domenica 30 maggio 2010

La NATO in Afghanistan: guerra mondiale in un unico paese

di Rick Rozoff, giornalista investigativo specializzato in questioni della NATO.

Da quando la North Atlantic Treaty Organization (NATO – Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico) ha assunto il controllo dell’International Security Assistance Force (ISAF) in Afghanistan nel 2003, l’entità delle truppe che servono sotto questo comando è aumentato da 5.000 a 100.000 uomini.

Attualmente, in quella nazione sono presenti 134.000 uomini di truppe straniere, sommando i soldati statunitensi che operano separatamente nell’ambito dell’Operazione Enduring Freedom, sebbene il numero complessivo raggiungerà le 150.000 unità entro l’estate e la maggior parte delle truppe usamericane che ora non sono sotto comando NATO presto lo saranno.
Vi sono 47.000 soldati di truppa provenienti da paesi membri o consociati della NATO.
I soldati degli Stati Uniti in Afghanistan tra poco supereranno quelli presenti in Iraq.
Oltre 1.600 uomini degli Stati Uniti, della NATO e dei loro alleati sono stati uccisi nel teatro di guerra, e 520 di questi sono caduti nell’ultimo anno. I caduti statunitensi sono più che raddoppiati dal 2008 al 2009, da 155 a 318.

Più di 170 civili afghani sono stati uccisi finora quest’anno, un aumento del 33 percento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Da gennaio ad aprile, le forze armate degli Stati Uniti e della NATO hanno ucciso 90 civili, un aumento del 76 percento rispetto ai 51 nello stesso periodo del 2009. [1]

Più di 300 persone, quest’anno, sono state ammazzate durante attacchi missilistici sferrati da droni (velivoli telecomandati) contro supposti covi di ribelli in Pakistan, portando il totale delle morti in tali attacchi a più di 1000, dall’agosto del 2008.
Questo febbraio, a Marjah, 15.000 uomini delle truppe degli Stati Uniti, della NATO e del governo afghano hanno partecipato all’offensiva di terra a più largo raggio di questa guerra, e sono state ammassate più di 23.000 uomini nella provincia meridionale Kandahar per un assalto pianificato per l’inizio del mese prossimo.

Con i recenti annunci che il Montenegro, la Mongolia e la Corea del Sud sono diventate ufficialmente la 44.esima, la 45.esima e la 46.esima nazione a contribuire con loro truppe - il Bahrain, la Colombia, l’Egitto e la Giordania hanno già provveduto o si sono impegnate a fornire truppe, ma non è stata ancora ufficializzata questa designazione – in Afghanistan saranno presenti unità militari provenienti da 50 nazioni di tutti i continenti popolati al servizio dell’Alleanza militare del Nord-Atlantico impegnata in una guerra nell’Asia centrale, che il 7 ottobre entrerà nel suo decimo anno.
L’Australia, con 1.550 soldati, è impegnata nelle sue prime operazioni militari a partire dalla guerra del Vietnam ed ha subito l’esperienza dei suoi primi caduti. Il Canada a partire dalla guerra di Corea. La Germania e la Finlandia dalla seconda guerra mondiale. I quattro soldati della Svezia uccisi nel nord dell’Afghanistan sono i primi caduti di un paese scandinavo da quasi 200 anni.

Gli effetti della guerra in Afghanistan non si sono limitati alle perdite sul campo di battaglia, anzi!
L’anno scorso, la Danimarca, membro della NATO, ha speso 415 milioni di dollari per la sua missione in Afghanistan, oltre 135 milioni di dollari rispetto al 2007. Visto che il bilancio complessivo del 2009 per la difesa nazionale era di 3,87 miliardi di dollari, la guerra in Afghanistan ha rappresentato quasi un nono delle spese militari annuali del paese. La Danimarca, che ha perso in Iraq sette soldati, ne ha già persi 31 in Afghanistan. Nell’ultima settimana, la base danese nella provincia di Helmand è stata attaccata da rivoltosi e sono stati feriti undici soldati danesi.
Il 9 maggio, ad Helmand è stato ucciso un soldato britannico, il quarantesimo caduto dell’anno e 285.esimo caduto dall’inizio della guerra, superando così i 255 caduti nel 1982 nel corso della guerra contro l’Argentina per le isole Falkland /Las Malvinas, che costituiva il numero più elevato di caduti dalla guerra britannica contro la guerriglia in Malaya negli anni cinquanta del Novecento. Per confronto, il Regno Unito ha registrato 179 morti in Iraq.

Nel corso dell’ultimo fine settimana, quattro militari francesi sono stati feriti, uno in maniera molto grave, in una esplosione di una mina nel settore nord-est della capitale afghana.
Il 12 maggio, veniva riferito che era caduto nel sud dell’Afghanistan un soldato della Romania, il dodicesimo morto di questo paese.
Meno di una settimana prima, il 6 e il 7 maggio, il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen si trovava nella capitale della Romania Bucharest per incontrare il presidente del paese e il primo ministro ed elogiava l’impegno del governo nella guerra afghana – la Romania di recente aveva annunciato un rafforzamento di truppe incrementato a 1.800 uomini – come “sostanziale, senza sospensive, con un’attenzione crescente all’addestramento.” [2]

Una settimana prima, il capo della NATO si trovava in Albania e in Croazia, nuovissimi membri del blocco militare, e perorava l’invio di più forze in Afghanistan, compreso quello di istruttori militari.
Durante il suo viaggio di quattro giorni in Europa all’inizio di questo mese, il vice presidente degli Stati Uniti Joseph Biden, fra le altre richieste, sollecitava ulteriori contributi degli alleati NATO alla guerra afghana, che comprendevano il consolidamento di un sistema europeo di intercettamento missili sotto controllo statunitense, e rivolgendosi ai 1.100 componenti della Brigata spagnola di paracadutisti di fanteria leggera, impiegati in Afghanistan in luglio, affermava:
“Desideravo tanto essere qui oggi per rendere omaggio a questo gruppo di combattenti che sono stati fianco a fianco dei combattenti degli Stati Uniti in Afghanistan. Come alleati nella NATO noi stiamo operando insieme…” [3]

Nel febbraio di quest’anno il governo del primo ministro spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero annunciava che stava inviando 511 uomini di truppa in più in Afghanistan, portando il contingente spagnolo a 1.600 uomini.
Poco prima di incontrare Biden, Zapatero e il suo ministro della difesa visitavano il quartier generale dela NATO a Brussels, dove il primo ministro spagnolo dichiarava che l’Afghanistan è “la missione primaria della NATO in questo momento all’estero,” aggiungendo che è “molto importante rinnovare la nostra fiducia nella strategia attuale in Afghanistan ...” [4]

Il 3 maggio, il “The Times of London” scriveva di una intensificazione del conflitto nel nord
dell’Afghanistan, che fino a poco tempo fa era stato relativamente pacifico, ma dove di recente la Germania aveva perso la maggior parte dei 47 soldati caduti in combattimento e dove la Finlandia e la Svezia avevano subito perdite.
Il quotidiano britannico scriveva che “truppe della Germania sono impegnate nei primi conflitti a fuoco affrontati dall’esercito tedesco dal 1945, per far fronte al montare dell’offensiva dei Talebani nel nord dell’Afghanistan.” [5]

Il generale Stanley McChrystal, comandante in capo di tutte le forze armate degli Stati Uniti e degli altri alleati in Afghanistan, sia dell’International Security Assistance Force che della statunitense Operation Enduring Freedom, recentemente ha annunciato il dispiegamento di 56 elicotteri e di 5.000 uomini delle truppe statunitensi da mettere sotto comando germanico nel nord dell’Afghanistan.

Da quando la NATO, nel 2006, aveva assunto il controllo del settore meridionale dell’Afghanistan “era la prima volta dalla seconda guerra mondiale che truppe statunitensi venivano poste sotto il comando straniero in una situazione di combattimento.” [6] Anche il generale di brigata del Comando Centrale Douglas Raaberg sottolineava questo avvenimento.
Il capo del Comando Centrale, generale John Abizaid, dichiarava all’Associated Press che “la NATO ha bisogno di aggrapparsi a questa missione per interesse della NATO stessa. Balzare fuori dai confini dell’Europa, è qui che l’Alleanza necessita di andare per conservare un ruolo idoneo alle situazioni future.”
Allora, l’Associated Press scriveva che “Abizaid ed altri hanno ribadito che la missione in Afghanistan segna il punto della storica espansione della NATO, che potrebbe vedere l’Alleanza assumere ulteriori missioni in Africa o in qualsiasi altra parte del mondo.” [7]

Una lapide per Alceste Campanile

A 35 anni dall'omicidio Campanile, Reggio non ha una targa per ricordare il militante di Lc ucciso dai fascisti. La campagna di Liberazione per un gesto di memoria.
Checchino Antonini

Era la notte del 12 giugno '75 quando, nella campagna solcata dalla provinciale Montecchio-S.Ilario, venne ritrovato il corpo di Alceste Campanile. Ventuno anni e una voce bellissima, insegna chi s'è preoccupato di salvaguardarne la memoria: Sergio Sinigaglia, marchigiano, all'epoca in Lotta continua. Proprio come Campanile che l'aveva ammazzato una calibro 7,65. Sinigaglia ne scrive sul sito reti-invisibili, inventato da Haidi Giuliani quando pensò di tirare un filo tra i comitati di verità e giustizia e animato dall'infaticabile "Baro" Barilli, mediattivista artefice di più d'una incursione su Liberazione. Inutile cercare tracce a Reggio Emilia, la città di Alceste, perché mai nessuno ha posto una targa per lui. Eppure questo militante che sapeva suonare benissimo la chitarra è l'ultimo martire reggiano dell'antifascismo, trent'anni dopo la guerra e quindici dalla strage di piazza della Vittoria che fece cinque vittime.
Perché in tutta Reggio non c'è una lapide, un monumento, una via o anche solo un albero che ricordi Alceste Campanile? La domanda ha preso a risuonare in città da pochi giorni, da quando è stato presentato «La primula nera» scritto da Giovanni Vignali dedicato alla carriera criminale di Paolo Bellini e ai misteri d'Italia. Il giornale cittadino ha lanciato un sondaggio tra i lettori e il municipio ha fatto sapere di non aver nulla in contrario purché sia la società civile a domandarlo. Liberazione vuole essere una di quelle voci.
E vuole continuare a raccontare quella storia. Era, pure allora, un tempo di violenze e agguati neofascisti, ma l'inchiesta prenderà una strana piega. «Infatti gli inquirenti iniziano a interrogare i compagni di Alceste e perquisiscono numerose abitazioni di militanti di Lc», scrive ancora Sinigaglia, autore - con Barilli - di "La piuma e la montagna". Spunta un biglietto con un numero telefonico di Napoli, chi indaga detta ai cronisti fedeli che si tratta di un recapito di un noto esponente dei Nap, Nuclei Armati Proletari, una formazione clandestina fondata da fuoriusciti di Lc. Se avessero chiamato, invece, avrebbe risposto Goffredo Fofi, noto intellettuale e animatore della "mensa dei bambini proletari", esperienza che Alceste voleva conoscere. Vittorio Campanile, padre di Alceste era un uomo di destra e sostiene la pista rossa e una forsennata campagna contro gli amici e le amiche del figlio. Solo trent'anni dopo la confessione di Paolo Bellini squadrista di allora. Nel frattempo gli inquirenti avevano tentato perfino un collegamento con lo sciagurato sequestro dell'ingegnere Carlo Saronio, conclusosi tragicamente, attuato da un ex di Potere Operaio, Carlo Fioroni, in combutta con la mala milanese. Nel teorema Alceste, amico del presunto autonomo e basista per il riciclo del riscatto, avrebbe visto ciò che non doveva e sarebbe stato eliminato. I suoi compagni, fin da quel 12 giugno, avevano visto giusto: gli assassini erano fascisti. Bellini, reoconfesso, verrà premiato: la sua collaborazione declassa l'accusa da "omicidio premeditato" a "semplice". L'happy ending, solo per lui, è la prescrizione.

La Diaz per loro

Lorenzo Guadagnucci (Comitato Verità e Giustizia per Genova)
Fonte: Il Manifesto, 25 maggio 2010

 Caro direttore, la notte del 21 luglio 2001 uscii dalla scuola Diaz coi piedi in avanti, legato a una barella e le braccia fasciate alla meglio: una posizione davvero umiliante. Attraversando il cortile, in mezzo a decine di poliziotti e con un elicottero che faceva un rumore infernale, colsi un'immagine che resta uno dei ricordi più netti che ho di quella notte: c'era un gruppetto di signori, in giacca e cravatta, che confabulavano; qualcuno parlava al telefonino. Mi parvero degli alieni. Chi erano? Che facevano cosi' computi in quel luogo di violenze, sangue, urla e pianti? Oggi posso dare loro un nome: erano Francesco Gratteri, Giovanni Luperi, Gilberto Caldarozzi e qualche altro, insomma i dirigenti condannati la scorsa settimana in tribunale a Genova. Mentre il presidente Salvatore Sinagra leggeva il verdetto, ho ripensato a quella scena di nove anni fa e ai nostri percorsi: il mio e il loro. Quella notte a me ha cambiato la vita. In breve, sono diventato un attivista sociale: ho scritto un libro ("Noi della Diaz") per raccontare quella notte, partecipato a molte centinaia di incontri in mezza Italia, contribuito a fondare il Comitato Verita' e Giustizia per Genova. Ho voluto conoscere dei sindacalisti di polizia, per capire meglio quel che succedeva dall'altra parte dei manganelli. Alla fine ho capito che Genova G8 e' stato un punto di svolta per il nostro paese: il potere ha colpito e criminalizzato un movimento culturale e politico che raccoglieva consenso crescente e poneva le domande giuste, e ha stretto un patto tacito con i cittadini: benessere e "sicurezza" in cambio di meno diritti e meno liberta' . Nel gennaio 2009, quando e' uscito il mio libro "Lavavetri", dedicato al fantasma della sicurezza e alle ordinanze repressive di decine di sindaci, ho capito di avere scritto il secondo capitolo di "Noi della Diaz". Battersi per ottenere giustizia nei processi scaturiti dal G8 e contestare i poteri di polizia dei sindaci, le schedature del popolo rom, il diritto speciale per i migranti e' assolutamente la stessa cosa. Senza il G8 di Genova (e il gravame della cosiddetta lotta al terrorismo dopo l'11 settembre) non ci sarebbe tutto il resto, nemmeno la catena di violenze e di abusi contro cittadini inermi (da Aldrovandi a Cucchi, Gugliotta e via elencando). E' nel luglio 2001 che e' cominciato il progetto di "governare con la paura".
Rammento anche un'altra cosa. Il 24 luglio 2001, una volta scarcerato, mi feci una promessa: fare il possibile per ritrovare la fiducia perduta la notte di sabato 21, quando concetti come democrazia, garanzie costituzionali, diritti umani smisero all'improvviso di sembrarmi certezze sulle quali in Italia e' possibile contare.
Quanto a loro, i dirigenti che notai nel cortile della Diaz, non so che pensieri abbiano fatto in questi anni. So che avevano carriere importanti alle spalle, ero e resto convinto che avrebbero fatto bene a dimettersi già il 22 luglio, o almeno quando e' arrivato il rinvio a giudizio. Ma l'unico poliziotto che abbia pensato alle dimissioni per il disgusto provato di fronte agli abusi della Diaz e' il commissario Montalbano, amatissimo dagli italiani ma come noto inesistente. E comunque alla fine, nel romanzo "Il giro di boa", non si e' dimesso neppure lui...
I nostri dirigenti, come sappiamo, hanno addirittura fatto carriera, nonostante la "macelleria messicana". Ora leggo che il capo della polizia Antonio Manganelli e il ministro Roberto Maroni ribadiscono «piena fiducia» nei loro confronti e annunciano che non saranno sospesi, in attesa che la Cassazione si pronunci. Il sottosegretario Alfredo Mantovano aggiunge di avere la «ragionevole presunzione» di ritenere che la Cassazione cancellerà la sentenza d'appello e tornerà al giudizio di primo grado, con l'assoluzione della catena di comando: non afferro su quali basi Mantovano arrivi a questa «ragionevole» previsione, ma detta cosi' somiglia molto a un'indebita pressione sui giudici. In ogni caso la fiducia del governo e' garantita e forse basta riflettere su questo concetto per arrivare alla lezione conclusiva di Genova G8. All'indomani della Diaz, quando pensavo alla fiducia da ritrovare, io mi riferivo a qualcosa che sale dalla base verso il vertice, come normalmente avviene nei regimi democratici. Oggi ministri e poliziotti hanno rotto tutti i ponti con quest'antica concezione: la fiducia scende dal potere politico verso il vertice di polizia e li' si ferma. Il circuito e' chiuso: la magistratura disturba, i cittadini non sono nemmeno presi in considerazione. I dirigenti della Diaz, perduta la credibilita' sia di fronte ai magistrati sia rispetto ai cittadini, si rifugiano nella "fiducia" del potere politico del momento. La domanda allora e': siamo ancora in una democrazia? Non so, ma per quanto mi riguarda ho smesso da tempo di parlare di democrazia senza usare aggettivi: autoritaria e' quello che mi pare al momento piu' calzante per il nostro paese.
Per finire ho una domanda per i parlamentari dell'attuale opposizione. Non voglio chiedere conto della commissione d'inchiesta naufragata nel 2007 e nemmeno della promozione accordata dal governo Prodi a Gianni De Gennaro: la sentenza propone nuovi scenari e vorrei quindi sapere da che parte stanno, perche' in questi giorni non sono riuscito a capirlo. Sono con noi, che rivendichiamo giustizia e anche il diritto dei cittadini e degli agenti di polizia ad avere dirigenti credibili e al di sopra di ogni sospetto, o credono anche loro che il principio di fiducia e' un patto che unisce un ministero e un gruppo di dirigenti escludendo ogni controllo esterno? Sarebbe importante saperlo, perchè nei mesi prossimi dovremo darci da fare per spezzare quel patto, che avvelena la democrazia ma non e' invincibile, e anzi puo' esistere solo se circondato dall'indifferenza.

sabato 29 maggio 2010

Nazisti uccidono ancora un compagno in Russia‏


Ieri vicino al ponte della zona nord-ovest di Mosca, un gruppo di giovani musicisti russi con diversi amici e invitati si sono ritrovati per celebrare il compleanno di uno di loro.

Dopo la festa molte persone cominciavano ad andare via mentre le restanti 15-20, la maggior parte dei quali erano ragazzine, si sono attardate per ripulire.

Molti di loro sono musicisti o semplicemente appassionati di musica pesante, tra cui hardcore: forse questa caratteristica e, in particolare, i tatuaggi sul corpo hanno catturato l'attenzione dei neo-nazisti che scambiandoli per attivisti del movimento anti-fascista hanno deciso così di attaccarli provocando ancora una volta una tragedia.

Infatti ad un certo punto sbucati dal ponte sono arrivati 40 neonazisti che hanno attaccato il gruppo lanciando pietre e oggetti, urlando "sono loro sono loro!"

Colpendo le persone presenti con coltelli, bastoni e oggetti contundenti hanno ferito gravemente una ragazza alla schiena e lasciato in un bagno di sangue Dmitry Kashitsyna, nato nel 1982.
E' stato accoltellato in 15 punti.
Dmitry è morto subito sul posto.
Un' altro compleanno un'altra tragedia.
E come sempre mentre la polizia arriva 10 minuti dopo l'aggressione omicida, l'ambulanza arriva dopo 40.
L'attacco è stato pianificato e voluto, come evidenziato da diversi fatti: il primo è che l'attacco è stato effettuato proprio al termine della festa, il secondo fatto è che quindi qualcuno sapeva del ritrovo e che volgeva al termine, il terzo è la chiara firma dei nazifascisti che colpiscono in gruppo urlando slogan nazisti e che usano armi da taglio e bastoni.
Il quarto elemento, e il più significativo, è che erano tutti mascherati.
Nessuno dei presenti era coinvolto con gli antifascisti e anche Dmitry Kashitsyn non aveva mai avuto alcun rapporto con il movimento anti-fascista , era semplicemente un ragazzo russo appassionato di musica pesante che di tanto in tanto andava ai concerti dei gruppi preferiti.
Questo omicidio dimostra ancora una volta che la minaccia di essere picchiati o uccisi dai neonazisti riguarda ognuno di noi, indipendentemente dall'età, dal sesso e dalla nazionalità.
Gli antifascisti moscoviti esprimono sincere condoglianze ai parenti del defunto.
Faremo tutto il possibile per garantire che chi ha fatto ciò non rimanga impunito.
Ancora una volta eventi simili devono convincerci tutti che la minaccia neonazista è reale e che vi è l'urgente necessità di affrontare i neo-nazisti e tutti coloro che simpatizzano con loro.
E' dovere di ogni persona sana di mente fare tutto il possibile per garantire che tutto questo non debba mai più accadere.
Un gruppo di amici ha organizzato una raccolta di denaro per sostenere la sua famiglia.


Nessuna pietà verso queste carogne!

venerdì 28 maggio 2010

[Pavia] Falsi dossier sui Rom

A Pavia falsi dossier sui Rom. Per il Comune Radu Romeo era un mostro e i suoi figli degli asociali che – «sull'esempio del padre» – rifiutano ogni «percorso di integrazione». Al contrario, per il Tribunale «il loro comportamento dimostra quanto la famiglia li stia educando in maniera corretta, insegnando loro l'importanza dello studio e il rispetto delle regole di buona convivenza». Una sentenza giusta ed esemplare: annullato il decreto di allontanamento prefettizio.

di Giovanni Giovannetti

«Bluffano sui dati, raccontano balle...» Ricordate? Cominciava così un mio articolo del dicembre scorso, poco dopo lo sgombero "politico" del Centro comunale di prima accoglienza a Fossarmato presso Pavia, «uno sporco gioco sulla pelle di uomini donne e bambini rumeni» messi con la forza in mezzo a una strada in pieno inverno. La cacciata dei Rom fu un atto di puro arbitrio, senza il supporto di un'ordinanza del sindaco (obbligatoria in questi casi) preceduta dalla divulgazione di falsi dossier e da un'infamante campagna di criminalizzazione orchestrata dal sindaco Cattaneo e dall'assessore Assanelli, due che si dicono cristiani.

I falsi dossier erano opera di Carla Galessi, la superpagata dirigente dei Servizi sociali (96 mila euro annuali in pubblico denaro), superpagata per raccontare balle galessiche ai cittadini pavesi e al Prefetto che, fidandosi, ha poi firmato sette decreti di allontanamento a carico di persone appartenenti a cinque famiglie (di famiglie il Comune ne ha infine cacciate dieci).

In solitudine, sul "Primo amore" avevo denunciato l'incredibile misto di razzismo e menzogne; sei mesi dopo, la conferma arriva da una sentenza del Tribunale di Pavia, a cui Radu Romeo – assistito dalla Camera del lavoro e dagli avvocati Francesca Segagni e Sara Brusoni – unico tra loro, si era fiduciosamente rivolto: accolto il ricorso, annullato il provvedimento.

La sentenza commenta anche le false carte comunali: in una nota del 7 settembre 2009 la dirigente dei Servizi sociali ha sostenuto che Radu «non è immune da precedenti penali e di polizia, conduce un tenore di vita non idoneo alla sua situazione, ha rifiutato una borsa lavoro […] non è integrato nella società italiana». Dunque «si sospetta che il suddetto possa trarre il proprio sostentamento da attività illecite». Né sugli aggiornatissimi certificati dei "carichi pendenti" né sul "casellario giudiziale" sono risultati procedimenti penali a suo nome, così come non troviamo i millantati precedenti giudiziari. Normalmente si dovrebbe sentire il dovere di esibire prove, documentare fatti, invece in Comune «si sospetta...» e in Prefettura nemmeno si sospetta che si tratti di una sòla costruita ad arte, così come è stato infine accertato.

La banda Galessi-Cattaneo-Assanelli infierisce anche sui tre figli di Romeo: «I maggiorenni non risultano inseriti nel tessuto nazionale. Il Comune di Pavia ravvisa, per loro, gli estremi di una situazione di "drop-out"» ovvero «il rifiuto dei predetti di seguire un percorso di integrazione, probabilmente dettato dall'esempio del padre». Insomma, per i contaballe comunali Romeo è un mostro. Allora forse stupiranno nell'apprendere che il Tribunale pavese ha rilevato che è vero esattamente il contrario; e bene hanno fatto e fanno i figli di Romeo a seguire l'esempio del padre: il maggiore frequenta assiduamente e con profitto un istituto professionale; i voti – recita la sentenza – sono «spesso al di sopra della sufficienza», dimostrando un costante «impegno, volontà di apprendere, buona conoscenza della lingua italiana e perfetta integrazione nel tessuto scolastico e sociale». La secondogenita, pur avendo perso l'anno a causa dello sgombero «ha in programma di iscriversi a giugno ad un corso serale». Quanto al più piccolo, la certificazione rilasciata al giudice Confalonieri dal dirigente scolastico sottolinea «l'ottimo rendimento in tutte le materie» e una più che «buona disponibilità a relazionarsi con gli altri nel rispetto delle regole di convivenza». Su rispetto delle regole e della civile convivenza è dunque il caso che Cattaneo, Assanelli e Galessi prendessero lezioni da questi piccoli Rom e dai loro genitori: come si legge nella sentenza, «il loro comportamento dimostra quanto la famiglia li stia educando in maniera corretta, insegnando loro l'importanza dello studio e il rispetto delle regole di buona convivenza».

Non è finita: leggiamo poi che Radu Romeo è un «lavoratore autonomo integrato nel tessuto socio economico del Paese, dispone per se stesso e per i propri famigliari di risorse economiche sufficienti per la conduzione di un'esistenza dignitosa, non è un onere a carico dell'assistenza sociale […] e non rappresenta un pericolo per la società»: sono motivi sufficienti per annullare il provvedimento prefettizio, emesso il 12 novembre 2009, dodici giorni prima che Radu – in forza di quella cartastraccia – venisse cacciato dal centro di Fossarmato insieme a moglie e figli.

La Prefettura ha perso, Romeo ha "vinto". La sentenza restituisce dignità a lui e credibilità allo Stato di diritto.

Ma quale dignità potrà fingere di avere ora la bugiardissima romofobica Carla Galessi? Come dimenticare quell'altro falso dossier infamante su presunti episodi di prostituzione minorile tra i Rom ospitati nel Centro di San Carlo? Che dire poi dell'altrettanto bugiardo sindaco Cattaneo, secondo cui quelli come Romeo «non si vogliono integrare»? E l'assessore Assanelli? Aveva ritagliato su di loro la menzogna degli «uomini difficilmente difendibili». E ora?

- Parte lesa è la Prefettura, che ha creduto ai falsi dossier di sindaco e assessorato, esponendosi così a una sonante figuraccia.

- Parte lesa sono i cittadini, di fronte alla sistematica irrisione delle norme da parte di chi invece ne dovrebbe garantire il rispetto.

- Parte lesa sono le dieci famiglie rumene illecitamente sgomberate da Fossarmato e da San Carlo, le stesse che, coltivando non infondati pregiudizi verso istituzioni così profondamente illiberali e antidemocratiche, sfiduciate, hanno subìto la violenza comunale, senza nemmeno provare a far valere i loro diritti di esseri umani prima che di cittadini.

- Parte lesa sono le istituzioni, quelle rese astratte da chi erige muri – a Fossarmato come in Borgoticino – di fronte a ogni realtà dinamica e fuori dal coro.

- Parte lesa è la ragione, sistematicamente irrisa da chi coltiva la cultura dell'odio, chi promuove Pavia come terra di frontiera senza più spazi sociali né sensibilità umana. E lo fa solo per nascondere l'incapacità di interazione tra la politica accattona e le esigenze del territorio, oltre che con la vita delle persone.



Berlusconi cita Mussolini all'Ocse

Berlusconi cita Mussolini all'Ocse:"Io non ho nessun potere"

PARIGI - Conferenza stampa del vertice Ocse a Parigi. L'Italia è presidente di turno. E Berlusconi cita i diari di Benito Mussolini. ""Come primo ministro non ho mai avuto la sensazione di essere al potere, quando ero imprenditore e avevo 56mila collaboratori avevo la sensazione di avere del potere. In una vera democrazia sono al servizio di tutti, tutti mi possono criticare e magari anche insultare. Chi è in questa posizione non ha veramente potere", dice il presidente del Consiglio. Poi tira in ballo i diari del Duce, letti "recentemente": "Oso citarvi una frase di colui che era considerato come un grande dittatore: dicono che ho potere, ma io non ho nessun potere, forse ce l'hanno i gerarchi, ma non io. Io posso solo decidere se far andare il mio cavallo a destra o a sinistra, ma nient'altro". "Lo stesso succede a me, tanto che tutti hanno il diritto sia di criticarmi che di insultarmi...", aggiunge il premier. "Quindi - conclude - il potere se esiste non esiste addosso a coloro che reggono le sorti dei governo dei vari Paesi". Il che non impedisce che Berlusconi vanti durante la conferenza stampa un gradimento altissimo: "Malgrado la manovra di sacrificio, il mio apprezzamento come primo ministro è oltre il 62%".

Le parole di Berlusconi suscitano immediate reazioni in Italia. "Citare Mussolini durante l'incontro dell'Ocse a Parigi - commenta il portavoce dell'Idv Leoluca Orlando - è l'ennesima gaffe internazionale di un capo del governo che scherza su tutto, ormai privo di ogni freno inibitorio". E ancora: "Quello del presidente del Consiglio è l'atteggiamento di chi vive una profonda condizione di insicurezza. Noi riteniamo che Berlusconi debba dimettersi oppure si debba concedere un periodo di riposo per il bene dell'Italia. Limiti i danni che sta facendo alle credibilità del nostro Paese e ai diritti degli italiani e ci risparmi almeno il saluto romano e la camicia nera".

(27 maggio 2010)

Manovra economica , Salerno-Reggio a pagamento Ecco dove si pagherà il pedaggio

ROMA (27 maggio) - Non solo raccordi autostradali, ma anche autostrade in gestione diretta dell'Anas - come ad esempio la Salerno-Reggio Calabria - saranno sottoposti all'applicazione del pedaggio. VOTA IL SONDAGGIO È quanto si evince dal testo finale della Manovra economica, secondo la quale «entro quarantacinque giorni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti criteri e modalità per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas spa, in relazione ai costi di investimento e di manutenzione straordinaria oltre che quelli relativi alla gestione, nonchè l'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio».

Ecco quali saranno tutte le tratte, attualmente gratuite, che a breve diventeranno a pagamento.

Autostrade A3 – Autostrada Salerno-Reggio Calabria; A18 – Diramazione di Catania; A19 – Autostrada Palermo-Catania; A19 – Diramazione per via Giafar; A29 – Autostrada Palermo-Mazara del Vallo; A29 – Autostrada Alcamo-Trapani; A29 – Diramazione per Birgi; A29 – Diramazione per Punta Raisi; A29 – Raccordo per via Belgio; A91 – Autostrada Roma-Aeroporto di Fiumicino; A90 – Autostrada Grande Raccordo Anulare

Raccordi autostradali: Raccordo tangenziale Nord città di Bologna; Raccordo autostradale Salerno-Avellino; Raccordo autostradale Siena-Firenze; Raccordo autostradale di Reggio Calabria; Raccordo autostradale Scalo Sicignano-Potenza; Raccordo autostradale Bettolle-Perugia; Raccordo autostradale Pavia-Autostrada A7 Milano-Serravalle; Raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi; Raccordo autostradale di Benevento; Raccordo autostradale Torino-aeroporto di Caselle; Raccordo autostradale Ascoli-Porto d’Ascoli; Raccordo autostradale Chieti-Pescara.



Amnesty International: “l’Italia viola i diritti umani”.

Migliaia di rom residenti a Roma si trovano di fronte alla minaccia di subire molteplici violazioni dei diritti umani come effetto del nuovo piano destinato a chiudere buona parte dei campi della capitale.

Il "Piano nomadi" spiana la strada allo sgombero forzato di migliaia di rom e al trasferimento della maggior parte di essi, ma non di tutti, in campi ampliati o di nuova costruzione situati nella periferia di Roma.

Anche se sono state effettuate alcune consultazioni nei campi coinvolti dal "Piano nomadi", gli standard internazionali sui diritti umani richiedono che vangano consultate tutte le persone di cui è previsto lo sgombero. Coloro che saranno titolati a essere trasferiti verranno portati in altri campi, non in alloggi permanenti in cui molti rom vorrebbero vivere. Non avranno possibilità di scegliere in quale campo andare.

Molti temono che le loro prospettive d'impiego e la carriera scolastica dei figli verranno compromesse. Ma questi sono i fortunati. Agli altri non verrà fornito alcun alloggio alternativo: alcuni lasceranno Roma, altri troveranno un rifugio dove potranno, fino a quando non verranno di nuovo sgomberati.

Firma l'appello.

Commissario straordinario per l'emergenza nomadi a Roma
Prefetto Giuseppe Pecoraro
Prefetto di Roma
Via IV Novembre 119/a
00187 Roma


Egregio Commissario straordinario

Le scriviamo per esprimere la nostra profonda preoccupazione relativa al "Piano nomadi" che, qualora fosse attuato, causerebbe molteplici violazioni dei diritti umani dei rom.

Il piano contiene numerose disposizioni discriminatorie ed è mal concepito. Non risolverà i problemi sociali da cui ha preso le mosse né assicurerà il godimento del diritto all'alloggio alla maggior parte dei rom interessati.

La esortiamo quindi a rimandare l'attuazione del "Piano nomadi" e a rivederlo sulla base di un'appropriata consultazione con coloro che sono direttamente coinvolti, assicurando che la revisione del "Piano nomadi" rispetti il diritto a un alloggio adeguato.

La sollecitiamo inoltre ad assicurare che gli sgomberi siano eseguiti solo come soluzione estrema e nel pieno rispetto delle salvaguardie previste dagli standard europei e internazionali in materia di diritti umani.

La ringraziamo per l'attenzione.

Carcere, la Garante lancia l’allarme: “Il caldo gia’ e’ intollerabile”

La Garante per i diritti dei detenuti, Desi Bruno, lancia ancora una volta l’allarme sulla situazione del penitenziario bolognese: al drammatico problema del sovraffollamento e alle scarse misure igieniche si aggiunge ora, con l’arrivo dell’estate, il caldo sempre più insopportabile, afferma la Bruno. “La situazione sta un po’ degenerando”, continua, “aumenta la conflittualita’” cosi’ come gli atti di autolesionismo. Sabato scorso, ad esempio, “l’infermeria era in subbuglio” perche’ “mancava la carta igienica da 15 giorni, mancavano il sapone ed altri prodotti”. Rispetto alla Dozza “si deve porre il tema dell’agibilita’”. Per quanto riguarda il sovraffollamento i dati fanno rabbrividire, parlano di 1.185 detenuti (di cui 81 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 483, inoltre i due terzi presentano una posizione giuridica non definita: sono in attesa di giudizio oppure ricorrenti in appello e in cassazione. Infine tra coloro che stanno scontando una pena definitiva “216 potrebbero accedere alle misure alternative alla detenzione”, spiega la Garante, perche’ devono scontare pene o residui di pena inferiori ai tre anni. Nel complesso, la Dozza “e’ il carcere piu’ sovraffollato d’Italia” con un indice del 145% (quello dell’Emilia-Romagna, il piu’ alto tra le regioni, e’ del 92%). E la situazione peggiora: “Ci sono persone che dormono per terra, un anno fa non succedeva”. Le celle da 10 metri quadrati, costruite per un detenuto, arrivano ad ospitarne anche cinque: se si stende a terra un materasso, i detenuti “non possono neanche stare contemporaneamente in piedi”. Ma non è solo un problema di spazi, ad esempio è particolarmente delicata la situazione dei “nuovi giunti”, cioe’ le persone che entrano in carcere per la prima volta. Per loro e’ prevista un’attivita’ di osservazione psicologica e di screening sulle malattie infettive ma “il meccanismo- afferma Bruno- e’ saltato”.



Modesta proposta di contromanovra

Colpire i patrimoni e le rendite, non i lavoratori. Tagliare le spese militari, non la sanità. Fare i conti con la crisi, non ignorare che c'è. L'anti-finanziaria sociale e sostenibile firmata «Sbilanciamoci»

Di fronte all'attacco speculativo che i mercati finanziari hanno portato all'euro e ai titoli del debito pubblico dei paesi europei più indebitati - come l'Italia - un intervento sui conti pubblici è necessario, con una riduzione della spesa e del debito. Ma questo non può essere l'unico strumento della politica economica italiana ed europea: servono nuove regole che ridimensionino la finanza e la speculazione; nuovi strumenti di politica fiscale europea che sostengano la domanda e l'occupazione; una politica per l'economia reale che orienti la produzione verso uno sviluppo sostenibile sul piano ambientale e sociale. Il governo italiano inoltre ha la pesante responsabilità di avere per tanti mesi sottovalutato la crisi e di avere diffuso inutile ottimismo. Tremonti e Berlusconi si sono attardati in un immobilismo irresponsabile, affidandosi alle speranze di uscita dalla crisi per inerzia nella ripresa dell'economia mondiale.

Alla manovra iniqua e sbagliata del governo, la campagna «Sbilanciamoci» oppone una contromanovra dall'impianto e dalle proposte specifiche completamente diverse a partire dalla filosofia generale. La manovra del governo infatti non affronta la crisi e l'emergenza sociale e non prevede misure di rilancio dell'economia e di sostegno ai redditi e alla domanda interna. Inoltre - nel concreto - la manovra di Tremonti colpisce i lavoratori e premia - con il condono edilizio - chi viola la legge. Il governo taglia poi risorse agli enti locali (e quindi i servizi ai cittadini) e alla sanità. Tutto ciò non servirà in ogni caso ad arginare la crisi economica e a risanare i conti pubblici.

Sbilanciamoci invece, con una contromanovra di 30 miliardi di euro (il dettaglio su www.sbilanciamoci.org) propone di colpire i patrimoni e le rendite, di tagliare le spese militari e i finanziamenti alle grandi opere. Propone anche di mettere all'asta le frequenze liberate dal passaggio al digitale terrestre: sono oltre 4,5 miliardi di ricavi stimati (dividendo digitale). E per far fronte alla crisi e sostenere il rilancio dell'economia, avanza una serie di proposte: subito 4,5 miliardi per gli ammortizzatori sociali e il lavoro (equiparazione, in caso di disoccupazione, del trattamento dei precari a quello dei lavoratori a tempo indeterminato); 5 miliardi per il recupero del fiscal drag e aumentare le pensioni più basse; 6,5 miliardi per sostenere l'economia (le «piccole opere», l'innovazione, le produzioni e le imprese «verdi»); 4 miliardi per il welfare (diritto allo studio, offerta formativa, asili nido, fondo per la non autosufficienza eccetera).

La manovra di Tremonti -comprimendo domanda interna e redditi - rischia di produrre effetti opposti da quelli sperati: cioè l'ulteriore declino della produzione e dei consumi, pregiudicando così la possibile ripresa dell'economia e la salute dei conti pubblici. La manovra del governo non contrasta la crisi ma ne fa pagare le conseguenze ai lavoratori e alle classi più deboli. La contromanovra di Sbilanciamoci ribalta questo disegno tagliando la spesa pubblica che non merita di essere difesa (come le spese militari e le grandi opere) e intervenendo con una serie di proposte a sostegno della coesione sociale, della domanda interna e del rilancio di un'economia diversa fondata sull'innovazione e le produzioni sostenibili, sul capitale umano e su quelle piccole opere che costituiscono l'infrastrutturazione sociale di base del paese. E in questo contesto si riescono anche ad accantonare anche 10 miliardi per la riduzione del debito.

Infine - e torniamo sul modo con cui si trovano le risorse per far fronte alla crisi - è necessario dare un segno forte di giustizia e di lotta ai privilegi. Di fronte alla crisi dei conti pubblici è proprio necessario mettere le mani nelle tasche degli italiani, ma di quelli ricchi e speculatori. Ecco perché la tassa patrimoniale e l'aumento dell'imposizione fiscale sulle rendite è assolutamente necessaria: solo da queste due misure verrebbero 15 miliardi di euro, proprio quelli che Tremonti vuole prendere dalle regioni, dagli enti locali e dalla sanità. Dalla crisi si esce - e si esce in modo diverso dal passato - solo se si colpiscono da una parte i privilegi e i grandi patrimoni e dall'altra si riducono le diseguaglianze, si difende il lavoro e si dà vera protezione sociale a chi è colpito dalla crisi. E si lavora nel contempo ad un nuovo modello di sviluppo - di qualità e sostenibile - che abbia un futuro. È questo il solo modo per ridare fiducia e speranza al paese.

fonte: Il Manifesto

martedì 25 maggio 2010

Cie, la tunisina ha ancora le labbra cucite Il suo legale: il ricorso per l'asilo? In salita

Le sue labbra sono sempre cucite, con ago e filo, in quattro punti. Riesce a bere, ma continua a rifiutare il cibo. Dopo quattro giorni Najoua, la tunisina di 34 anni trattenuta nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Mattei, continua a protestare contro il rigetto della sua richiesta di asilo politico.
Una battaglia su cui sta lavorando l’avvocato Roberta Zerbinati, che tra qualche giorno depositerà il ricorso al tribunale ordinario di Bologna. «Ma la questione, dal punto di vista giuridico, è tutta in salita», ha ammesso il legale che nel pomeriggio ha incontrato Najoua. Per il ricorso, i tempi a disposizione della difesa sono «strettissimi»: 15 giorni dalla notifica del provvedimento di rigetto, che è avvenuta qualche giorno fa, ha spiegato l’avvocato. In più, «c’è poco tempo per cercare la documentazione necessaria nel Paese di origine e per ottenerla tramite conoscenti».
La donna, che nella mattina ha avuto momenti di disperazione, è consapevole delle difficoltà sia per ottenere lo status di rifugiata politica sia contro l’espulsione che incombe. «Ma lei non ci pensa affatto a scucirsi le labbra - ha continuato l’avvocato - Io ho provato a convincerla almeno a mangiare...». Per il difensore, visti i tempi stretti, la priorità ora va al ricorso per ottenere l’asilo o la protezione internazionale, poi passerà all’altra questione. «Spero di poter depositare il ricorso in pochi giorni e di allegare qualche documento probatorio, ma so che non sarà facile - ha ribadito - Eventualmente mi riserverò di produrre i documenti successivamente. Non so se far intervenire anche l’ambasciatore del Paese di origine attraverso il ministero degli Esteri».

Cade dal letto a castello. Muore detenuto in carcere

E' precipitato dal terzo piano dell'incastellatura nella casa di reclusione di Sanremo. Il sindacato penitenziari denuncia "una tragedia annunciata: una morte che si doveva e poteva evitare". Nel penitenziario del ponente sono rinchiusi 367 detenuti contro una capacità massima di 209

Un detenuto del carcere di Sanremo, Giovanni Bonafè, è morto stamani intorno alle 5.30 per la caduta dal terzo piano del letto a castello nella sua cella. A darne notizia è il sindacato Uil-pa Penitenziari in una nota.

"Quando ci si ostina a voler determinare condizioni inumane di detenzione non possono non capitare certe cose. E' noto a tutti che i letti a castello con tre piani sono potenzialmente pericolosi. Purtroppo siamo a commentare una morte che si poteva, si doveva, evitare", commenta il segretario generale della Uil-pa Penitenziari Eugenio Sarno.

"Ogni giorno - prosegue Sarno - ci tocca aggiornare i macabri elenchi luttuosi di morti avvenute dentro le mura. Più volte avevamo denunciato e lanciato l'allarme sul carcere sanremese. Allarmi e denunce rimasti inascoltati. Oggi l'istituto conta la presenza di 367 detenuti, quando ne potrebbe contenere al massimo 209".

La Repubblica Genova

La Freedom Flotilla punta su Gaza!

Ormeggiate al porto di Atene, attendono la partenza due navi. Una vecchia ma solida chiatta da turismo subisce gli ultimi adeguamenti, mentre al molo commerciale l'equipaggio ridipinge un grosso cargo battente bandiera svedese. La capiente stiva ospiterà metri cubi di materiale edile, interi prefabbricati ad uso abitativo (50) e circa cento carrozzine elettriche per disabili. Tutto destinato alla striscia di Gaza.
Le due navi fanno parte di un convoglio di 9 battelli provenienti da diversi paesi, non solo europei. Si riuniranno lunedì 21 Maggio a Cipro per salpare assieme alla volta di Gaza. E' la "Freedom Flotilla" organizzata dal Free Gaza Movement e dalle associazioni che compongono la Campagna ECESG (The European Campaign To End The Siege Of Gaza).
I paesi di provenienza dei passeggeri hanno già ricevuto pressioni da Israele affinché scoraggino e impediscano l'imbarco dei propri cittadini.
Il carico è costituito da generi di prima necessità e non. Una lista compilata secondo le richieste pervenute da Gaza e allestito grazie a donazioni provenienti da tutto il mondo. Sulla banchina dove è ormeggiato il cargo attendono di essere stivate tonnellate di materiali edili: tegole, mattoni e un carico di 50 prefabbricati ad uso abitativo, pronti per essere montati. L'edilizia nella Striscia soffre della generale penuria, che impedisce da un anno la ricostruzione o la riparazione delle 6.400 case danneggiate e distrutte durante l'aggressione dell'inverno 2008/2009. Sono 3500 le famiglie senza più una casa, a fronte di una popolazione in continuo aumento.
Le strutture mediche versano nelle medesime condizioni: 15 ospedali su 27 risultano distrutti o gravemente danneggiati, mentre altre 43 strutture sanitarie sono fuori uso. Ad appesantire il lavoro di pronto soccorso si aggiungono le tragiche conseguenze di centinaia di incidenti domestici e incendi, connessi alla mancanza di elettricità.
E i medicinali per farvi fronte scarseggiano. Una parte del carico della "Freedom Flotilla" è costituito proprio da farmaci. Hannoun ci spiega come sia importante verificare con scrupolo questo genere di donazioni. Spesso si tratta di medicinali "offerti" perché prossimi alla scadenza, che rischiano di trasformarsi in spazzatura - come spesso accade - giacendo per mesi in magazzini e container. Problemi simili occorrono a causa delle donazioni di attrezzature sanitarie obsolete. Non di rado finiscono fuori uso e reperire i pezzi di ricambio è praticamente impossibile.
Il Governo israeliano ha già annunciato di voler bloccare prima dell'arrivo a destinazione la "Freedom Flotilla". Ma nell'equipaggio c'è chi afferma di avere un asso nella manica.

I poliziotti querelano la madre di Federico Aldrovandi

Tre dei quattro poliziotti condannati in primo grado per eccesso colposo nell'omicidio di Federico Aldrovandi hanno querelato per diffamazione la madre del ragazzo, Patrizia Moretti, che in un'intervista li aveva definiti «delinquenti». A dare la notizia dal suo blog è stata la stessa Moretti, madre dello studente 18enne morto nel settembre 2005 a Ferrara, dopo un intervento di polizia.
Enzo Pontani, Monica Segatto e Luca Pollastri sono stati condannati a 3 anni e 6 mesi. La sentenza di primo grado, che coinvolgeva anche Paolo Forlani, è del luglio 2009. I quattro poliziotti non sono mai andati in carcere grazie all'indulto.
In un articolo pubblicato nel luglio 2008 sul giornale La Nuova Ferrara, Patrizia Moretti commentava la drammatica vicenda di Riccardo Rasman, un altro giovane morto a Trieste nell'ottobre 2006, vittima delle violenze della polizia: «Spero che anche per loro [la famiglia di Rasman, ndr] si arrivi presto a un processo, come è giusto che sia, e che si giudichino quelle persone a prescindere dal fatto che sono poliziotti - disse Moretti -. Anche perché noi, io e Giuliana, la sorella di Riccardo, non consideriamo quelle persone come rappresentanti delle istituzioni, ma solo come delinquenti».
L'udienza alla procura di Mantova è fissata per il 18 giugno

per ricordare Alberto Brasili, assassinato dai fascisti il 25 maggio del 1975

Alberto Brasili, studente lavoratore di 26 anni, e la sua fidanzata Lucia Corna vennero aggrediti il 25 maggio 1975, una domenica, alle 22.30, in via Mascagni, proprio davanti alla sede dell'Anpi, da cinque militanti dell'Msi che li seguirono da piazza San Babila non solo perché "vestiti da comunisti", ma soprattutto per aver osato strappare un manifesto del partito di Giorgio Almirante.
Brasili fu raggiunto da cinque coltellate e spirerà poco dopo il suo arrivo in ospedale. La sua fidanzata, colpita due volte, sopravvisse solo perché la lama mancò il cuore per pochissimi centimetri.
Solo da poco più di un mese erano stati uccisi Claudio Varalli, colpito il 16 aprile alla nuca da un colpo di pistola esploso da un militante di Avanguardia nazionale, e Giannino Zibecchi, travolto il giorno dopo da un camion dei carabinieri lanciato in una folle carica contro i manifestanti antifascisti.

MARTEDÌ 25 MAGGIO
ORE 16,15
IN COLLABORAZIONE CON I COLLETTIVI UNIVERSITARI
DELLA STATALE DI MILANO
PROIEZIONE DEL FILM
"SAN BABILA ORE 20. UN DELITTO INUTILE"
DI CARLO LIZZANI
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
VIA CONSERVATORIO 7
ORE 18,30
VIA MASCAGNI
DEPOSIZIONE DI UNA CORONA
E PRESIDIO DAVANTI ALLA LAPIDE DEDICATA A BRASILI
CHI NON HA MEMORIA NON HA FUTURO!
Amici e compagni di Luca Rossi-Associazione "Amici e familiari di Fausto e Iaio"-Associazione Antifascista "Dax 16 marzo 2003"-Associazione "Per non dimenticare Claudio Varalli e Giannino Zibecchi"-Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa-Fondazione Roberto Franceschi-Osservatorio democratico sulle nuove destre-Teatro della Cooperativa-Rosa Piro, mamma di Dax, Licia, Claudia e Silvia Pinelli
I GIOVANI UCCISI A MILANO
NEL DOPOGUERRA
DAI FASCISTI O IN SCONTRI
CON LA POLIZIA
Da Giovanni Ardizzone, schiacciato da una camionetta della Polizia il 27 ottobre del 1962, nei pressi di piazza Duomo, durante una protesta contro il blocco navale attuato dagli Stati Uniti contro Cuba, a Davide Cesare, ucciso dai fascisti nel marzo del 2003, ad Abba, massacrato a sprangate il 14 settembre 2008, i giovani morti a Milano in scontri con la polizia o perché aggrediti dai razzisti e dai fascisti, sono undici. Ad essi va aggiunto Luca Rossi, vittima il 23 febbraio 1986 dell'uso scriteriato delle armi da parte di un poliziotto coinvolto in una rissa stradale con altri automobilisti.
La maggior parte di questi giovani cadde negli anni Settanta, non, come taluni vorrebbero sostenere, in una sorta di guerra civile scatenata da opposti estremismi, ma per difendere la libertà. In Italia, a quel tempo, l'attacco venne portato alla democrazia, attraverso lo stragismo e lo squadrismo. A maggior ragione assolutamente inaccettabili paiono le recenti rievocazioni di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani, un gerarca fascista firmatario del "Manifesto sulla razza", promosse da alcuni gruppi di estrema destra, con il patrocinio scandaloso delle istituzioni locali, che hanno dato luogo a raduni e lugubri parate in stile nazista nelle vie della nostra città.
Per contatti e adesioni:
info@pernondimenticare.com

L'agente che portò le molotov alla Diaz« Quante pressioni per farmi tacere»

Fonte: Secolo XIX, 21 maggio 2010

ALBENGA. L'unico poliziotto assolto dalla Corte di Appello di Genova è anche il solo dei 28 imputati ad aver cambiato lavoro:«Io non ce l'avrei mai fatta a indossare la divisa con una condanna sulla testa», dice allargando un sorriso pacioso, incorniciato da capelli imbiancati in fretta.Michele Burgio, 42 anni single, ora fa l'addetto alla sicurezza dell'Ippodromo di Albenga. Era «l'ultima ruota del carro» nel giorno della Diaz. Ed eral'autista del generale Valerio Donnini,la massima autorità del Viminale a Genova alG8 del 2001 Fu il primo a parlare,interrogato dai pm come testimone.E pagò la sua disponibilità gomme dell'auto tagliate,la scorta,le frecciate dei colleghi e persino qualche «pressione» per aggiustare il tiro su quanto riferito.
Valerio Donnini era il «generale fantasma», mai toccato dall'inchiesta nonostante fosse stato lui a prendere in carico le molotov raccolte da un agente in un'aiuola della Foce durante gli scontri e diventate, con un specie di colpo di bacchetta magica, le prove a sostegno di 93 arresti illegali, falsi verbali e una perquisizione sfociata in un massacro. Michele Burgio era l'autista che guidò fino alla Diaz con quelle bottiglie incendiarie nel bagagliaio. Con lui il vice questore Pietro Troiani. Era accusato di calunnia e trasporto illegale di armi: il suo legale, l'avvocato Alessandro Cibien, ha portato a casa un'assoluzione piena. Il giudice ha condannato tutti i vertici e ha assolto in parte (per l'accusa più grave) il suo capo Troiani e ha scagionato lei. Il governo e il capo della polizia hanno rinnovato il sostegno ai loro super dirigenti. Lei ha ricevuto notizie da Roma?
«Quando mi diedero due anni e sei mesi in primo grado, nessuno mosse un dito. Ma me l'aspettavo. Ero solo un autista... No, nessuna notizia. In fondo, però, non sono più in polizia da un po' anche se, quando la sentenza sarà definitiva, sarà lo Stato a pagarmi le spese legali».
Come arrivò alla decisione di lasciare il servizio?
«Mia madre mi diceva fin da piccolo che ero nato per fare il poliziotto. Un giorno una collega, in un momento di sconforto, mi disse che si era stufata. Io le risposi che nessuno sarebbe mai riuscito a stufare me. Be', devo ammettere che ci sono riusciti».
Per quanto tempo ha fatto il poliziotto?
«Tredici anni, tra Milano, dove ho fatto per qualche mese la scorta ai magistrati del pool di Mani pulite, e Roma. Da tempo chiedevo il trasferimento in Liguria ma sembrava chiedessi la luna. Poi è arrivato il G8...».
Come ha vissuto i giorni dell'inchiesta sul caso dell'irruzione alla scuola Diaz?
«Sono stato tra i primi a essere interrogato dai due pm, Enrico Zucca e Francesco Albini Cardona. Mi tennero per quindici ore sotto il torchio. Ero solo un testimone e difatti quelle parole dette senza avvocato non sono state usate al processo. Ma le ho pagate care».
Come?....segue

lunedì 24 maggio 2010

I precari della scuola si organizzano-Cattedre cancellate, sarà sciopero degli scrutini

da:Il Mattino di Salerno


La notizia arriva dai Comitati di Base della Scuola e dal Comitato docenti precari salernitani. E lascia più che soddisfatti gli stessi attivisti dei gruppi. Sono almeno 15 le scuole superiori e medie salernitane dove lo sciopero degli scrutini troverà proseliti in termini di adesioni di docenti. Quindici istituti dove nutriti gruppi di docenti, precari e di ruolo, hanno deciso già di svelare i loro piani e propositi di agitazione contro quei tagli di posti che stanno preoccupando un po’ tutti. L’allarme della cancellazione di 800 cattedre tra scuola primaria e superiore, passando per la media, solo a Salerno e provincia, ha contribuito a far lievitare il malcontento dei prof. A meno di un mese dall’avvio dello sciopero proclamato dai Cobas Scuola anche nella nostra provincia, si respira aria di accesissima mobilitazione tra le fila dei docenti. «Stiamo ricevendo pressioni e minacce da molti dirigenti, decisi a farci ritornare sui nostri passi affinché lo sciopero non passi, questo è ingiusto e inopportuno, noi siamo nel giusto e lo sciopero degli scrutini non è illegale», così Alessandro D’Auria, rappresentante dei Cobas Scuola Salerno, rivolgendosi alla platea dei docenti precari riunitisi ieri pomeriggio in un’assemblea provinciale molto accesa nei locali di Spazio Donna a piazza Ferrovia. Scatta oramai il countdown alla iniziativa di protesta dello sciopero degli scrutini che prederà il via i prossimi 14-15 giugno, quando i prof ribelli scenderanno in campo per prolungare la coda di fine anno astenendosi dalle operazioni di scrutinio. Loro, i docenti senza posto, la definiscono l’unica “arma” per la difesa della scuola pubblica salernitana dalla “scure” dei tagli governativi che si sta abbattendo sul comparto formativo salernitano. “Abbiamo diffidato i presidi di quasi centinaia istituti salernitani – esordisce Teresa Vicidomini, segretario regionale, Cobas Scuola – a non anticipare gli scrutini che devono essere sostenuti tra il 14 e il 15 giugno, c’è molta disinformazione diffusa artatamente per scoraggiare la protesta che va portata avanti per la difesa della nostra scuola e per non ridurci a scendere in piazza solo alla metà di agosto, quando ormai sarà troppo tardi e i posti saranno cancellati con il licenziamento di centinaia di precari”. Secondo prime stime ufficiali dell’Ufficio Scolastico Regionale, già riportate dal nostro giornale, la cancellazione delle supplenze di Salerno e provincia si aggirerà intorno alle 800-900 unità. Un dato “allarmante” a detta dei prof senza cattedra. E in vista della clamorosa alzata di scudi di fine anno, i membri del Comitato insegnanti precari e attivisti dei Comitati di Base della Scuola si stanno mettendo all’opera cercando di sensibilizzare quanti più docenti è possibile per la riuscita della iniziativa. Pronta per decollare anche una “cassa della solidarietà” per risarcire quei docenti precari che aderiranno allo sciopero degli scrutini, perdendo quindi giorni lavorativi. “Faremo una colletta per appoggiare tutti i docenti che faranno lotta con noi – chiude D’Auria – ci basta un docente per consiglio di classe che aderisca allo sciopero per creare disagio”. gia sol. © RIPRODUZIONE RISERVATA

domenica 23 maggio 2010

Permesso di soggiorno a punti: approvata l'ultima follia xenofoba

E' stato approvato al Consiglio dei Ministri il "permesso di soggiorno a punti". Con i "punti" da assegnare e togliere agli immigrati, come facevano alcuni negrieri con gli schiavi delle piantagioni di cotone, l'Italia tocca il fondo della xenofobia. La scusa per emanare tale aborto è stata: "E' uno strumento che esiste già in Canada". Non è vero, perché il soggiorno a punti canadese, elaborato dal team del ministro per l'Immigrazione Jason Kenney dopo aver ascoltato le opinioni di tutte le ong e degli specialisti nei fenomeni dell'immigrazione e della convivenza fra etnie ospitanti e migranti, è un sistema che aiuta l'immigrato a inserirsi positivamente presso la comunità ospitante, apprendendone le leggi, le usanze, la Storia, la cultura e le caratteristiche. Il welfare canadese funziona come un orologio e chi entra nello Stato si trova davanti un percorso che lo può condurre a una piena integrazione e anche a raggiungere posizioni di grande prestigio e responsabilità. Chi invece fa fatica a comprendere il nuovo tessuto sociale, viene seguito e sostenuto; in particolare i bambini e l'uinità dela famiglia sono in cima al novero delle attenzioni da parte delle Istituzioni. In Italia avviene il contrario e manca completamente un sistema di welfare, sostituito dalla demagogia intollerante, come se i programmi di integrazione togliessero qualcosa alla cittadinanza. Il percorso a punti diventa quindi un micidiale calvario e a ogni "stazione" il migrante si trova a temere di perdere ogni diritto. Qui da noi tutto è ostile, per lo straniero. Mentre una Direttiva europea fissa a dieci anni il periodo massimo di permanenza in uno Stato per ottenere la cittadinanza, per esempio, da noi i dieci anni devono essere di residenza e le autorità controllano che tale periodo sia trascorso esaminando i certificati storici di residenza, senza tenere conto che per uno straniero, specie se povero, è quasi impossibile avere sempre casa con regolare contratto, lavoro con regolare assunzione, tessera sanitaria ecc. Ma anche nel caso miracoloso che i dieci anni siano dimostrabili, dal momento della domanda, che si può presentare solo allo scadere del decimo anno di residenza, all'accettazione della stessa passano altri quattro anni. Se si considera che durante il primo anno di permanenza nessuno ottiene la residenza, occorrono minimo 15 anni, in Italia e da nessun altra parte nel mondo, per avere la cittadinanza. Per non parlare del permesso di soggiorno, il cui rinnovo è sempre una tappa tragica per l'immigrato. Basta perdere il lavoro o non riuscire a trovare casa con affitto regolare (per gli stranieri l'abitabilità è quasi una chimera e i requisiti richiesti scoraggiano i proprietari dall'affittare loro gli appartamenti) per diventare in un amen "clandestini" e quindi, in basa alla Legge 194, criminali, soggetti a retate, arresto, detenzione fino a sei mesi nei Cie (carceri-lager per immigrati) ed espulsione. Ma torniamo ai "punti", che in Italia sono veri e propri "punti-vita", come nei giochi di ruolo e nei videogame. Qualcuno spieghi in base a quale criterio il migrante può essere punito in misura gravissima (l'espulsione lo condurrà in un Paese da cui è già fuggito, quasi sempre a causa di un'emergenza umanitaria; contemporaneamente, i suoi familiari resteranno soli in Italia, esposti a qualsiasi pericolo) in base a un regolamento che non dovrebbe avere valore giuridico? Per punire le colpe ci sono già le leggi dello Stato e i tribunali: togliere ulteriori "punti-vita" diventa una condanna la cui natura sfugge al buon senso, una condanna senza diritto alla difesa e senza giudice. Inoltre, mettere nelle mani di insegnanti di lingue (magari leghisti), vigili urbani, forza pubblica e chissà chi altri il destino di uomini, donne e bambini è una grave violazione della Costituzione e delle Carte sui diritti fondamentali. Ma vi è una cosa che va ripetuta e sottolineata mille volte: chi viene punito fino a ritrovarsi a zero punti, viene espulso e il provvedimento colpisce anche i figli (che restano senza sostegno o sono costretti a tornare in Paesi dove esiste crisi), la moglie (o il marito), le persone per cui lo straniero lavora (si pensi a una badante). Quando mogli e figli restano in Italia da soli, rimangono loro la prostituzione o la schiavitù per sopravvivere. A questo proposito, i casi di donne costrette a "prestazioni speciali" in cambio di assunzione (o di una casa con regolare contratto di affitto) sono ormai la regola, visto che il permesso di soggiorno è diventato vitale. La legislazione e i provvedimenti riguardanti l'immigrazione in Italia sono folli. Il soggiorno a punti è solo l'ultima sadica e scriteriata invenzione di un potere xenofobo, dettato nelle sue linee da puro odio razziale e da cancellare, prima che qualcuno, irresponsabilmente, lo prenda a modello fuori dall'Italia. La legge 194 sull'immigrazione sta producendo a propria volta effetti devastanti; persone lungosoggiornanti -protette da una Direttiva europea contro la discriminazione - vengono imprigionate nei terribili Cie ed espulse se perdono il permesso di soggiorno, magari dopo vent'anni che vivono qui (è successo). Certo, un giorno l'Italia si vergognerà di ciò che ora accade, ma sarebbe tempo di vergognarsi e fare qualcosa adesso, avvalendosi, per creare leggi giuste e rispettose della dignità e della vita di tutti, del patrimonio di esperienza di cui dispongono gli specialisti nel campo dei Diritti Umani, gli studiosi dell'immigrazione, del razzismo e dei fenomeni persecutori, nonché gli operatori umanitari.


fonte: Gruppo EveryOne

Cie di Bologna, donna si cuce le labbra per protesta

Una giovane magrebina del Cie di Bologna si e’ cucita le labbra con ago e filo per protesta contro il rigetto della richiesta di asilo. Trasportata all’ospedale Sant’Orsola la donna, di circa 30 anni, ha rifiutato le cure e dato che e’ stata dichiarata capace di intendere e di volere, i medici non hanno potuto toglierle dalle labbra il filo che comunque non le impedisce di bere e di parlare. La donna e’ tornata al Cie e rifiuta ogni cura finche’ non riuscira’ a parlare con il magistrato.

venerdì 21 maggio 2010

Festival Sociale delle Culture Antifasciste – 2010-

dal 28 maggio al 6 giugno, Parco di via Togliatti Bologna
www.fest-antifa.net

Secondo Festival Sociale delle Culture Antifasciste
« Dimenticare significa perdere l’eredità di una lotta che è ancora inconclusa. Non dimenticare obbliga a comprendere, a smascherare, a continuare quella lotta. Per combattere questo nuovo fascismo non ci saranno i vostri nonni, o i padri dei vostri nonni. Affrontarlo toccherà a voi. » Enio Sardelli “Partigiano Foco”

14/05/2010

E' appena stato completato il pieghevole che descrive tutte le attività
del festival:

http://2010.fest-antifa.net/sites/default/files/programma_Fest_Antifa_2010.pdf

Reggio Emilia-Un ennesimo suicidio

Ennesimo suicidio nelle sovraffollate carceri italiane: un detenuto di 44 anni si è tolto la vita a Reggio Emilia. L’uomo, che era in carcere da pochi giorni avrebbe annodato le lenzuola alle sbarre della cella per impiccarsi. Quello di oggi, secondo le stime del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è il 26/o suicidio dall’inizio dell’anno. Nello stesso carcere il 27 marzo si era suicidato un altro detenuto, inalando il gas delle bombolette usato per cucinare e riscaldare cibi e bevande. Sempre a Reggio Emilia, nello stesso periodo, due internati avevano tentato il suicidio nell'ospedale psichiatrico giudiziario, dove ci sono piu' di 300 persone, ed erano stati salvati dalla polizia penitenziaria. La situazione del carcere emiliano è evidentemente sintomatica della situazione nazionale. È prevista la presenza di 144 agenti, ma ce ne sono circa 110, mentre i detenuti sono circa 350, a fronte di una capienza di 160 posti detentivi. In un comunicato, il segretario generale aggiunto del Sappe-Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Giovanni Battista Durante ha sottolineato che l' agente della polizia penitenziaria in turno ieri sera nel carcere ''e' intervenuto prontamente, soccorrendo l'uomo che e' stato visitato dai sanitari, ma non c'e' stato niente da fare. A quell'ora c'era un solo agente che controllava due reparti a causa della cronica carenza di personale della polizia penitenziaria''.
Secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carceri, sono 76 i detenuti - in media uno ogni due giorni - morti nelle carceri dall'inizio dell'anno. «Dall'inizio dell'anno sono trascorsi 130 giorni: in questo periodo 21 detenuti si sono impiccati, altri 6 sono morti dopo aver inalato del gas dalla bomboletta da camping, potrebbe trattarsi di suicidi, ma piu' probabilmente si tratta di 'incidenti' accaduti mentre il detenuto ricercava lo 'sballo', e 49 sono morti per malattia. Tra i 21 suicidi 'certi' 5 avevano meno di 30 anni, 8 tra i 30 e i 40 anni, 4 tra i 40 e i 50 anni, 3 tra i 50 e i 60 anni, 1 piu' di 60 anni; 39 anni l'eta' media; 17 erano italiani e 4 stranieri''. L'associazione sottolinea poi che lo scorso anno, dal primo gennaio al 20 maggio i detenuti suicidi furono 22, nello stesso periodo del 2008 15, nel 2007 13, nel 2006 20, nel 2005 18.

Napoli: «Adunata sediziosa», 18 avvisi di garanzia per gli antirazzisti napoletani

Sono diciotto gli attivisti della rete antirazzista napoletana che hanno ricevuto un avviso di garanzia per «adunata sediziosa» e «resistenza aggravata» (articoli 655, 337 e 339 del codice penale). Le contestazioni si riferiscono alle cariche avvenute lo scorso 14 aprile all'esterno della Questura in seguito alla decisione di portare i nove immigrati della «Vera D», di cui sei minorenni, nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Brindisi. Quella sera circa una centinaio di persone si riunirono all'esterno dell'ufficio stranieri con l'intenzione di impedire l'uscita della volanti che avrebbero dovuto portare gli immigrati in Puglia. Al momento dell'uscita delle auto la polizia caricò il presidio per liberare la strada, tra i manifestanti vi era anche il padre comboniano Alex Zanotelli.

LA REAZIONE - Oggi, dopo la notifica dei provvedimenti, gli attivisti hanno diramato un comunicato in cui, oltre a contestare gli addebiti, ironizzano sull'ipotesi di reato formulata dalla Procura: «Ma dove l'hanno ripescata l'"adunata sediziosa"?». «Nel processo intendiamo fare luce sull'irregolarità della gestione dell'intera vicenda Vera D - spiega uno degli antirazzisti - A sei minorenni fu notificato il respingimento ancora prima di chiedergli quanti anni avessero. Ma la convenzione per i diritti dei minori dell'Unicef spiega chiaramente che il respingimento è vietato per i minorenni e che nel dubbio i loro diritti devono prevalere. Nel processo chiameremo quindi a testimoniare sulle irregolarità anche il dirigente della Questura Eduardo Battista, capo dell'ufficio stranieri». La raccomandazione di tutela dei minorenni è contenuta in una circolare del ministero dell'Interno, del 9 luglio 2007 (Prot. n. 17272/7 Roma), in cui si specifica chiaramente che «la minore età deve essere presunta qualora la perizia di accertamento indichi un margine di errore».

LA VICENDA - La nave liberiana «vera D» arrivò nel porto di Napoli il 12 aprile scorso. L'imbarcazione fu immediatamente bloccata perché al suo interno furono ritrovati nove immigrati irregolari di origine nigeriana e ghanese, cinque dei quali affermavano di essere minorenni. La polizia di frontiera chiese il respingimento (vietato per i minorenni) mentre gli stranieri avanzarono richiesta di asilo politico. In loro favore si mobilitarono immediatamente il «Forum antirazzista» di Napoli, che rappresenta 53 associazioni, alcuni politici e sindacalisti. I minorenni furono sottoposti a degli esami biometrici dai medici del Santobono che affermarono che i giovani avrebbero avuto all'incirca 18 anni. In attesa della risposta alla domanda d'asilo lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) si era offerto di ospitarli ma la polizia preferì portare gli immigrati, che nel frattempo erano scesi dalla nave, al Cie di Brindisi. Fu allora che avvennero le cariche della polizia mentre, nella notte del 14, gli attivisti tentavano di impedire l'uscita delle auto della polizia. In Puglia però ci fu l'ultimo colpo di scena: nell'udienza di convalida della richiesta di respingimento, il giudice di pace, Mario Gatti, riconobbe come «presunti minorenni» sei immigrati e li liberò.

fonte: corriere del mezzogiorno

Srive il padre di Federico Aldrovandi...

Questa mattina sono andato a prendere in posta un atto giudiziario…..
 indirizzato a Patrizia, mia moglie, la mamma di Federico, la madre di mio figlio ucciso il 25 settembre 2005 da 4 individui in divisa, come da sentenza del 6 luglio 2009. Credevo a una violazione magari al codice della strada, è facile sbagliare in questi tempi così caotici e frenetici per tutti.
Quel documento è invece una fissazione di udienza per il 18 giugno 2010 presso il Tribunale di Mantova dove Patrizia con altre due persone (due responsabili di testate giornalistice quali la Nuova Ferrara e l’ANSA) sono state citate a comparire per rispondere di non so quale reato o reati in quanto sul documento non vengono citati. Presumo io per frasi o parole ritenute diffamatorie o calunniose, chissà, visto che fra i citati ci sono due giornalisti.

Io di pazienza ne ho avuta tanta, forse troppa, ma quello che mi fa più male è il fatto che il Pubblico Ministero aveva richiesto l’archiviazione per questo fatto specifico, ma Pontani Enzo, Segatto Monica e Pollastri Luca (manca Forlani Paolo) coloro che sono stati ritenuti responsabili della morte di Federico, hanno pensato bene di non accettarla e di avvalersi del rito dell’opposizione. Il particolare che vorrei evidenziare è la data della richiesta di opposizione, 15 marzo 2010, e cioè alla luce di due sentenze chiare e ed inequivocabili, rispettivamente del 6 luglio 2009 e 5 marzo 2010

Qui


e qui

Federico è morto di morte  violenta senza alcun motivo e se non avesse incontrato Pontani Enzo, Pollastri Luca, Forlani Paolo e Segatto Monica sarebbe ancora vivo e non lo dico io lo dice lo Stato attraverso i suoi organismi preposti (Procura e Tribunale).
Avrei sperato e lo spero ancora, nonostante queste assurdità di violenze che continuano a soffocare e a bastonare Noi e chi ci è vicino, che questo orrore, questa arroganza, questo disequilibrio, questa cattiveria, presto abbiano una fine. Vorrei riuscire finalmente a sussurrare in pace, davanti a quel marmo che mi divide da quel corpo o da quello che resta di uno dei beni miei più preziosi, parole d’amore, quelle che con Federico ci siamo dette e scambiate, anche con gli sguardi, durante 18 anni fantastici e magnifici che nessuno potrà mai infangare e uccidere.
Come dovrei definirla sig. Pontani Enzo per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig. Pollastri Luca per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig.ra Segatto Monica per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig. Forlani Paolo per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Nessun problema, ci ha già pensato un Giudice al di sopra delle parti a descrivere perfettamente chi siete e non abbiamo bisogno insieme a chi ci è vicino (30 querelati), per il momento, di dire altro.
Purtroppo, per il momento, sono costretto a pagarvi anche lo stipendio e di conseguenza le vostre querele di fronte alla morte, ma non sarà all’infinito, anche se cautelativamente vi avrei visto a casa  dal lavoro alla luce di orrori ed errori emersi palesemente. 
Fino in fondo e oltre.
Lino

P.S. cliccando sotto, questo l’articolo per cui Patrizia è stata querelata ai sensi dell’art. 495 c.p. per diffamazione
per quello da lei affermato nelle ultime due righe


 Orbene, io Lino Aldrovandi mi chiedo cosa devo pensare e che terminologie utilizzare nei confronti di questi 4 individui, quando un Giudice in uno dei suoi innumerovoli illuminanti passaggi nella sentenza  del 6 luglio 2009, arriva ad affermare che “l’aspetto che colpisce nella deposizione del dr. Marino (condannato anche questo signore, della polizia di indagine…,  il 5 marzo 2010), nella parte in cui riporta in modo pedissequo e quasi pedante il decorso degli avvenimenti nel racconto dei suoi uomini, è come lo stesso non abbia rivolto agli stessi nessuna domanda, non abbia rilevato contraddizioni, incongruenze, omissioni, assurdità che invece si colgono a piene mani nel racconto degli agenti”.

Qui un altro passaggio del Giudice tanto per intenderci nel concetto della morte violenta (cap. 4) “MORTE  VIOLENTA  ascrivibile a più forte ragione all’azione violenta, improvvida ed illegale degli agenti, lasciandosi peraltro aperti dubbi e ipotesi su una diversa, inquietante, realtà fattuale”
PUNTO

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