro, cultura, salute, educazione.Colapsado_centro_Barcelona
L’imminenza delle elezioni amministrative, che il prossimo 22 maggio riguarderanno più di 8000 comuni spagnoli – e delle autonomiche, per 13 delle 17 comunità autonome – fa sì che il dissenso venga riportato con forza sulla classe politica in toto, declinando questo “Qué se vayan tod@s” in uno specifico “No les votes!” (non votarli!), un appello all’astensionismo che riunisce nello stesso disprezzo PP, PSOE e qualsiasi altro partito, perché “senza il nostro voto non sono nulla”.
Senza casa, senza lavoro, senza pensione, senza PAURA!” è uno degli slogan più ripetuti da questo movimento, che trova le proprie fondamenta nella rete sociale allargata fra realtà molteplici, e nei social network il proprio altoparlante - Facebook e Twitter in testa. I diversi livelli di lotta e organizzazione si intrecciano, ed il seguito che gli eventi stanno avendo in rete (#spanishrevolution e #acampadasol erano Trending Topics mondiali nella giornata di ieri) viene efficacemente riportato sulla piazza a livello di partecipazione e determinazione. L’intelligenza di questo movimento sta proprio nella capacità di servirsi degli strumenti della rete sfruttandone al massimo le capacità organizzative e comunicative, unitamente al lavoro politico di (ri)costruzione di legami sociali contro l’atomizzazione delle relazioni. Ne esce riconfigurata anche la dimensione spaziale: gli spazi pubblici tornano ad essere luoghi di aggregazione, di riappropriazione e partecipazione politica.
Così la manifestazione di domenica a Madrid è spontaneamente sfociata nell’occupazione della centralissima Plaza di Puerta del Sol, dove circa un centinaio di manifestanti hanno dato vita un presidio permanente trasformandola in un luogo assembleare, con la volontà di rimanere sul posto fino alle elezioni del 22M. “Dalla Puerta del Sol si organizza la resistenza per la dignità e il diritto a decidere del nostro futuro” scrive l’utilizzatore di uno dei tanti spazi in rete che raccontano la protesta. Fra gli obiettivi primari della acampada madrilena anche la scarcerazione immediata dei 19 arrestati in seguito ai disordini della manifestazione del pomeriggio, momenti che hanno visto i manifestanti praticare blocchi stradali per le vie del centro (in zona Tirso de Molinas) e la polizia utilizzare proiettili di gomma e caricare anche i manifestanti che stavano seduti a terra sulla Gran Vìa.
Incidentes_MadridIl silenzio imbarazzante dei media generalisti sugli avvenimenti viene ben compensato dalla narrazione sui social network, dove naturalmente la protesta viaggia veloce per la rete; oltre ad affollare sempre più la piazza madrilena i twitter riescono ad organizzare in tutto il paese altre “acampadas permanentes”: Barcellona, Valencia, Siviglia, Granada, Bilbao fra le altre (tutte rintracciabili su twitter tramite gli hashtag #acampadavalencia, #acampadagranada, etc).
“L’idea iniziale era concentrare il maggior numero di persone in un luogo importante della città, tenendo conto dell’efficacia che questa strategia ha avuto nelle rivolte di alcuni paesi del mondo arabo” così uno dei manifestanti madrileni, riportando all’attenzione quello che è un sentimento comune: la vicinanza e la complicità con le rivoluzioni dell’oltre Mediterraneo, ma anche con le più “modeste” mobilitazioni europee - Italia, Grecia, Portogallo le più menzionate; con un occhio di riguardo al (forse) meno conosciuto “modello islandese”.
Intanto nel pomeriggio di oggi arriva la notizia del rilascio di tutti gli arrestati, su cui pendevano le accuse di resistenza e danneggiamento durante il corteo di domenica. Dalle 12 di questa mattina un presidio formato da centinaia di persone si era riunito sotto il tribunale per chiederne l’immediata liberazione.
Nel frattempo, nonostante lo sgombero subito questa notte (fra lunedì e martedì) dall’acampada di Madrid i manifestanti rilanciano dandosi appuntamento nella stesso luogo alle 20 di questa sera, per riprendersi la piazza e ribadire la propria determinazione a proseguire la lotta, fino alla messa in atto del cambiamento. La piazza al momento è vigilata da decine di agenti, con l’ordine di impedire qualsiasi accampamento durante la nottata. “Ci hanno cacciato dalla Puerta del Sol, ma in quanto luogo pubblico, trasformato in assemblea aperta e partecipativa, continua ad essere nostra”. Mentre una rete di avvocati si è già organizzata per offrire assistenza legale a livello nazionale, resistono e si moltiplicano anche le acampadas in molte altre città della Spagna. Con un occhio al 22 maggio e uno al futuro.

La Sardegna contro i radar. Occupati tutti i terreni per impedire i cantieri!

Diciotto Radar dislocati in diverse parti dell'Italia faranno dell'Europa sempre più una fortezza. Radar israeliani anti-immigrati che avranno un raggio di 50 chilometri e che potranno intercettare barche di piccole dimensioni e ad alta velocità. L'Europa si “protegge” e lo fa appaltando i lavori ad “Almaviva spa” del gruppo Finmeccanica sotto la direzione e la gestione della Guardia di Finanza. Lavori per milioni di euro che andranno ad aumentare la fetta di servitù militari in Italia.
 
Quattro di questi Radar anti-immigrati sono in procinto di essere costruiti in una terra dove sono concentrate 66 basi su 100 dell'intera Italia. Una terra dove le contaminazioni da uranio impoverito e di altri metalli pesanti ha obbligato a porre i sigilli ad ampie zone di terra dove pastori o contadini non possono più transitare per il lavoro di tutti i giorni.
La terra di cui stiamo parlando e di cui da tempo si sente parlare sempre di più per le continue scosse tellurico-sociali e' la Sardegna.

Probabilmente per questa continua usurpazione del territorio da parte di aziende straniere e Ministero della Difesa (ma anche da parte di NATO e USA), la storia di questi Radar sta prendendo una piega diversa rispetto al resto dell'Italia. Da più di una settimana i terreni dove era imminente la costruzione dei quattro radar sono stati occupati 24 ore su 24 dalla popolazione locale (sindaci compresi) impedendo l'accesso a ruspe, operai e forze dell'ordine.
Siti internet e gruppi su facebook stanno nascendo per informare e organizzare la protesta. Basta cercarli digitanto i nomi delle zone interessate dai lavori:
  • Capo Sperone a Sant'Antioco
  • Capo Pecora a Fluminimaggiore
  • Argentiera in territorio Sassarese
  • Santa Vittoria a Tresnuraghes

Terza Intifada

Anche a Gaza, come in Siria, Egitto e Giordania, la giornata della Nakba di quest'anno è stata segnata da imponenti manifestazioni ai confini di Israele che chiedevano il diritto al ritorno dei profughi palestinesi alla loro terra, e da una violentissima repressione messa in atto dall'esercito israeliano. Il 15 di maggio è il giorno della Nakba (“catastrofe” in arabo), l'anniversario della pulizia etnica della Palestina da parte delle forze di occupazione sioniste. Solo a Erez, striscia di Gaza, le forze di occupazione hanno causato 105 feriti e un morto.

Verso le 10.30 diverse migliaia di persone si sono recate al check point di Erez ed alle 12 si sono avvicinate al confine israeliano. È stato sorpassato il primo check point gazawo, è stato raggiunto l'inizio del tunnel che porta al territorio israeliano, e ci si è avviati per la strada che costeggia il tunnel. Il senso di questa manifestazione, come delle altre agli altri confini con Israele, era quello di chiedere il diritto al ritorno. Durante la Nakba centinaia di maigliaia di palestinesi sono stati deportati dai loro villaggi e costretti a vivere in terre straniere: solo a Gaza i 75% della popolazione è composta da rifugiati.

Mentre una folla di alcune migliaia di persone si avviava per quella strada, 4 granate sono state lanciate da un carro armato posizionato sulla destra per atterrare alla sinistra dei dimostranti. Il suono delle granate, quando sono vicine, scuote dentro dalla paura, paura che se le granate fossero atterrate nella folla dei manifestanti, avrebbero provocato una strage. Ma la paura, si sa, non riesce a fermare questo popolo fiero, questi uomini, donne e ragazzini. Mano a mano che la folla si avvicinava da due torrette di controllo posizionate vicino al confine le forze di occupazione hanno iniziato a sparare. Spiega Saber: “Sulla torre di fronte a noi c'è un cecchino: quello non sbaglia un colpo, ogni proiettile che spara raggiunge esattamente il bersaglio. Sulla torretta a sinistra invece è montata una macchina a controllo remoto che spara proiettili di calibro molto più grosso, quelli sono illegali secondo la legge internazionale.” E il pericolo aggiuntivo veniva dal fatto che nella linea d'aria tra la torretta a controllo remoto ed i manifestanti c'erano dei cespugli, che impedivano parzialmente o completamente la visuale e che quindi facevano si che l'arma non potesse garantire di colpire esattamente l'obiettivo che chi la manovrava si aspettava di colpire. Sotto quella collina e tra quei cespugli ragazzi palestinesi si nascondevano per riuscire ad issare la loro bandiera in cima alla collina, per dimostrare ed affermare di nuovo che quella è la loro terra. I cecchini non avevano pietà.

Nessuno tra i palestinesi portava armi, nessuno rappresentava una reale minaccia per Israele. La manifestazione era la prima unitaria da quando sono stati firmati gli accordi per l'unità nazionale: sebbene la bandiera più diffusa fosse quella palestinese, c'era chi portava segni evidenti di Fatah, di Hamas e del PFLP. Tutte le fasce della popolazione erano rappresentate, c'erano diversi bambini e donne. Nalan, ragazza di ventun anni, per esempio racconta: “io volevo spingermi più avanti in prima fila, perchè è la mia terra, e volevo stare di fronte. Ma i miei amici mi tiravano indietro e volevano tenermi più al sicuro...”.

Ricordo una donna ferita, intorno ai 30 anni, svenuta e che nella caduta ha sbattuto la testa contro un muretto. Ricordo che in generale era difficile trovare 10 minuti di pausa tra gli spari. Verso le 4, alcuni soldati (probabilmente sei) sono usciti dalla porta del confine ed hanno iniziato ad usare anche lacrimogeni di un gas tossico, pericolosi sia per inalazione sia perchè venivano lanciati in aria e potevano facilmente cadere in testa a qualcuno. Ad un certo punto sento uno schianto -forte da far male al timpano- alla mia sinistra, e, voltandomi, vedo un uomo che sollevava il braccio con una mano inerme ed un grosso buco al posto del polso, si vedeva la carne ed il sangue sgorgava a fiotti. I feriti venivano portati via dai compagni prendendoli per le gambe e le spalle. Uno di questi lo ricordo che si teneva una mano sulla guancia sanguinante, non so se fosse stato colpito alla faccia da un proiettile o da una scheggia ma perdeva molto sangue. Le ambulanze fortunatamente potevano avvicinarsi al luogo delle violenze. Ho imparato che in arabo sangue si dice fosfor, perchè chiunque indicasse la mia maglia lo diceva: un uomo maciullato dai cecchini israeliani vicino a me ha imbrattato la mia maglietta di sangue e mi ha schizzato addosso briciole di carne. Il tuo sangue è il mio sangue, la tua lotta la mia lotta, fratello.

Secondo il Palestinian Center for Human Rights il numero totale dei feriti è 105, tra cui 31 bambini e 3 donne, e 3 giornalisti. Uno dei giornalisti, colpito da una scheggia alla spina dorsale, è rimasto paralizzato. E poi c'è un morto, un ragazzino di 16 anni. Sono stati portati in tre diversi ospedali della striscia, e, incredibilmente, alcuni dei feriti lievi dopo venire medicati in ospedale tornavano in manifestazione. Altri, preferivano rimanere al confine piuttosto che farsi medicare: ho l'immagine di un ragazzo con una gamba ferita, i pantaloni strappati dalla probabile scheggia che lo ha raggiunto e sporcati di sangue, con una bandiera legata alla gamba perché preferiva rimanere in manifestazione piuttosto che farsi medicare.

Saber, entusiasta, alla fine della manifestazione esclama: "spero che ora i media e l'occidente si rendano conto che non siamo violenti, che non siamo terroristi come ci dipingono. Spero che
le cose cambino."
Questi sionisti possono sparare da tutte le torrette del confine e da tutti i potenti carri armati che hanno, i manifestanti hanno dimostrato di non volersene andare. Possono continuare a sequestrare la barche ai pescatori, a sradicare ulivi, a uccidere donne bambini e uomini. Ma con tutte le loro corazze, muri e modernissime armi tecnologiche non riusciranno a sfiancare la volontà di resistere di un popolo che resiste da 63 anni, di un popolo che non abbandona la sua terra, di un popolo che vincerà perchè se non si è ancora arreso non si arrenderà mai.
 

sabato 14 maggio 2011

“La vedi quella terra li? Quella terra è mia e non ci posso andare.”

L'8, il 9 ed il 10 di maggio sono stati 3 giorni di raccolta del grano per alcuni contadini di Khuza'a, villaggio vicino al confine con israele nel sud della striscia di Gaza. Per tre giorni essi si sono recati nei campi, partendo molto presto la mattina e raccogliendo i frutti della loro terra. Per 3 giorni dalle torrette automatizzate le forze di occupazione israeliane hanno sparato e per tre giorni i contadini hanno continuato a raccogliere il grano, senza permettere a chi sparava dalle torrette a controllo remoto di impedire loro di recarsi alla propria terra.

L'area dove i contadini, insieme con 3 attivisti internazionali dell'ISM e 5 attivisti palestinesi si sono recati si trovava a circa 450 metri dal confine. Prima della seconda intifada qui venivano coltivati angurie e meloni, c'erano alberi da frutto ed olivi. “venivamo qui a fare barbecue, festeggiare e rilassarci... le jeep israeliane passavano in lontananza ma non ci disturbavano, ci lasciavano in pace.” racconta Akhmad. Oggi gli alberi sono stati sradicati, le piante distrutte. L'unica cosa che si riesce a coltivare, perché non richiede attenzioni continue, è il grano. Però anche il grano necessita di diverse ore di lavoro per essere raccolto, ed i cecchini si divertono a terrorizzare i contadini in queste ore.

L'8 di maggio sui campi oltre agli attivisti erano presenti inizialmente 8 agricoltori, per lo più donne, ma anche un bambino di 13 anni ed una bambina di 7 anni, tutti fratelli e sorelle di una delle famiglie anNajjar risiedenti nel villaggio. Stavano nei loro 10 dunum di terra raccogliendo il grano giallo oro in diverse fascine, quando anche i vicini, svegliatosi, hanno pensato che la presenza di attivisti (stranieri e non) potesse proteggerli nel lavoro, ed hanno deciso si allontanarsi più del solito per raccogliere erbe da dare a mangiare agli animali. Dove finiscono i campi di grano il terreno è incolto e solcato da dune e fossi causati dai bulldozer israeliani, crescono cespugli spinosi e piccole piante che sembrano secche, ma che sono un buon mangime per asini e pecore. Una donna chinata a raccogliere queste erbe alza il volto, allunga il braccio e punta il dito verso una duna a poche decine di metri: “la vedi quella terra li? Quella terra è mia e non ci posso andare.”
E dalle torrette, le forze di occupazione israeliane non hanno tardato a ricordare chi ha il potere di decidere quali terre possano o no coltivare questi contadini: si sono uditi degli spari in aria, divisi in 2 raffiche tra le 7.40 e le 8.30. Prima delle 9:00, improvvisamente e senza preavviso, 3 proiettili sono atterrati a 50 metri o meno da chi stava lavorando la propria terra. Quando qualcuno spara in aria si sente solo un colpo, ma se il proiettile viene nelle tua direzione è possibile sentire il sibilo, ed il colpo dell'atterraggio. Il terreno era sabbioso e quindi, dopo i sibili, si sono levate 3 nuvole di polvere. Vicine, troppo vicine a un gruppo di quasi 20 civili che lavorava in maniera pacifica. Qualche decina di minuti dopo un uomo, inviperito, interrompe la sua raccolta dell'erba per gli animali e indica al di la del confine, dove un trattore sta arando un terreno: “guarda, gli israeliani possono coltivare indisturbati. Noi, invece, se usciamo qui fuori ci sparano contro!”.

Il secondo giorno anche un altro gruppo, sempre legato alla famiglia allargata anNajjar, ha iniziato a raccogliere il grano nella terra vicina, anch'essa che si estende su un'area di 10 dunam. Quindi in tutto erano presenti più di 10 contadini intenti a raccogliere il grano e qualche donna che raccoglieva erbe. Ma quanto possono rendere 10 dunam di terra? Akhmad anNajjar prova a quantificarlo: “in passato ci portavamo a casa 50-60 borse da un kg di grano, adesso ne riusciamo a fare tra le 10 e le 20: non riusciamo a prenderci cura della terra perchè non possiamo raggiungerla, e coltivandola sempre a grano per tanti anni di seguito si impoverisce:la dimensione de chicco è molto molto più piccola di quella che era 10 anni fa!”. Dalle torrette di controllo hanno sparato verso le 7.30 e verso le 8, il movimento di jeep e carri armati al di la del confine si cominciava a fare insistente. Il terzo giorno jeep e carri armati hanno continuato a spostarsi incessantemente, alzando nugoli di polvere in quella terra che oggi è riconosciuta come israeliana. Gli spari non sono mancati. Un uomo ci ha spiegato: “tutti i giorni le jeep israeliane si spostano e fanno i loro balletti al di la della rete. Tutti i giorni sparano. Però quando c'è presenza di internazionali sparano un po' meno.”

Khuza'a è un villaggio di contadini che si trova al sud della striscia di Gaza, nel governatorato di Khan Younis. Il centro di Khuza'a si trova a circa un km dal confine, mentre circa l'80% delle terre coltivabili (per un totale di 2000dunam) si trova in aree dove è alto il rischio di essere colpiti dai proiettili israeliani o in zone in cui l'entità sionista ha unilateralmente proibito l'accesso, la cosiddetta “buffer zone”. Moltissimi dunam non sono possono affatto essere coltivati, e l'accesso stesso ad alcune terre è stato ostruito dalle forze di occupazione. Secondo un rapporto dell'ONU, in tutta la striscia di Gaza le aree coltivabili che rientrano nella “zona ad alto rischio” comprendono il 35% delle terre coltivabili dai palestinesi, e non sono rari i casi di contadini feriti anche gravemente od uccisi mentre si recavano a coltivare la propria terra.


Akmad spiega perchè ancora e di nuovo nonostante tutto lui e la sua famiglia si recano li a raccogliere il grano: “Vogliamo mangiare, vivere e fare una vita normale. Questo è un nostro diritto, questa è la nostra terra, non ce ne andremo, non abbandoneremo i nostri campi, anche se Israele continua a sparare e cercare di intimorirci.”

Grazie Silvia
http://libera-palestina.blogspot.com/)


mercoledì 11 maggio 2011

Comunicato di solidarietà ai compagni di Firenze

78 indagati, 22 misure cautelari, nello specifico 5 arresti domiciliari e 17 obblighi di firma. È questo il prodotto della retata realizzata il 4 maggio a Firenze. Gli attori sono Digos, Ucigos e AISI, vale a dire tutti gli apparati statali dediti più nello specifico alla repressione. 
I capi d’imputazione sono diversi e svariati. Il più assurdo è sicuramente quello di “associazione a delinquere”: sminuire il conflitto politico al grado di delinquenza comune è il chiaro segno della volontà delle forze della repressione.
Al centro dell’attacco c’è proprio il conflitto. 
In una società che si vorrebbe senza tensioni sociali, in cui tutti i soggetti istituzionali ed affini parlano di pace e armonia sociale nonostante viviamo un periodo di durissimo attacco ai diritti, alle condizioni di vita e alle prospettive future, bisogna cercare di mettere a tacere le voci e fermare i corpi di chi parla e pratica il conflitto. Ed allora colpire in primis il movimento studentesco, che è stato capace di mettere in campo durante lo scorso autunno una determinazione ed una radicalità che hanno sorpreso molti in tutta la penisola, ponendosi anche come interlocutore per lotte che trascendono gli angusti confini dei nostri atenei, può diventare una priorità.
Per essere più efficaci e per essere sicuri di riuscire ad isolare hanno preferito agitare quello che ormai è  “lo spauracchio” degli anarchici”, sminuendo un’ideologia ed equiparandola a qualcosa di non ben definito, ma di fortemente pericoloso; spauracchio messo in scena dagli organi di stampa, secondo l’ormai noto canovaccio di “Sbatti il mostro in prima pagina”. 
Sarebbe ben più difficile suscitare un sentimento di condanna se si parlasse di giovani e giovanissimi, fra cui ci sono, ovviamente, sia anarchici che non, per lo più studenti, e se si esponessero le ragioni, le motivazioni profonde, che hanno fatto sì che per mesi, giorno dopo giorno, fossimo nelle strade e nelle piazze per contrastare la “riforma Gelmini”, il paradigma del “piano Marchionne”, la privatizzazione dell’acqua, la distruzione del welfare. 
In quei mesi, nelle aule universitarie e in qualunque luogo ci siamo incontrati, abbiamo provato ad immaginare traiettorie diverse, un futuro che fosse altro da quello che ci vorrebbero cucire addosso. E abbiamo provato a mettere in pratica ciò che ci dicevamo, ciò che veniva fuori dai tanti momenti di confronto e anche di scontro che abbiamo avuto l’intelligenza e la fortuna di coltivare. 
 Con quest’operazione repressiva si vorrebbe negare la più intima essenza di tutto ciò: si colpisce a Firenze, ma il colpo è avvertito da ognuno di noi, nelle nostre lotte e nelle nostre città.
E, poiché oggi è più evidente che i movimenti che esprimono conflitto danno fastidio ai governanti di un sistema sociale in crisi, indietro non torniamo.

Solidarietà alle compagne e ai compagni di Firenze!
No alla criminalizzazione delle lotte studentesche e dei movimenti sociali!


Assemblea Permanente Sociologia- La Sapienza, Roma
Assemblea Studenti Scienze Politiche – Milano
Aula Flex- Napoli
C.D.U.P Ingegneria- Napoli
C.P.O.A Rialzo
C.S.A Asilo Politico
C.S.O.A Spartaco
Collettivo 20 Luglio – Palermo
Collettivo Accademia In Lotta- Palermo
Collettivo Architettura Preoccupata- Napoli
Collettivo Aula R- Pisa
Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli
Collettivo Lavori in Corso – Roma
Collettivo No Pasaran - Caserta
Collettivo Politico Militanz- Cosenza
Collettivo Politico Scienze Politiche – Firenze
Collettivo Studentesco Cavese
Collettivo Studentesco Universtario- Salerno
Collettivo Studenti in Lotta- Catanzaro
Collettivo UniRC- Reggio Calabria
Coordinamento studenti medi bolognesi Fuj'h Accademia di Belle Arti – Napoli
L.S.A. Assalto- Cosenza
LINK- Napoli
Resistenza Universitaria – Roma
PrendoCasa- Cosenza 
Rete Studenti Salerno
Studenti Autorganizzati Campani- Napoli
Studenti Comunisti – Bologna
Studenti Federico II

lunedì 9 maggio 2011

Corteo Antifascista Napoli


Il 29 aprile può essere considerato il venerdì nero per la Napoli antifascista, medaglia d’oro alla Resistenza. In quella data la città ha visto i propri figli aggrediti, accoltellati, minacciati e, in seguito, denunciati e denigrati.

I fascisti che ci accoltellano stanno dalla stessa parte di chi inquina, devasta e sfrutta i nostri territori, di chi ci sfrutta sul lavoro, di chi ci impone disoccupazione e precarieta’. Chi ci accoltella sta dall’altra parte della barricata.
Sono anni che lottiamo per migliorare le condizioni di vita di tutti, sono anni che lottiamo contro questo stato di cose. Contro la disoccupazione, per la raccolta differenziata porta a porta, per una scuola e un’università pubblica, contro la devastazione dei nostri territori, contro i licenziamenti, per l’acqua pubblica e contro il nucleare.

Non ci fermeranno le lame dei fascisti né le denunce che ci piovono addosso.

E’ necessario ripartire dalle lotte che tutti i giorni portiamo avanti nei territori, nelle scuole, nelle università, nelle piazze! Ripartire per dare un segnale, per reagire, per dimostrare l’unità e l’orgoglio della nostra gente che non si arrende a morire di miseria, precarietà, munnezza e fascismo.
Facciamo appello a tutti gli studenti, ai disoccupati, ai precari, ai lavoratori, ai comitati e a tutte le individualità che ogni giorno resistono, per fare di giovedì 12, una giornata di mobilitazione in cui riprendere la parola e vivere da protagosisti la nostra città.

PER L’ACQUA PUBBLICA - RACCOLTA DIFFERENZIATA PORTA A PORTA - NO AL NUCLEARE - SCUOLA E UNIVERSITA’ PUBBLICA - CONTRO PRECARIETA' E LICENZIAMENTI - CONTRO IL RINCARO DEI BIGLIETTI - CONTRO LA REPRESSIONE

CONTRO FASCISMO, SESSISMO, RAZZISMO

Liberta’ per i precari bros
Libertà per Tonino
Liberta’ per tutti

mercoledì 4 maggio 2011

Pomigliano non si piega!

Si raccolgono adesioni per lo sciopero del 6 maggio a napoli.Bus Gratuito da salerno!
Info: laboratoriostudentesco@gmail.com

Processo Mastrogiovanni...

Comunicato–Stampa  del 3/5/2011

Dall’annotazione di servizio dei CC risulta che alle ore 8,30 del 31 luglio 2009  è richiesto il loro intervento perché il sindaco di Polllica ha  ordinato il T.S.O. nell’interesse di Francesco Mastrogiovanni, ma sempre dallo stesso documento risulta che i due medici prescritti dalla legge  vigente intervengono dopo le ore 8,30 del 31 luglio 2009.
Errore di verbalizzazione o altro?

Vallo della Lucania - Si è tenuta regolarmente la terza udienza del Processo che vede imputati diciotto tra medici e infermieri dell’ospedale di Vallo della Lucania (Sa) che nell’estate 2009 causarono la morte del maestro elementare Francesco Mastrogiovanni di Castelnuovo Cilento (Sa).
Dei  Comandanti delle Forze dell’ordine che, durante la mattinata del 31 luglio 2009, parteciparono all’esecuzione dell’Ordinanza di Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.) emanata dal sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, si è presentato all’udienza di oggi solo il comandante della stazione dei Carabinieri di Pollica, il maresciallo Maffia. Il comandante della Polizia urbana di Pollica, Graziano Lamanna, ha preferito assentarsi ed è stato nuovamente convocato per la prossima udienza.

Il maresciallo dei CC ha confermato il contenuto della relazione di servizio redatta alle ore 15 del 31 luglio 2009, precisando che il documento acquisito agli atti del processo è stato redatto dai CC della stazione di Pollica che, come risulta dalla stessa relazione, sono intervenuti alle ore 8,30 del 31 luglio 2009 a seguito della richiesta di ausilio da parte del comandante della Polizia Urbana di Pollica, mentre il maresciallo Maffia giunge sul posto ove Francesco Mastrogiovanni viene sedato, intorno alle ore 12.
Nel rapporto si legge che alle “ore 8,30 odierne” il Sottotenente Graziano Lamanna della Polizia Locale del Comune di Pollica ha chiesto l’intervento dei carabinieri della stazione di Pollica  “…poiché il Sindaco di Pollica con ordinanza n. 53 del 31.7.2009 recante protocollo 6917 aveva ordinato il Trattamento Sanitario Obbligatorio in stato di degenza ospedaliera nell’interesse del sig. Mastrogiovanni Francesco….”
Ma sempre nella stessa relazione ed in palese contraddizione con quanto scritto all’inizio del documento,  i CC scrivono che le visite mediche prescritte dalla normativa vigente in materia di T.S.O.  (un primo medico che propone al sindaco la richiesta di T.S.O. ed un secondo che convalida la precedente richiesta) avvengono dopo le ore 8,30  e quando ormai Mastrogiovanni, inseguito dai carabinieri e dai vigili, si è tuffato in mare dopo essere giunto nel parcheggio del Villaggio Club Costa Cilento–Marina Piccola, situato nel territorio del Comune di San Mauro Cilento, dove stranamente viene eseguita un’ordinanza del sindaco di Pollica. Infatti si riferisce di un medico del 118 che interviene per primo durante la mattinata e poi di una dottoressa del Centro di salute Mentale di Vallo della Lucania successivamente.
Perché si scrive che alle ore 8,30 il sindaco ha già ordinato il TSO? Prima di comprimere i diritti della persona - soprattutto con l’intervento delle forze dell’ordine - non si deve attendere che sia perfezionata la procedura di legge?
Sempre nell’udienza di oggi è stata sentita con la massima attenzione la nipote di Francesco Mastrogiovanni, deceduto dopo essere stato legato mani e piedi senza nessuna interruzione per ottantadue ore al letto dell’ospedale di Vallo della Lucania.
La studentessa Grazia Serra, in compagnia del fidanzato Marco Garofalo, durante il pomeriggio del 3 agosto 2009 si recò presso il reparto di psichiatria per informarsi sulle condizioni di salute dello zio, di eventuali sue necessità e soprattutto per cercare di capire le motivazioni del ricovero presso il reparto di psichiatria. La studentessa – con la voce rotta dalla commozione - ha riferito che il comportamento del medico di turno le sembrò “poco professionale”, che andò via dal reparto senza aver potuto far visita allo zio e ancor più preoccupata per le risposte ricevute. Per il medico di turno venivano praticate le terapie richieste dal caso,  il ricoverato non aveva bisogno di niente,  la visita da parte dei parenti in quel momento non era funzionale alla terapia praticata e occorrevano una decina di giorni per superare la situazione. Ha ricordato anche che la madre si era rivolta al sindaco del Comune di Castelnuovo Cilento, dott. Eros Lamaida, medico nello stesso ospedale e sindaco del comune di residenza del fratello, che la aveva tranquillizzata dicendole che tutto si svolgeva regolarmente e poi, la mattina del 4 agosto, sarà lo stesso sindaco ad annunziarle telefonicamente e inaspettamente: «Franco non è più con noi ».
Marco Garofalo ha riferito che alle sue domande sulle modalità di alimentazione dello zio di Grazia, il medico chiese infastidito se fosse infermiere. Il ragazzo rimase sorpreso tanto da cessare il colloquio.
Grazia Serra rispondendo con precisione e determinazione alle numerose domande dei legali ha fatto cenno soprattutto alla ferita profonda facilmente visibile al polso sinistro dello zio ormai cadavere presso l’obitorio e ha parlato dello zio come di una persona colta, tranquilla, che amava leggere e amava il suo lavoro di insegnante, ricordando che quell’anno aveva insegnato fino alla chiusura della scuola proprio nella Scuola Elementare di Pollica, senza nessun problema.

Il presidente del tribunale, dott.ssa Elisabetta Garzo, su domanda, ha ammesso le televisioni locali a riprendere le fasi del processo che vede imputati diciotto persone, tra medici ed infermieri.
La prossima udienza si terrà alle ore 14 di martedì 17 maggio 2011. Saranno sentiti altri quattro testi indicati dal P.M., dott. Renato Martuscelli: il comandante della polizia urbana di Pollica e tre dei numerosi ricoverati presso il reparto di psichiatria, che certamente riferiranno della contenzione praticata senza umanità e sena nessun regolamento nell’ospedale di Vallo della Lucania non nel Medioevo ma nell’anno di grazia 2009.


Per il Comitato verità e giustizia per Francesco Mastrogiovanni
               Vincenzo Serra, Giuseppe Galzerano, Giuseppe Tarallo  

Vallo della Lucania, 3 maggio 2011, ore 21,00

venerdì 29 aprile 2011

Aggressione fascista alla facoltà di Lettere


Appuntamento sotto Lettere (porte di massa) ore 16.00
Giorno 28 aprile, intorno alle 9 di sera, dopo la chiusura della facoltà di Lettere, sono comparse sui muri del palazzo svastiche e scritte inneggianti al nazismo.Come di consueto, i compagni della facoltà non hanno aspettato che calasse la notte per cancellare le svastiche e le scritte razziste che hannop imbrattato i muri di un luogo da sempre teatro di lotte studentesche ed antifasciste, preferendo organizzare fin dalla mattoina presto un momento aggregativo e di controinformazione per denunciare l’accaduto e ripulire la facoltà dai segni di quegli infami.
Tra le 10.30 e le 11 pero’, nel bel mezzo dell’iniziativa, tre appartenenti a Cpi Napoli, tra cui il candidato nella lista “Liberi Con Lettieri” Enrico Tarantino, sono passati tra i compagni e dopo un breve diverbio verbale, senza alcuna esitazione, hanno tirato fuori le lame con cui hanno colpito tre dei nostri compagni,attualmente all’ospedale.

Per ora le notizie che abbiamo circa il loro stato sono per due compagni punti di sutura alle braccia e alle gambe ( 9 per uno di loro, dietro il braccio, e 7 in tutto per l’altro ferito ad entrambe le gambe).Un altro compagno  è stato attualmente spostato nel reparto chirurgia; oltre a ricevere 5 punti di sutura dietro la testa per un colpo da cinghia, deve essere operato ad una mano con cui, secondo i medici, si è difeso da un colpo che aveva ben altra e più grave destinazione.Probabilmente i muscoli della mano si sono lacerati,aspettiamo notizie.Gli antifascisti napoletani, di ogni territorio luogo e facoltà stanno intanto accorrendo sotto l’Università in attesa del corteo che partirà proprio da qui alle ore 16.00.
Già fioccano comunicati infami dei fascisti di Casapound, che lamentano di aver subito un’aggressione, ma chiunque passasse sotto la facoltà in quel momento ha ben chiara la dinamica che si è sviluppata: un’aggressione vile, infame e armata contro dei compagni da sempre impegnati nelle lotte antifasciste.
NESSUN AGGUATO RESTERA’ IMPUNITO!
ORA E SEMPRE RESISTENZA!
 
 
Antifasciti napoletani 

lunedì 25 aprile 2011

Quelli che il 25 aprile non festeggiano

Cirielli (Pdl): "Limiti e ombre tra i partigiani". Dozzan (ex An): "Dobbiamo capire che a quel tempo non c'era una parte giusta e una sbagliata per la quale combattere". La Destra: "E' una pseudofesta nazionale". Manifesti fascisti a Roma e corone bruciate in Lombardia

di MATTEO TONELLI
Quelli che il 25 aprile non festeggiano "Basta con la mitologia della Liberazione" ROMA - Chi invoca "la pacificazione". Chi chiede che si faccia luce "sui massacri dei partigiani". Chi tira in ballo le foibe e Togliatti. Chi attacca manifesti con fascio littorio e chi, più sbrigativamente, brucia gli addobbi sistemati sul monumento alla Resistenza. Eccolo il 25 Aprile di chi non festeggia. Di chi puntualizza. Di chi proprio non riesce a vedere nel 25 aprile una festa di tutti. Di chi, nel giorno della liberazione dell'Italia dalla dittatura nazifascista, preferisce invocare una "pacificazione" tra vincitori e vinti che suona tanto come una parificazione tra chi ha lottato per la liberazione del Paese e chi, di quella oppressione, era autore e complice. Il tutto mentre tre parlamentari del Pdl presentano un disegno di legge costituzionale che abolisce la norma della Costituzione che vieta "la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista". LE FOTO DEI MANIFESTI FASCISTI 1 "Bisogna ribadire come non ci si debba chiudere in rappresentazioni idilliache e mitiche della Resistenza e, in particolare, del movimento partigiano, come non se ne debbano tacere i limiti e le ombre" scrive il presidente della Provincia di Salerno, Edmondo Cirielli, deputato del Pdl, in un manifesto fatto affiggere in occasione del 25 aprile. Dove si fa ricadere sull'allora segretario del Pci Palmiro Togliatti la sorte "delle centinaia di migliaia di nostri connazionali costretti a fuggire sull'onda della feroce pulizia etnica delle foibe scatenata dai partigiani jugoslavi del dittatore Tito, con la complicità morale del leader dei comunisti italiani". Cirielli, comunque, non è solo. Con lui si schiera Fabio Garagnani, coordinatore Pdl città di Bologna che parla di "mitologia resistenziale", rivendica la sua non partecipazione alle celebrazioni di lunedì, chiede che si indaghi "sui massacri dei partigiani" e vede nel 18 aprile del 1948 "la vera festa unificante del nostro paese, che con la vittoria elettorale della Dc e dei suoi alleati consenti' all'Italia di consolidare la democrazia liberandola dalla minaccia del comunismo". Da Bologna al Veneto il passo è breve. E i toni analoghi. Stavolta sono gli ex An Elena Donazzan (assessore regionale), Marco Luciani (assessore provinciale), Vittorio Di Dio (assessore comunale) a lanciare l'invettiva contro i partigiani: "Non sono degli eroi, magari qualcuno di loro avrà fatto degli atti coraggiosi, ma sarebbe un errore pensare che la Liberazione sia merito loro. Senza l'intervento degli alleati probabilmente la storia sarebbe stata diversa". La Donazzan si spinge ancor più avanti: "Dobbiamo capire che a quel tempo non c'era una parte giusta e una sbagliata per la quale combattere". Tutti uguali insomma. Fascisti e antifascisti. "Superando ogni divisione per creare una memoria condivisa" invoca il capogruppo del Pdl di Modena Adolfo Morandi. Magari dedicando una strada ad un milite fascista genovese, come chiede Gianni Plinio responsabile sicurezza del Pdl della Liguria. Nella lista dei non celebranti c'è anche chi sceglie di disertare la ricorrenza per protestare contro l'arrivo dei nomadi nel comune che amministra. Come Fabio Stefoni, sindaco di Castelnuovo di Porto, un piccolo comune alle porte di Roma. Non poteva mancare Francesco Storace. L'ex fedelissimo di Fini, adesso leader della Destra chiede che si guardi alla storia d'Italia, Ventennio compreso. "Senza manicheismi" e "con le sue luci e le sue ombre". "130 Anni non sono 150 e ci fa pena chi ne elimina 20. E' storia d'italia. E' illusorio pensare di cancellarla" tuona. Niente feste rivendicano i seguaci storaciani di Lamezia Terme: "Non abbiamo mai festeggiato il 25 aprile e non è nostra intenzione neanche pensarci. Continuiamo a considerare la pseudo 'festa nazionale' come 'misera bugia' con la quale si può ricordare solo la sconfitta nella Guerra Mondiale e la fine sanguinosa di una guerra civile". Chi, sicuramente, lo sciagurato ventennio fascista non lo dimentica, anzi lo rivendica, è colui che ha incollato a Roma centinaia di manifesti con un'immagine di fascisti in trionfo: "25 aprile, buona Pasquetta!". O chi a Corsico, in provincia di Milano, ha bruciato gli addobbi sistemati sul monumento alla Resistenza e asportato quelli presenti su un altro dedicato agli Alpini. (23 aprile 2011) http://www.repubblica.it/politica/2011/04/23/news/liberazione_frasi-15308454/

25 Aprile...Edmondo ci riprova...

SALERNO – Anche quest’anno ha preso carta e penna (o tastiera e monitor) e si è messo a scrivere in occasione della festa del 25 aprile. Fra le tante disgrazie che affliggono gli italiani, alle prese con un governo di inetti, dobbiamo aggiungere anche quella delle “interpretazioni” storiche del deputato Pdl Edmondo Cirielli, presidente della provincia di Salerno. Il 25 aprile, farfuglia, rappresenta “la riconquista della libertà del popolo italiano dopo l'occupazione nazista e la difesa dei valori fondanti per la dignità dell'uomo e per la convivenza civile e democratica della nostra comunità nazionale, compromessi dal fascismo”. Ma, secondo il facondo esponente berlusconiano, è necessario ribadire “come non ci si debba chiudere in rappresentazioni idilliache e mitiche della Resistenza e, in particolare, del movimento partigiano, come non se ne debbano tacere i limiti e le ombre”. Cirielli ricorda – giustamente – gli italiani massacri nelle foibe ma evita evidentemente di collegare quei drammatici omicidi alle precedenti campagne di pulizia etnica volute da Mussolini in Istria, ai danni degli slavi. Una costante del pensiero fascista di questi ultimi anni, finalizzato ad addossare le colpe delle foibe soltanto ai partigiani titoisti e non anche al criminale regime mussoliniano.
Tosi: “Nessuna ombra sul 25 aprile”
“Sui valori che trionfarono il 25 aprile 1945, quelli della libertà e della democrazia contrapposti alla dittatura e alla barbarie nazifascista, non c'è da discutere”. Lo afferma il sindaco di Verona Flavio Tosi secondo il quale “ha fortunatamente vinto chi era nel giusto. Quella del 25 aprile dovrebbe essere una festa di tutti - prosegue - perché, grazie a quegli eventi, tutti possiamo vivere in una società libera e democratica. Gli artefici della Liberazione, oltre alle Forze Alleate e all'Esercito Italiano, furono le Forze partigiane, le quali rispecchiavano una pluralità di opinioni politiche: sarebbe ingeneroso e oltraggioso nei loro confronti - conclude Tosi - iscriverle d'ufficio a una sola parte. Tutti dobbiamo provare pietà per chi è morto nella guerra di Liberazione, anche per coloro che, in buona fede e senza macchiarsi di crimini, si trovarono a combattere dalla parte sbagliata”.
 
DA www.dazebaonews.it

mercoledì 20 aprile 2011

Dioune Sergigme Shoiibou, lasciato morire in carcere con la testa rotta

Non sappiamo quale reato avesse commesso Dioune Sergigme Shoiibou, il trentenne senegalese morto alcuni giorni fa nel carcere Mammagialla a Viterbo. Sappiamo che gli avevano dato sei mesi di pena. Non doveva essere un efferato criminale, non doveva essere troppo pericoloso per la nostra società, non doveva avere motivi di alta sicurezza ostativi nei confronti di un suo soggiorno di cura esterno al carcere.
Aveva avuto un ematoma al cervello, il ragazzo, per rimuovere il quale era stata necessaria un’operazione che lo aveva privato di parte della calotta cranica. Non è facile andarsene in giro con mezza testa. Non è facile vivere in cella, dove i soccorsi sono lenti e parziali, sentendosi il cervello senza protezione. Peggio che andare in moto a duecento all’ora senza casco.
Fatto sta che Dioune si è sdraiato sul letto e non si è più alzato. Si dice che sul suo corpo non si siano visti segni di violenze. Le cause del decesso saranno medici legali e magistrati a stabilirle. Quegli stessi magistrati che, per un reato bagatellare, hanno tenuto in carcere un uomo con il cranio rotto. Eppure le leggi ci sono. C’è il rinvio dell’esecuzione della pena (art. 147 comma due del codice penale), c’è la detenzione domiciliare a casa o in luogo di cura (art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario), ci sono molte possibilità tra le maglie delle norme. Se solo si volessero applicare.
Ma oramai pare che i magistrati che fanno politica siano solo quelli che si schierano pubblicamente contro le nefandezze di Berlusconi, e che tutti gli altri si trascinino con stanchezza utilizzando solo le procedure che creano loro meno responsabilità. Sarebbe bello che la magistratura scegliesse di farsi scudo non solo contro i potenti ma anche a difesa dei deboli. Si fa alta politica e si fa alta società salvando dalla morte un poveraccio che è finito per disgrazia in una delle nostre carceri.

fonte: carta.org

Torna libero Pierluigi Concutelli

Nel '76 uccise il giudice Occorsio Il nipote del magistrato: "Gli avrei dato la pena di morte". L'ex terrorista, oggi 67enne, dal 2009 era agli arresti domiciliari dopo essere stato colpito da una grave ischemia cerebrale. Per l'omicidio del sostituto procuratore e di due neofascisti in carcere è stato condannato a tre ergastoli. E' tornato libero Pierluigi Concutelli, il leader di Ordine Nuovo, che, il 10 luglio del 1976, uccise a Roma il sostituto procuratore Vittorio Occorsio, 'responsabile' di aver portato allo scioglimento il gruppo neofascista. Nei giorni scorsi a Concutelli, fra i protagonisti della stagione del terrorismo nero, è stata infatti riconosciuta la sospensione della pena per le gravi condizioni di salute. L'ex terrorista dal marzo 2009 era agli arresti domiciliari, che aveva ottenuto dopo essere stato colpito da una grave ischemia cerebrale.Secondo il blog "Fascisteria" curato dal giornalista Ugo Maria Tassinari, Concutelli due anni fa "ha subito infatti un grave ictus che gli impedisce di parlare e di alimentarsi regolarmente", si legge nel blog. "Dopo il riconoscimento del beneficio da parte del giudice dell'esecuzione della pena, ha lasciato gli arresti domiciliari - era ospite del fratello a Portogruaro - ed è stato trasferito dagli amici che lo assisteranno in una casetta sul mare, sul litorale di Ostia, a Roma", si spiega nel blog di Tassinari.Il nipote del magistrato. "Io a Concutelli gli avrei dato la pena di morte. E non parlo solo come nipote di Vittorio Occorsio ma perché l'Italia da oggi è un paese meno sicuro con lui in libertà". E' l'opinione di Vittorio Occorsio, nipote ventitreenne del giudice, del quale porta lo stesso nome. Il giovane ha saputo dal padre Eugenio la notizia della liberazione dell'assassino del nonno. "Sono incredulo e amareggiato", ha aggiunto il ragazzo.

La militanza. Romano, oggi sessantasettenne, Concutelli è stato fin da giovanissimo militante di gruppi giovanili di destra a Palermo fino a diventare, nei primi anni Settanta, uno dei capi di Ordine Nuovo.Il 10 luglio del 1976 uccise a Roma il giudice Vittorio Occorsio: arrestato pochi mesi dopo, nella sua casa venne trovato un vero e proprio arsenale. In carcere a Novara, insieme a Mario Tuti, uccise, strangolandoli, altri due terroristi neri detenuti, Ermanno Buzzi e Carmine Palladino, implicati nelle inchieste sulle stragi di Bologna e di Brescia e considerati da Concutelli dei delatori. Per l'omicidio di Occorsio e dei due neofascisti è stato condannato tre volte all'ergastolo.Nel giugno del 2000 ottenne la possibilità di uscire dal carcere durante il giorno per recarsi al lavoro. Il regime di semilibertà gli è stato revocato nell'ottobre dello scorso anno, dopo che fu trovato in possesso di una modesta quantità di hashish.Durante gli ultimi mesi nei quali si è potuto allontanare dalla sua cella, Concutelli, autore anche del libro biografico "Io, l'uomo nero", ha partecipato anche ad una intervista televisiva a La7 durante la quale disse di non essersi pentito del suo passato neofascista, ma di provare rimorso per l'omicidio di Occorsio.Da quando è mstato colpito dall'ischemika cerebrale, Concutelli è assistito da Emanuele Macchi, che fu uno dei capi dello spontaneismo armato. Pariolino, più volte arrestato, Macchi è stato condannato come uno dei capi del Mrp (Movimento rivoluzionario popolare), gruppo di estrema destra collegato a 'Costruiamo l'azione', che compì nel 1978 e nel 1979 attentati dinamitardi contro 'simboli del potere' a Roma: il Campidoglio, la Farnesina, il carcere di Regina Coeli.


http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/04/19/news/terrorismo-15128034/

Dai Compagni del Collettivo Aula R * Scienze Politiche Pisa

Premessa.
Il conflitto in Libia tra l’esercito libico fedele a Gheddafi e la coalizione dei “volenterosi”, – organizzatasi sulla base della risoluzione 1973 dell’Onu la quale lasciava spazio a chiunque di intervenire – è un evento che necessita di essere interpretato e demistificato. Non è possibile infatti decontestualizzarlo dalla serie di proteste nel Maghreb, né dagli interessi delle borghesie europee e occidentali. Oltre al panorama internazionale, da militanti, ci interessa evidenziare – per quanto possibile in quest’occasione – la composizione del soggetto popolare che ha promosso la fuoriuscita del malcontento fra le popolazioni arabe, e dall’altra la serie di interessi che si sono coagulati intorno alla decisione pro intervento militare.

L’incipit: le rivolte del Magreb.

Quello che sta succedendo nel Maghreb è interpretabile solo prendendo coscienza che l’economia del mondo è ormai definitivamente globalizzata, e il mercato delle merci è mondiale. Dall’altra c’è una classe di sfruttati di tre miliardi di uomini e donne in continua competizione per un salario (fenomeno mai verificatosi in queste proporzioni) che non sa riconoscere se stessa, né la natura del suo sfruttamento, né tanto meno ciò che potrebbe definitivamente risollevarla dalla miseria, dalla disoccupazione e dallo status perenne di “lavoratore povero”.

Ad alcuni sembrerà che ci stiamo allontanando dalla questione della guerra in Libia, che questa analisi poco abbia a che fare con un intervento armato contro Gheddafi, che i tunisini, gli egiziani, gli yemeniti in realtà cercano solo uno Stato meno corrotto, una democrazia dei diritti.

Quello che interessa mettere in luce, in queste poche righe, è invece ciò che di poco casuale traspare dalla composizione delle masse dei rivoltosi, dal loro essere specifico. Le proteste scoppiate nei paesi arabi sono, a nostro avviso, l’ultima e più radicale esternazione del malessere dovuto al graduale peggioramento delle condizioni di vita. Malcontento e povertà che vanno di pari passo con uno sfruttamento intensivo, bassissimi salari e una disoccupazione che si alterna a piccoli periodi di lavoro (che noi definiremmo “flessibile”) senza tutele e nessuna sicurezza sul lavoro. Rasentando il nocciolo della questione Giuliana Sgrena sul Manifesto del 7 aprile afferma che i tunisini si ribellano perché non hanno prospettive per il futuro, che essi rigettano la Tunisia di Ben Alì e del precariato. A questo punto, secondo la giornalista, la soluzione realizzabile per cui è giusto che sperino e lottino i tunisini sarebbe la democrazia dei diritti, forse su un modello europeo… Come qui in Italia verrebbe da dire!

Tralasciando le conclusioni (poco) politiche, quello che qui c’interessa è la condizione di questi giovani, oltre che sfatare alcuni luoghi comuni sulla presunta arretratezza delle economie di questi paesi. L’Egitto per esempio, ma anche la Tunisia, non sono economie ristagnanti, bensì hanno tassi di crescita che hanno indotto alcuni economisti a definirle le Tigri Africane di inizio terzo millennio. E con loro altri paesi africani: in Egitto nel 2009 il PIL è calato del 2,3 % ma nei tre anni precedenti era cresciuto del 7 % (ciò significa nel 2010 una crescita, rispetto al 2008, del 4,7 %), sempre nel 2009 la Tanzania è cresciuta del 7,4 %, l’Etiopia del 9,9 %, l’Uganda del 10,4 %, il Mozambico del 6,3 %.

Un altro dato molto interessante – e che palesa come per il proletariato giovanile esista una comunanza di situazioni fra un Occidente “progredito e post-tutto” e un Oriente “arretrato al Medioevo” – è l’altissimo tasso di disoccupazione dei giovani dei paesi arabi. Ragazzi e ragazze senza prospettive certe di lavoro, ma con un curriculum da persona scolarizzata e qualificata molto occidentale. Questi giovani alternano periodi prolungati di disoccupazione a brevi tempi di lavoro, ottenuto sempre e comunque tramite un sistema di capolarato pre-capitalista (mica le nostre agenzie interinali!). La generazione – e non è solo una generazione ma almeno due – che ha a che fare con i 46 contratti atipici della legge 230 ha probabilmente gli stessi problemi della gioventù tunisina ferma al bar in attesa di una retribuzione. E stiamo a domandarci ancora cosa avrebbero a che fare con noi?

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