domenica 28 febbraio 2010

Immigrazione: Cie di Lamezia Terme girone dantesco dal vivo

Il Manifesto

Migranti rinchiusi alla bell’e meglio in spazi da galline, in attesa del rimpatrio. Senza poter far nulla, se non vegetare o ribellarsi. In tanti sono passati anche per il carcere, ma qui sono costretti a rimpiangerlo. La storia di Mohamed, commerciante ambulante con moglie e due figli, senza più permesso di soggiorno dopo 20 anni.
Più che un centro per immigrati, ha tutta l’aria di un girone dantesco dove coabitano fantasmi rabbiosi senza speranze e senza documenti, ingabbiati in spazi angusti e svuotati di ogni energia vitale, se non quella che serve per inscenare violente rivolte contro tutto e tutti, dove tutto il distruttibile viene distrutto.

La vigilanza racconta di cessi sradicati dal pavimento e frantumati fragorosamente a terra, lenzuoli infiammati con fiammiferi e materassi utilizzati come spargi incendio, porte sventrate con calci e grate attaccate con spranghe, rocambolesche fughe dai tetti e perentori inseguimenti. Ma a fianco delle prepotenze sugli oggetti, permangono gli autolesionismi: labbra cucite con ago e filo in segno di protesta, drammatici scioperi della fame, braccia lacerate con coltelli, lingue dilaniate con lamette da barba.
Il girone infernale è il Cie di Lamezia Terme, una palazzina orwelliana circondata da barriere metalliche che si innalzano prepotentemente al cielo per stroncare sul nascere qualsiasi fantasia di fuga. Nella recente indagine sui Cie italiani, Medici senza frontiere ha definito il centro di Lamezia, insieme a quello di Trapani, il peggiore d’Italia "perché totalmente inadeguato a trattenere persone in termini di vivibilità". Msf ha invocato la chiusura immediata del centro.

Un auspicio portato avanti anche da Gianni Speranza, il sindaco di Lamezia: "Sono anni che chiediamo ai ministri dell’interno di avviare una trasformazione della struttura da Cie a centro di accoglienza. Avviammo una progettazione concreta con l’ex viceministro dell’interno Minniti, ma il piano non è stato portato avanti da Maroni".
Raggiungere il centro è un’avventura. Dopo le pratiche burocratiche tra prefettura e ministero dell’interno per ottenere l’autorizzazione ufficiale alla visita, c’è l’ardua impresa di trovare l’ubicazione del Cie, arrampicato in una sperduta collina d’uliveti nella frazione di Pian Del Duca, un luogo sconsolato e marginale che sfugge anche all’immaginario collettivo dei lametini. Al solo pronunciare la parola "Cie" molti passanti cadono dalle nuvole; altri, più volenterosi nel fornire informazioni, si sforzano di indicare un luogo, ma si arrendono: "Ho sentito dire che c’è un posto dove mettono i clandestini, ma sinceramente non saprei dirle dove si trova esattamente".

Alla fine, dopo un excursus bucolico tra le campagne dell’hinterland lamentino, la struttura si staglia davanti agli occhi come una temibile fortezza. Ad accogliermi c’è l’ispettore Sergio Carino, due agenti di polizia e Raffaello Conte, presidente della cooperativa Malgrado Tutto, gestrice del centro. Prima di entrare, la consegna del cellulare è d’obbligo: niente foto o riprese all’interno. Dopo due chiacchiere informative sul centro, l’ispettore e un agente di polizia fanno strada verso l’ingresso alla palazzina che, attualmente, ospita 55 detenuti, cinque dei quali provenienti da Rosarno.
L’entrata è un dedalo di angusti passaggi militarizzati tra ferro e acciaio da cui traspare la vera essenza del Cie, una vera e propria gabbia di indigenza umana, surreale zoo nel quali i prigionieri (rinchiusi solo perché stranieri) sono implacabilmente serrati tra metalli, lucchetti, serrature, mandate di chiavi, labirinti di sbarre.

I "prigionieri", riuniti a grappoli nel minuscolo ed unico cortile che hanno a disposizione, appaiono inizialmente sulle loro. Ma basta un breve scambio di parole e la loro timidezza si trasforma in denuncia, in frenesia di raccontare la drammaticità del luogo nel quale sono costretti a vivere. Le prime accuse, pronunciate all’unanimità, sono già abbastanza significative: "Sapevano che sarebbe venuto un giornalista in visita e ieri hanno ripulito tutto il centro: i corridoi, le stanze, il cortile, le pareti. Fino a ieri era uno schifo, un vero porcile".
Incoraggiati dal taccuino che comincia a riempirsi di appunti, i detenuti incalzano la scrittura: "Te lo dico sinceramente tuona una di loro il carcere è cento volte meglio di questo posto. È più spazioso, ci sono più diritti, i letti sono comodi, il bagno è dignitoso". Effettivamente, lo spazio è risicato. Tra le carenze più pesanti contenute nel rapporto di Msf c’è l’inadeguatezza dell’unico spazio esterno, "un cortile di circa 200 metri quadrati, inutilizzabile quando piove e d’estate quando vi batte il sole".

Tra le altre lacune, Msf punta il dito, oltre che su un’inadeguata assistenza sanitaria, su "l’assenza di attività ricreative" e sul servizio di mediazione culturale che, "prestato da un unico operatore, appare insufficiente per rispondere alle esigenze di una popolazione variegata come quella del centro". Ma il problema sbandierato con più fervore dai detenuti resta l’assenza di vestiario (molti vivono con gli stessi luridi pantaloni da oltre un mese) e quello relativo ai bagni, assolutamente inospitali e indegni, i cui spazi sono strettissimi e fatiscenti, l’odore nauseante, la visuale stomachevole, i cessi inesistenti. "Abbiamo attivato un progetto per la ricostruzione e la riqualificazione dei bagni", tiene subito a precisare l’ispettore Carino.
Il tour guidato (e rigorosamente accompagnato) continua nelle camere. Ad ogni passo, i detenuti lanciano denunce e lamenti, supplicano di ascoltarli e cercano nei miei occhi uno sguardo di comprensione. Le camere sono dotate di televisione e riscaldamento, ma per gli ospiti del Cie sono dettagli privi di significato: "Guarda questi materassi ruggisce Hamami, 36 enne marocchino Sono vecchissimi, piegati dappertutto, è impossibile non svegliarsi col mal di schiena". Hamami è uno dei più disinvolti, esuberante nel protestare, squillante nei suoi toni quasi collerici.

È in Italia dagli anni Novanta e adesso, terminati i sei mesi al Cie, dovrà rimpatriare entro 5 giorni dal rilascio, pena (così dice la legge) quattro anni di galera. Hamami è arrivato al Cie dopo due anni di carcere (circa la metà dei detenuti del Cie ha scontato qualche mese di carcere): "Sono stato accusato perché avevo un pezzo di fumo e perché in tribunale mi sono ribellato alla legge, che si accanisce maggiormente contro gli stranieri senza permesso di soggiorno. Ho 3 diplomi, so fare tutti i lavori, adesso ho la coscienza apposto e non capisco perché la conseguenza debba essere il rimpatrio. Non è giusto, appena esco da qui, fuggo in un altro paese europeo, non voglio più saperne dell’Italia".
Ma il vero dramma dei Cie non sono le condizioni di vita al suo interno, bensì l’inesorabile destino che attende i detenuti. Molti di loro sono in Italia da oltre vent’anni, hanno moglie e figli italiani ma sono condannati al rimpatrio a causa di tanti piccoli cavilli burocratici che, per quanto coerenti con la legge, appaiono disumani se rapportati alle storie personali di ciascun immigrato. È il caso del marocchino Mohamed Farsane, in Italia da trent’anni. Mohamed è sposato con una donna marocchina e da anni gestisce una bancarella ambulante a Matera. Ha due figli piccoli, entrambi nati in Italia.

Nonostante questo, il destino di Mohamed sembra essere il rimpatrio perché attualmente non è regolare. Adesso, dopo una vita trascorsa in Italia, un lavoro regolare e due figli italiani, Mohamed è disperato: "Sto vivendo un incubo. Ho il permesso di soggiorno dall’89 ma quando la mattina del 2 febbraio sono andato a rinnovarlo alla questura di Matera, la mia città, mi hanno detto che non era possibile procedere al rinnovo. Nel pomeriggio mi hanno portato al Cie di Lamezia". Adesso Mohamed ha una paura folle: "Non voglio tornare in Marocco, tutti i miei familiari sono qui, abbiamo una bella casa, un lavoro, una vita".
Tra le motivazioni che hanno contribuito al mancato rinnovo del permesso di soggiorno, ci sarebbe il reato di contraffazione di cui Mohamed si è macchiato oltre dieci anni fa, quando, dice lui, "per sopravvivere sono stato costretto a vendere cd contraffatti". Un gesto che seppur in palese violazione della legge umanamente parlando non giustifica il rimpatrio forzato di un essere umano che, dopo trent’anni di sacrifici, si è costruito una vita in Italia e, seppur inciampando nell’illegalità, ha sempre servito onestamente il paese che lo aveva accolto.

Corte dei Conti della Campania: Procuratore boccia amministrazione De Luca

Servizi pagati a peso d’oro che diventano disservizi e progetti di pubblica utilita’ che si traducano in sostanziose prebende per chi le redige, infine consulenti fiscali che creano danni a quelle stesse casse comunali che avrebbero dovuto salvaguardare. Il giudizio del procuratore regionale della Corte dei Conti, sezione Campania, e’ severo sulla gestione dell’amministrazione comunale di Salerno. Nella relazione annuale, presentata dal procuratore Arturo Martucci di Scarfizzi, alla cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario, vengono segnalati alcuni episodi per i quali sono stati gia’ inviati atti di citazione. Il caso piu’ eclatante riguarda la convenzione con una societa’ cooperativa che si occupa di servizi sociali ai disabili residenti a Salerno. La citazione della magistratura economica per la giunta guidata da Vinzenzo De Luca e’ per un milione di euro e comprende, oltre al danno patrimoniale per le casse comunale, anche il profilo del disservizio. Gli incarichi ai consulenti legali nel 2009, hanno prodotto danni per oltre 20mila euro. Un solo consulente fiscale e’ costato al comune di Salerno 118mila euro e l’incarico, secondo la procura della Corte dei Conti, era per di piu’ illegittimo. Per progetti-obiettivo i danni ammontano a oltre 140mila euro. Per 110mila di questi risponde un dirigente comunale, che aveva corrisposto ai dipendenti compensi irregolari per incarichi illegittimi e consulenze non consentite. A 30mila euro corrisponde il danno subito dallo stesso comune di Salerno per progetti-obiettivo “non conformi nei presupposti e nella realizzazione alle prescrizioni normative e contrattuali”.

sabato 27 febbraio 2010

Iniziativa della rete studenti Salerno del 22 febbraio

G8 L’Aquila: 500milioni di spese - L’Espresso:"regali ad imprenditori e banche"

Ora il bubbone sembra ingrossarsi e dirigersi direttamente su Palazzo Chigi e contemporaneamente convergere verso L’Aquila, Abruzzo. Ora si capisce anche il grande vantaggio del segreto di Stato sul G8.
A fare trasparenza sulle opere della Protezione civile ci ha pensato prima l’inchiesta di Firenze che ha scoperchiato un modus operandi ed oggi contribuisce anche una preziosa inchiesta del settimanale L’Espresso.

Fatture alla mano (145) Primo Di Nicola enumera gran parte degli appalti affidati per i tre giorni di Sumit de L’Aquila con i capi di Stato, un evento costato 500 milioni di euro e coperto dal segreto di Stato. Prima d’ora, infatti, non è stato possibile sapere chi ha ricevuto gli appalti ad affidamento diretto.

L’Espresso però fa di più e pubblica un video nel quale si illustra l’apertura di una busta che si dice essere stata sigillata nel 2007 e che contiene nomi di persone che avrebbero poi ricevuto appalti o consulenze nel giro della Protezione civile.

Una vera e propria bomba che non potrà non dare ulteriore lavoro ai magistrati Romani e abruzzesi.

I COSTI DEL G8
Per la precisione il vertice G8 –secondo quanto riporta L’Espresso- è costato oltre mezzo miliardo di euro (512.474.178) tra i fondi spesi per la Maddalena e quelli per L’Aquila.

Si sono spesi 24 mila euro in asciugamani, 22 mila 500 euro in ciotoline Bulgari d’argento, altri 350 mila per televisori Lcd e al plasma e 10 mila euro per i bolliacqua del the.

Per non parlare delle poltrone, Frau, noleggiate per l’evento ad un costo di 373 mila euro.

La spesa di oltre mezzo miliardo di euro si divide in due: per dotare l’isola sarda di alberghi, sale conferenze, porti e giardini erano già stati spesi 327 milioni 500 mila euro, fondi che ora gli atti dell’inchiesta della Procura di Firenze, mentre per l’appuntamento abruzzese sono stati spesi altri 184 milioni 974 mila.

«L’IMPRENDITORE VENUTO DAL NULLA AMICO DI GIANNI CHIODI»
Tra le segnalazioni di fornitori fatte dall’Espresso figura anche Giulio Pedicone, titolare della Pedicone Holding e della Las Mobili, azienda abruzzese che fabbrica attrezzature per uffici.

La Las, scrive il settimanale, è stata chiamata fornire mobili per circa 300mila euro.

«Altrettanto sicuro però è che della Pedicone Holding, titolare del 64 per cento della Las, dal 2007 è sindaco supplente Gianni Chiodi, commercialista con studio a Teramo in società con Carmine Tancredi, a sua volta cugino di Paolo, senatore del Pdl, ma soprattutto presidente della Regione Abruzzo dal dicembre 2008 e commissario delegato all’emergenza terremoto e alla ricostruzione».

Un imprenditore –si legge nell’articolo- cresciuto in fretta ed evidentemente in buoni rapporti con l’attuale governatore della Regione Chiodi.

Ieri Repubblica aveva già svelato un altro legame con Palazzo Chigi e precisamente che il genero di Gianni Letta, Stefano Ottaviani, aveva vinto con la ditta Relais le jardin l’appalto per il catering per oltre un milione di euro.

«Altro caso in cui i legami con la presidenza del Consiglio contano eccome è quello di Mario Catalano», si legge ancora su L’Espresso, «famoso come scenografo di "Colpo grosso", la prima scollacciatissima trasmissione andata in onda sulle tv private negli anni Ottanta, Catalano è già stato premiato dal Cavaliere a inizio legislatura con una ricca consulenza a Palazzo Chigi dove cura l’immagine del premier e gli eventi pubblici in cui è coinvolto».

Inoltre 52 milioni 666 mila euro sono stati utilizzati da Bertolaso per investimenti in «infrastrutture tecnologiche» e il resto, circa 130milioni, in «spese di funzionamento » ossia per forniture e servizi, dalla ristorazione alle bandierine per le auto.

«Altri 43 milioni 807 mila euro se ne sono andati invece per rimborsare gli interventi fatti da altre amministrazioni, come la Guardia di Finanza che ha ospitato la sede del G8, o il Provveditorato alle opere pubbliche per il Lazio, Abruzzo e Sardegna che ha curato l’adeguamento della scuola sottufficiali e del minuscolo aeroporto di Preturo assieme alla realizzazione della strada per Coppito», scrive Primo Di Nicola nella sua inchiesta.

LO SHOW MEDIATICO
Tra le grosse commesse primeggiano «Selex e Seicos (Finmeccanica) per le forniture tecnologiche relative alla sicurezza (oltre 18 milioni di euro) con la centrale di coordinamento delle forze schierate, Telecom per gli apparati telefonici (12 milioni) e Limelite per la realizzazione dell’area giornalisti (altri 2 milioni)? E poi: Studio Ega per l’accoglienza e prenotazioni alberghiera delle delegazioni (2 milioni e mezzo); Tecnarr per l’allestimento della sala conferenze (quasi 2 milioni); Semeraro per gli arredi (1 milione 700 mila euro); Composad per i frigoriferi e altri arredamenti (1 milione 500 mila euro); Jumbo grandi eventi per le prenotazioni e il trasporto delle delegazioni (1 milione 200 mila euro). Per non parlare della D and d lighting & truck, sponsorizzatissima a Palazzo Chigi per soddisfare tutte le esigenze sceniche e televisive del premier: al G8 è stata premiata con una commessa di un milione 700 mila euro per la fornitura di attrezzature tecniche».
«IL REGALO A CARLO TOTO»
«Una "spesa infrastrutturale" di Bertolaso», continua l’articolo, «viene considerata la copertura (anche con fondi extra budget G8, non è chiaro) di una lacuna da sempre lamentata dai guidatori sull’autostrada Roma-Aquila- Pescara da anni gestita in concessione da Carlo Toto, l’ex proprietario di AirOne. Il problema? Su questa autostrada era pressoché impossibile ascoltare Isoradio, la rete Rai con le notizie in tempo reale sul traffico. Ma alla vigilia del G8 ecco entrare in azione Bertolaso».

Ma la Protezione civile a sue spese ha reso perfetta la ricezione di Isoradio.

L’ALTRO REGALO ALLE BANCHE
Circa 23 milioni sono serviti per gli interventi nella scuola sottufficiali delle Fiamme Gialle.

Nella caserma, come si sa, son stati fatti lavori imponenti di ristrutturazione e adeguamento.

Migliorie che sono rimaste al proprietario della struttura. «La caserma non è di proprietà dello Stato», conclude L’Espresso, «con le cartolarizzazioni volute dal vecchio governo Berlusconi per reperire denaro fresco per le casse pubbliche, è stata venduta nel 2004 e appartiene ora a un pool di banche e istituzioni finanziarie come Immobiliare Sgr spa, Imi, Barclays Capital, Royal Bank of Scotland e persino Lehman Brothers. A loro lo Stato paga ogni anno 13 milioni di euro di affitto. Un canone ragguardevole, che nel 2009 si è arricchito anche dei vantaggi conseguenti ai faraonici lavori di adeguamento pretesi dall’impresa B&B Berlusconi-Bertolaso sulla struttura».

25/02/2010

L’INCHIESTA INTEGRALE DE L’ESPRESSO :

IL VIDEO :


CASA POUND ITALIA: GLI SQUADRISTI DEL POPOLO DELLE LIBERTA'

Questo documento è dedicato alla memoria del compagno Valerio Verbano

“Accetto con piacere l’invito di Casa Pound Italia a partecipare ad un tavolo di confronto sui diritti civili”.

Paola Concia
“Probabilmente sono più d'accordo con un documento come il vostro, pur non condividendone alcuni passaggi che con alcuni documenti sul tema prodotti dal mio partito. Mi chiedo però se condividete la mia valutazione che omofobia e razzismo coincidano”.

“Sono stato invitato e ho detto sì, e questo è quanto. Di covi romani dell'odio antigay non so nulla. E poi io per principio non ho niente contro nessuno, né contro i comunisti, né contro i fascisti, né contro i gay. D'altra parte possono dire quello che gli pare, ma se ho deciso di andare vado. Prima di accettare mi sono informato e quello che ho saputo è che Casa Pound fa un sacco di iniziative culturali”.

Marcello Dell’Utri
“Da sinistra mi hanno accusato di essere andata in missione nell'ultradestra per conto del mio'padrone'. Loro parlano di 'padroni', ragionano così. Ma io ho incontrato solo persone gentili, intelligenti, attente. Tra le due civiltà c'è un abisso. Anzi, direi che civiltà si può definire solo la destra, ché questa sinistra civile non è”.

Stefania Craxi

''A chi dice che il fascismo è il male assoluto, io rispondo che piazzale Loreto è il male assoluto''.

Stefania Craxi

CRONISTORIA DI CASA POUND


La trasferta milanese
Milano: domenica 29 Giugno 2003, Festa Tricolore di Alleanza Nazionale. A sole poche ore dal concerto di Franco Battiato si svolge il dibattito: "Comunità giovanili: l'alternativa ai centri sociali. L'aggregazione a Milano dopo la vicenda Leoncavallo".

Sotto gli occhi attenti di Giorgia Meloni e Carlo Fidanza, all’epoca rispettivamente Presidente e Reggente nazionale di Azione Giovani, si formalizza in quella occasione un’intesa politica tra Alleanza Nazionale e la nascente Area Non Conforme.

A quel dibattito infatti accanto ad Aldo Brandirali, ex maoista transfuga in Forza Italia e all’epoca Assessore Giovani del Comune di Milano, e a Francesco Lattuada, ai tempi responsabile della Comunità Giovanile di Busto Arsizio poi consigliere comunale di Alleanza Nazionale-Pdl, sotto inchiesta nel 2007 nell’ambito delle indagini sul “Partito Nazional-Socialista dei Lavoratori” nel varesotto, siede, in qualità di responsabile di Casa Montag, un trentenne ai più sconosciuto: Gianluca Iannone.

Poco più di due mesi dopo nasceva a Roma quartiere Celio il Foro ‘753, per la cui storia rimandiamo al documento già on line “L'organizzazione di Alleanza Nazionale Foro 753", e soli sei mesi dopo sempre a Roma ma nel quartiere Esquilino una folto gruppo di camerati di Casa Montag dava vita a Casa Pound. Se l’operazione Foro ‘753 nasce e si sviluppa organicamente all’interno di Alleanza Nazionale, diverso è l’iter seguito da Iannone e dall’Area Non Conforme. A tal proposito occorre quindi fare un salto indietro.

Sinergie Europee e l’Università d’Estate: nasce Casa Montag

Nata nella seconda metà degli anni Novanta per rilanciare il circuito culturale della destra radicale in Europa, Sinergie Europee era un coordinamento di forze “antiamericane” ed “antimondialiste” con buone ramificazioni principalmente in Francia, Belgio e Germania, e diversi contatti anche nei paesi dell'est. Sorta di linea di comunicazione aperta tra gli ambienti della Nouvelle Droite di Alain de Benoist e la cultura del neofascismo continentale "eurasiatico", in Italia la sua costola era rappresentata dalla rivista milanese “Orion”, edita dalla casa editrice Barbarossa. Nelle intenzioni di alcuni suoi esponenti come Maurizio Murelli, condannato a diciotto anni nel 1973 per l’omicidio dell’agente Marino, e Rainaldo Graziani, animatore a Roma di Meridiano Zero e successivamente organizzatore della Guardia d’onore a Benito Mussolini, tuttavia Sinergie

Europee da semplice coordinamento quale era sarebbe dovuto diventare un unico partito europeo. Non andò così, e in Italia l’unica iniziativa di rilievo da parte di Sinergie Europee fu l’organizzazione e promozione annuale di un raduno di “formazione” politica denominato “Università d’Estate”.

La principale caratteristica di questi raduni fu l’apertura ai militanti della destra sociale come a quelli dei gruppi radicali, alle comunità militanti come ai senza partito. Il progetto vide così la partecipazione di Roberto Fiore, Piero Puschiavo e Gabriele Adinolfi, personaggio quest’ultimo centrale per lo sviluppo e l’affermazione dell’intera Area Non Conforme. Nel 2000 così lo stesso Adinolfi descriveva quell’esperienza: “Vi è stata una coesione immediata di gruppi eterogenei: una trentina di realtà provenienti da oltre quaranta città italiane; realtà autonome, realtà metapolitiche e realtà militanti tra le quali spiccavano quadri nazionali di Forza nuova, quadri della Fiamma, assessori di An che non erano saltimbanchi del politichese ma espressioni di realtà militanti territorialmente radicate;

il tutto condito dalla presenza leghista.”

Nel giro di pochi anni fu proprio Adinolfi ad assumere quindi la guida dell’Università d’Estate attraverso il network di “formazione, comunicazione e ricerca culturale” Centro Studi Polaris.

Dall’esperienza dell’Università d’Estate nel luglio del 2002 un gruppetto di ex militanti del Movimento Politico Occidentale e del Fronte della Gioventù, e della relativa Divisione Artistica, diede quindi vita poco fuori Roma all’occupazione neofascista Casa Montag: nasceva contestualmente l’Area Non Conforme.

Da Casa Montag a Casa Pound: l’intesa milanese

A dispetto dei proclami da “duri e puri” i non-conformi di Casa Montag subito si segnalarono tuttavia per lo spiccato “realismo” della loro azione politica. Nel gennaio del 2003 di fronte alle minacce di sgombero della giunta Veltroni in un articolo su “La Stampa” uno degli esponenti di Casa Montag, Gianmaria Camillacci, dichiarava senza troppi giri di parole: “La destra sociale di An è il nostro riferimento”. A stretto giro giunse così il comunicato di solidarietà di Azione Giovani a firma di Carlo Fidanza, Luca Malcotti, ai tempi consigliere comunale e Presidente di Azione Giovani Roma, e Giovanni Zinni, coordinatore nazionale della mozione più sociale di Azione Giovani, “Gioventù Identitaria”.

La nascita di Casa Montag rappresentò dunque un primo punto di arrivo di quel particolare percorso del neo-fascismo italiano che andava da Sinergie Europee all’Università d’Estate. Ma al duo Adinolfi-Iannone, superato lo “scoglio” Veltroni, e avendone tastato il ventre molle, quel casolare a dieci chilometri da Saxa Rubra non poteva che andare stretto. Forti dell’intesa raggiunta con Alleanza Nazionale, simbolicamente ratificata in occasione del dibattito estivo milanese di cui sopra, alla fine del Dicembre 2003 giunse così l’occupazione di un palazzo del Ministero della Pubblica Istruzione nel multietnico quartiere romano dell’Esquilino: nasceva Casa Pound.

“Antagonisti” sotto il segno di Alleanza Nazionale

Benché, come di consueto, anche gli occupanti di Casa Pound si dichiarassero a gran voce distanti dai partiti era sempre Alleanza Nazionale a vigilare sugli affari dell’Area Non Conforme.
Nel giro di breve tempo col beneplacito di Alemanno e Piso accanto all’ONC (Occupazione Non Conforme) Casa Pound si strutturarono così le OSA (Occupazioni a Scopo Abitativo). Il risultato politico di queste ultime fu a dir poco misero, l’unico risultato raggiunto fu infatti la sistemazione di alcuni neofascisti in alloggi popolari a dispetto delle graduatorie d’assegnazione, grazie alla mediazione del capo gabinetto di Veltroni Luca Odevaine. In compenso ogni tentativo di sgombero o intralcio agli affari di Adinolfi e Iannone veniva puntualmente neutralizzato grazie all’intercessione di Alleanza Nazionale e dei suoi istituzionali con un Veltroni già impegnato ad accreditarsi in tutti gli ambiti politici romani, compreso quello neo-fascista.

Cautelatisi dal rischio sgombero, affari e poltrone diventarono la vera meta dell’Area Non Conforme; dapprima vi fu così l’esperimento pilota delle regionali del Lazio. Casa Pound in quella occasione riuscì a strappare una candidatura a Storace nella sua lista civica, il risultato fu tuttavia fallimentare: il candidato Germano Buccolini non venne eletto, racimolando meno voti del celebre intrattenitore notturno romano Massimo Marino. Lo smacco fu grande, Alleanza Nazionale che tanto aveva investito, non solo politicamente, sull’intera Area Non Conforme si ritrovò all’improvviso con un pugno di mosche tra le mani. A Iannone e all’Area Non Conforme non restò quindi che rivolgersi alla “destra terminale” tanto bistrattata in passato.

AAA cercasi partito: Fiamma Tricolore

La prima porta che trovarono aperta fu quella del vecchio sodale di Adinolfi in Terza Posizione: Roberto Fiore. Il rifiuto di quest’ultimo a candidare Iannone alle elezioni politiche del 2006 determinò la rottura dell’accordo già sottoscritto e pubblicizzato tra Forza Nuova e Casa Pound.
Giocata la carta Alemanno, giocata la carta Fiore, non restò che la carta Romagnoli: la tessera da prendere era dunque quella della Fiamma Tricolore.

Qui tra Puschiavo, dal Veneto Fronte Skinhead, Boccacci, dal Movimento Politico Occidentale, e Castellino, da Base Autonoma, per Iannone e soci si trattò di un ritorno nel fienile: Casa Pound divenne così la sede della federazione romana della Fiamma.
Ma il “Boccia”, questo il soprannome del leader di Casa Pound, era già ambizioso, e così in breve, sotto l’occhio vigile del mentore Adinolfi, pensò già in grande: la segreteria del partito.

Da corrente ad associazione di promozione sociale: Casa Pound Italia

Tra il 2006 e il 2008 Iannone strutturò una vera e propria corrente interna alla Fiamma con l’obiettivo di scalare quante più posizioni possibili, fondando persino un’organizzazione studentesca parallela a quella ufficiale, il Blocco Studentesco; giunsero quindi le politiche del 2008 la candidatura per lui finalmente arrivò nelle liste congiunte de La Destra-Fiamma Tricolore per la Santanchè premier.

Il “geografo”, nomignolo di Romagnoli per via della sua professione, resosi conto dei pericoli per la sua leadership passate le politiche non ci pensò due volte decretando l’espulsione su due piedi di Iannone: maggio 2008. Alcune federazioni, i giovani camerati di Blocco Studentesco, e una parte dell’area “movimentista” di Fiamma scelsero quindi di seguire Iannone nella fondazione dell’associazione di promozione sociale Casa Pound Italia. La nuova svolta venne ampiamente motivata da Adinolfi nel documento “Sorpasso Neuronico”:

[…] “Passare alla Tortuga significa però abbandonare definitivamente una fata morgana:

quella della costituzione del partito dei fascisti che vada a fascistizzare la società. Questa strada porta in un vicolo cieco e serve solo a puntellare poltrone cadenti, a favorire quelle figure imbarazzanti che facciamo tutti quando intervistano qualcuno che “ci rappresenta”, ci fa puntualmente vergognare di essergli accanto e ci dà, infine, la misura della nostra, straordinaria, geometrica impotenza”. […] pag.26
[…] “Abbandonando i preconcetti e le preclusioni e intraprendendo le relazioni preferenziali su due basi: quelle della qualità degli uomini e quelle dell'impegno oggettivo. Basta con le etichette e con le colonne dei buoni e dei cattivi! Qui nel Lazio esistono forze militanti di An
(oggi PdL) che danno lezioni a molti, a quasi tutti, sia di stile, sia di fedeltà al fascismo in tutte le sue manifestazioni (ivi comprese le inaugurazioni di vie o piazze per Ettore Muti o Alessandro Pavolini); che danno lezioni di milizia, di lealtà, di dedizione, di solidarietà. Lalista è lunga; per citarle solo in termini “metapolitici” esse sono il Foro, il Reazionario, 2punto11, Teseo Tesei; e non sono esclusivamente meta politiche.”[…]pag.28

Iannone e Adinolfi scelsero così di configurare la nascente Casa Pound Italia nel panorama politico italiano non più come un soggetto politico a 360° ma di concentrarsi su pochi e mirati interventi ome una vera e propria lobby:

[…] “Riguardo alla strategia non faccio che ripetermi. Ritengo che il potere sia stratificato su tre livelli del tutto divaricati e che se ne debba tener conto per: localizzarsi, fare lobby e partecipare alla qualifica delle élites”. […] pag.19

Per ulteriori approfondimenti sul documento “Sorpasso Neuronico” rimandiamo al documento già presente on-line: “Dove va Casa Pound: obiettivi e strategie”.

LO SDOGANAMENTO DI CASA POUND ITALIA

“Con Alemanno possiamo dire che per la prima volta Roma è riuscita davvero a legare la destra radicale con quella istituzionale. Credo davvero che il sindaco sia una sorta di aggregatore sociale della destra”.

Alessandro Cochi

Una comunione d’interessi: l’Area Non Conforme e Alleanza Nazionale
Seppur travagliato il legame tra Casa Montag-Area Non Conforme-Casa Pound e Alleanza Nazionale come abbiamo visto non si spezzò mai.
A dispetto infatti delle dichiarazioni di Iannone e soci contro Fini, per soddisfare la base nostalgica e non dare a intendere le pastette sottobanco, la copertura politica che Alleanza Nazionale garantì negli anni a Casa Pound fu piena e assoluta: tra il 2003 e il 2008 mai una parola fuori posto, nessuna frizione, nessuno scontro.

Da una parte infatti An in quegli anni doveva far digerire la svolta “popolare” e temeva una campagna contro dell’estrema destra in grado di farle perdere la base elettorale missina, dall’altra Casa Pound sapeva bene che l’equilibrio con cui restava a galla, con o senza Fiamma Tricolore, passava dalle grandi intese bipartisan Veltroni-Alemanno e dalla copertura politica di quest’ultimo.Fu su questa sottile linea di equilibrio, o meglio comunione d’interessi, che si giocò il rapporto tra le due parti in questi sei anni. Il vero salto di qualità arrivò in ogni caso con l’elezione a sindaco di Roma di Gianni Alemanno.

Alemanno sindaco: potere e controllo

Travolto il centro-sinistra alle politiche e Rutelli alle comunali per il neofascismo romano con l’elezione a sindaco dell’ex segretario del Fronte della Gioventù si schiusero infatti le porte del  paradiso. Alemanno dal canto suo non perse tempo, iniziando a gettare immediatamente le fondamenta per un progetto di amministrazione della città di lungo periodo come dimostrato dalle designazioni strategiche, in accordo con i poteri forti romani, in alcuni gangli vitali dell’amministrazione comunale.

Nel grande disegno di potere e controllo della città di Alemanno non poteva quindi mancare un posticino per i fidi camerati di Casa Pound che, docilmente appollaiati già dalla sera del 28 aprile 2008, bava alla bocca, sull’uscio del Campidoglio attendevano un cenno da parte del nuovo padrone. I termini dell’intesa tra le due parti furono in breve tempo chiari.
Casa Pound si impegnava a compattare l’estrema destra romana, partitica e non, ponendola con le buone o con le cattive sotto la sua ala, in cambio riceveva da An una copertura politica non più su scala romana ma su scala nazionale e soprattutto “sotto-governo”, in altre parole cospicui finanziamenti e sedi; nessuno a destra si sarebbe così più permesso di insidiare e attaccare l’amministrazione comunale.
Forza Nuova formalmente all’opposizione di Alemanno, tra processi e mazzette alla cooperativa di attacchinaggio di Avaro durò nemmeno qualche mese, e a rimanere a bocca asciutta rimase il solo Maurizio Boccacci e la sua Militia che per tutta risposta iniziarono a ricattare sottobanco Alemanno con i famosi striscioni sulla tangenziale romana.

Lo sdoganamento: dal Campidoglio a Piazza Navona

Roma, come già accaduto altre volte, si confermava dunque il laboratorio sperimentale dei neofascisti in doppiopetto e non, laddove non arrivava An, di lì a poco confluita nel PdL, arrivava Casa Pound Italia. Bisognava a questo punto accreditarsi col governo Berlusconi per poter capitalizzare ed esportare il modello romano in giro per l’Italia.
L’autunno 2008 vide così Casa Pound Italia salire alla ribalta mediatica con le mobilitazioni studentesche contro la riforma di scuola e università del ministro Gelmini.
Per l’infiltrazione e l’annacquamento dei movimenti studenteschi Iannone in tempi non sospetti aveva già pensato ad un’organizzazione ad hoc: il Blocco Studentesco. Del resto i fascisti storicamente servono proprio a dare manforte ai padroni quando si mette male, fu così che di pala in frasca gli aitanti camerati si scoprirono difensori di scuole e università pubbliche, l’obiettivo era presto detto: far arenare il movimento dell’Onda così come richiesto dal governo.
Mimetizzatisi dietro lo slogan, mutuato dallo stadio, “né rossi né neri ma liberi pensieri” i camerati del Blocco tentarono di infiltrarsi tra le maglie delle mobilitazioni studentesche contro i provvedimenti del ministro Gelmini.

I media non aspettavano ovviamente altro per deviare l’attenzione sul particolare folkloristico di una presunta protesta generazionale che avrebbe unito giovani di destra e di sinistra. Quando l’obiettivo sembrava dunque raggiunto arrivò invece la batosta di piazza Navona, 29 Ottobre, e il gioco finì.
Ma fu proprio nel momento in cui le televisioni rilanciavano le immagini dei “blocchetti” con le mazze tricolori in mano che arrivò il gesto provvidenziale; gli amici del resto si vedono nel momento del bisogno e così a mettere le pezze e a difendere i malconci camerati arrivarono prima gli uomini più stretti di Alemanno nel consiglio comunale romano: Luca Gramazio, Ugo Cassone e Alessandro Cochi; poi il sottosegretario alla Difesa Nitto Palma per conto del governo. Casa Pound Italia aveva finalmente l’ultima copertura che le mancava per sdoganarsi definitivamente: quella del governo Berlusconi. I padroni tanto inseguiti da Adinolfi e Iannone erano finalmente arrivati.

L’accordo Casa Pound Italia – Popolo delle Libertà

Nonostante il mancato raggiungimento dell’obiettivo studentesco da più parti nel PdL si iniziò a ragionare sull’utilità di un soggetto come Casa Pound Italia.
L’opera di omegeneizzazione e “pacificazione” dell’estrema destra a questo punto però andava portata avanti su scala nazionale, Casa Pound Italia nelle intenzioni del PdL sarebbe quindi diventato il contenitore in cui assorbire e attutire tutte le tensioni dell’estrema destra italiana: un soggetto di mediazione e conciliazione politica su un versante e un ariete reazionario nei luoghi del conflitto classico, scuola, università e luoghi di lavoro se possibile, dall’altro.

Se simbolicamente l’investitura del governo arrivò attraverso due dibattiti organizzati a Casa Pound, al primo nell’aprile 2009 partecipò il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi mentre al secondo nel settembre 2009 partecipò il senatore mafioso PdL e braccio destro del premier Marcello Dell’Utri, a garantire il supporto politico-logistico all’operazione ci pensò come sempre l’organizzazione territoriale della fu destra sociale di Alleanza Nazionale riconducibile nel PdL all’area “Circoli Nuova Italia” con la relativa fondazione.
Da quel momento in poi infatti ogni azione compiuta dai gruppetti locali di Casa Pound Italia nelle più sperdute città o paesini godette del pieno e sistematico sostegno del PdL attraverso, nella stragrande maggioranza dei casi, esponenti un tempo riconducibili alle correnti sociali di Alleanza Nazionale.

Le azioni dimostrative, le aggressioni, i dibattiti e in definitiva tutti tipi i di iniziative di CPI furono così sempre accompagnate dal pieno e incondizionato sostegno del Popolo delle Libertà. Gli esempi in questo senso sono nell’ordine delle decine. Ogni nucleo di CPI che si venne quindi a costituire aveva già il referente istituzionale del PdL pronto a sostenerlo e introdurlo nell’amministrazione di riferimento per ricevere patrocini e finanziamenti.

Fu attraverso questa scientifica opera di “entrismo” che già con le elezioni amministrative del 2008 e del 2009 CPI iniziò ad eleggere propri rappresentanti istituzionali all’interno delle liste PdL, nei restanti casi si accontentò della fetta di finanziamenti e sedi che comunque arrivava. A tal scopo furono infatti costituite decine di associazioni fantoccio attraverso cui farsi regolarmente assegnare le sedi e partecipare ai bandi di comuni, province e regioni, raccogliendo quindi la fetta di finanziamenti pattuita col PdL.

A garantire il successo di questa operazione di sdoganamento nei territori contribuì indubbiamente la dabbenaggine del Partito Democratico, così democratico da partecipare a dibattiti, incontri, e presentazioni di libri con fascisti arcinoti. Il leit-motiv di CPI era molto semplice: promuovere dibattiti, invitare esponenti di Pd e PdL e stringere relazioni con l’obiettivo quindi di presentarsi a giornali e opinione pubblica come sinceri democratici.

GLI OBIETTIVI DI CASA POUND ITALIA PER IL 2010
Elezioni regionali e amministrative
Tempo di elezioni, tempo di poltrone. Le regionali della primavera 2010 stuzzicano l’appetito dei camerati, messi da parte coltelli e bastoni, tolti i guantini indossano il doppio-petto.
La geometria dell’impegno di CPI per questa tornata elettiva, da quello che si è potuto intuire, sarà molto variabile. Il numero di preferenze che CPI è in grado di spostare è ancora troppo basso per competere con una “macchina” elettorale come quella del PdL, nuovi fiaschi come quello di Buccolini vanno assolutamente evitati, confluire peraltro su un candidato indicato dalla corrente di Alemanno conviene perché, non potendo contare esattamente le preferenze spostate, consente di sovradimensionarsi per le trattative future.

Nel Lazio l’indicazione è stata quindi per Malcotti, padrino del battesimo di Casa Montag, e Palozzi. In altre regioni si sta invece tentando il colpaccio con la candidatura diretta, o addirittura nel listino bloccato. Sulla strumentalità delle iniziative politiche di CPI torneremo più avanti, salvo segnalare nuovamente lo spiccato realismo con cui sono condotte queste trattative, riassumibili nel brocardo romano: “basta che se magna”.
Fiuto per gli affari e sottrazione di denaro sono del resto state le prerogative dello stesso Adinolfi, la cui nomea di ladro e traditore, per essere scappato negli anni settanta in Francia col “tesoro” di Terza Posizione, ancora oggi lo perseguita negli ambienti neofascisti; ed è proprio Adinolfi quindi a dare il via libera a questo genere di operazioni politiche nel già citato documento “Sorpasso Neuronico”:
[…] E in ogni caso, se proprio non se ne potesse fare a meno d'inseguire questa cantilena, i numeri e le esperienze parlano chiaro: si portano a casa più risultati nelle liste civiche o con candidature indipendenti che non ingessandosi in liste che dovrebbero rappresentarci e che poi, non si sa com'è, tra nullità e farabutti, sono sempre zeppe di personaggi impresentabili e, soprattutto, non hanno niente da dire. […] pag.12

[…] Questo significa che è meglio il PdL della destra estrema? Politicamente sì se si tengono in conto le dirigenze, le prospettive e persino i programmi […] pag.29
Per le amministrative il ragionamento invece è leggermente diverso. Laddove i nuclei di CPI sono deboli si cerca l’accordo col PdL, magari in liste civiche e nascondendo accuratamente il simbolo di CPI per evitare inutili polemiche; laddove i nuclei sono più forti ci sono due opzioni: se è verosimile che la coalizione vinca accordo col PdL a tutti i costi, se c’è il rischio che il PdL perda si opta per liste uniche di CPI o in compagnia delle altre formazioni di estrema destra.

Elezioni universitarie
La mossa successiva, solo per questioni temporali, riguarda invece le università. Il disegno governativo di destrutturazione e indebolimento della formazione universitaria richiede infatti una normalizzazione del quadro politico degli atenei. Le organizzazioni a ciò deputate del PdL tuttavia laddove sono riuscite a ritagliarsi uno spazio di agibilità stentano in questa delicata opera. A fungere d’ariete si presta dunque ancora una volta CPI col suo Blocco Studentesco. I risultati delle elezioni universitarie a cui fin qui BS ha partecipato sono stati assolutamente fallimentari, Torino e Tor Vergata, cionondimeno è indispensabile per i camerati riuscire a ritagliarsi una vetrina accademica per dare lustro alle manovrine politico-culturali che da qualche tempo portano avanti e assolvere agli impegni presi col PdL.
Gli atenei chiamati alle urne col 2010 per il rinnovo degli organismi di rappresentanza universitaria in cui sono presenti nuclei del BS sono quindi tre: Parma, Roma Tre e Verona.

Se nel primo e nel terzo caso i nuclei di camerati a cui si fa riferimento sono tutto sommato modesti, diverso è il caso dell’ateneo di Roma Tre. Questo ateneo da qualche tempo infatti è il laboratorio della destra di governo e di quella radicale; i quadri politici delle principali organizzazioni studentesche di destra vengono infatti sistematicamente indirizzati su questo ateneo per essere inquadrati nelle formazioni presenti. Il numero di fascisti presenti a Roma Tre risulta quindi sproporzionato con la media degli altri atenei romani e non. La copertura politica, come di consueto, viene garantita dalle componenti sociali, e non, di Azione Universitaria, Foro ‘753 in primis.

In questo quadro molto fertile si viene ad inserire il Blocco che in questo ateneo ha fatto iscrivere non a caso i protagonisti delle aggressioni di Piazza Navona e un buon numero di fascistelli della dei quartieri bene della capitale; l’investimento politico e militante su quest’ateneo nell’ultimo anno e mezzo è stato quindi notevole, soprattutto se comparato con i restanti atenei in cui BS è presente. Le elezioni del prossimo maggio rappresentano quindi un importantissimo tornante per CPI e BS: riuscire a sfondare a Roma Tre significa infatti, da una parte creare il “precedente” a cui potersi appellare in futuro, anche in altre sedi, per avere garantita una legittimità istituzionale dagli organi accademici e dall’altra orientare a destra l’ateneo per renderlo una vetrina politico-culturale per le destre che vi operano, un disegno non a caso già perseguito da qualche tempo dal sindaco Alemanno e dalle relative correnti di riferimento.

COME FUNZIONA CASA POUND ITALIA

L’organizzazione interna

Casa Pound Italia ha una strutturazione molto leggera e snella: il principio gerarchico come in tutte le formazioni neofasciste è assoluto.

Accanto al vertice romano, composto da un numero molto ristretto di elementi, vi è una seconda strutturazione su scala regionale incaricata di coordinare e verificare l’esecuzioni delle direttive del vertice nei singoli territori.
A questo scopo accanto al forum Vivamafarka sono stati attrezzati, sotto mentite spoglie, alcuni forum in “insospettabili” siti internet ove vengono smistate le direttive e i restanti dati sensibili omessi nei post pubblici. Così per esempio per le azioni da svolgere in contemporanea su tutti i territori, qualche giorno prima il vertice nazionale fornisce ai regionali i modelli prestampati del materiale di propaganda e i comunicati in cui vanno inserite le specifiche dei vari responsabili e i nomi delle città, indicando infine la tempistica precisa. Di tanto in tanto, infine, sempre a Roma si svolgono incontri su tematiche specifiche a cui i regionali sono tenuti ad inviare i quadri o i militanti più indicati per il determinato ambito in discussione, sabato 14 Novembre 2009 ad esempio se ne è svolto uno.

Uso dei media
Funzionale al disegno politico è anche il profilo pseudo culturale di CPI, l’obiettivo in questo senso è richiamare a tutti i costi l’attenzione dei giornali e delle agenzie di stampa. Ben vengano quindi repubblichini, mafiosi e personaggi dell’avanspettacolo, purché Libero, il Secolo d’Italia o il

Mattino abbiano come riempire una colonna. Per riuscire in questa operazione occorre però un discreto numero di utili idioti che si prestino al gioco di fare la parte degli esponenti di sinistra e qui subentra di solito il Pd; altro terreno fertile è sempre quello dell’associazionismo attraverso cui si cerca quindi di assumere un profilo sociale.
La parola d’ordine è quindi trasversalità in modo da veicolare in primis negli ambienti borghesi moderati una percezione di Casa Pound plurale e democratica, al resto ci pensano poi i giornali e le agenzie di stampa compiacenti pronte a presentare i soliti fascisti come un fenomeno culturale quasi folkloristico ma assolutamente integrato nel tessuto delle relazioni politiche civili; in questo scenario si inseriscano quindi le marchette a Craxi o Dell’Utri.

I brand CPI

Per riuscire nei suoi intenti CPI tenta in ogni caso di ammantare lo spiccato profilo squadrista attraverso pochi e sconclusionati cavalli di battaglia politici, per i quali ha predisposto materiale informativo e istruito alcuni oratori per le assemblee in giro per l’Italia. Le iniziative forti dunque sono più o meno sempre le stesse.

Pochi se ne ricordano ormai l’esistenza ma in principio CPI cercò di caratterizzarsi attraverso il cosiddetto Mutuo Sociale, la “rivoluzionaria” proposta per risolvere l’annoso problema dell’emergenza abitativa; raggiunto l’accordo col PdL e coi palazzinari della “rivoluzionaria” proposta non c’è più traccia, magari riapparirà in tempi di vacche magre.

Tempo di Essere Madri è invece la proposta con cui Iannone cerca di sistemare sua moglie Maria Bambina Crognale. Nonostante l’intercessione del padre di Iannone, dirigente alla RAI, il posto a Televideo che le era stato trovato non è più stato confermato motivo per cui il Boccia, che pensa sempre in grande, ha elaborato una proposta su misura per dare un lavoro e uno stipendio a sua moglie.
Altro tema caldo sono le Foibe su cui l’investimento militante di CPI negli ultimi mesi è stato davvero ingente, il vento revisionista che spira del resto li fa ben sperare.
In ambito internazionale infine gli ultimi due brand da citare sono il Tibet, il cui associazionismo di riferimento è una vera propria risorsa economica e i Karen, un popolo birmano in guerra contro il

proprio governo per cui CPI si adopera attraverso la Onlus “Comunità Solidarista Popoli” del mercenario veronese Franco Nerozzi.

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Questo documento è dedicato alla memoria del compagno Valerio Verbano

pestarono marocchino in caserma, condannati due poliziotti

Due poliziotti, marito e moglie, condannati per il pestaggio di un marocchino nella camera di sicurezza della questura di Verbania. Un’aggressione selvaggia, che a Mustapha Manyani è costata anche l’asportazione di un testicolo.

E’ successo il 6 maggio di nove anni fa. Vincenzo Pugliese e Roberta Rossetti quella sera erano nella loro casa di Cambiasca, sulla collina alle spalle della città. Quando nel vicino circolo è scoppiata una lite tra stranieri e avventori, con bottiglie rotte e una spranga di ferro, non ci hanno pensato due volte ad intervenire. Si sono precipitati sul posto, in borghese. Hanno mostrato i tesserini e urlato «polizia». Pugliese ha bloccato a terra Mustapha, mentre la compagna chiedeva rinforzi. Ci hanno pensato poi i colleghi della volante a portare in questura gli altri due coinvolti, il cugino e un amico del marocchino. La sorte peggiore è toccata a Mustapha: per lui la camera di sicurezza nel seminterrato della questura di via Belgio si è trasformata in un luogo di tortura. Si è ritrovato davanti quella coppia di poliziotti. Calci al basso ventre, così forti che la notte stessa gli agenti hanno dovuto chiamare il 118. Poi la corsa all’ospedale di Domodossola dove un paio di giorni più tardi è stato sottoposto ad un intervento chirurgico per asportare il testicolo sinistro. I due agenti, difesi dall’avvocato Luca Ruppen, hanno sempre negato la contestazione ma il giudice del tribunale di Verbania, Elena Stoppini, ha accolto la tesi del pm.

Morti sul lavoro e suicidi in carcere

Due colonne si innalzano giorno dopo giorno senza farci sperare in un cambiamento. Sono le colonne che sommano i morti sul lavoro ed i suicidi o morti nelle carceri italiane. I giornali ne parlano, le denunzie ci sono state e continuano ad esserci. Per oltre un anno il Presidente della Repubblica ha dedicato una parte della sua comunicazione alla questione degli infortuni mortali sul lavoro. Il sistema massmediatico non ignora i luttuosi e tristi eventi. In quanto ai suicidi in carcere le persone che se ne occupano si possono contare con le dita di una mano. Ogni anno, per il ferragosto, Pannella organizza una visita alle carceri e, approfittando del fatto che i massmedia nel fatidico giorno non hanno altro da fare, riempie il vuoto con i resoconti degli incontri con i prigionieri e con il personale di custodia.

Ma non succede niente. Non cambia niente. I lavoratori che cadono sotto la falce della Morte sono soggetti socialmente deboli, assai più deboli oggi di quanto non fossero ieri dal momento che i Sindacati li hanno posati. Hanno scelto l'amministrazione delle leggi e delle norme esistenti e non propongono le cose che potrebbero realmente cambiare le cose: la lotta al precariato, l'attribuzione di poteri ispettivi ai delegati operai alla sicurezza, il divieto di straordinario per i lavori pericolosi, la prevenzione fin dal livello delle macchine operatrici e dell'organizzazione del lavoro, l'appesantimento delle norme penali per i responsabili delle "disgrazie". Ho ricordato altre volte che la Torre Eiffel fu

eretta in circa due anni da circa duecento carpentieri che lavoravano anche a trecento metri dal suolo e nelle condizioni climatiche più dure. Non ci fu un solo infortunio mortale. Valeva il principio della professionalità e dell'affiatamento di gruppo, cose del tutto ignote nella epoca di lavoratori "usa e getta" che si cambiano spessissimo e lavorano sotto dura sorveglianza. Mi raccontava Peppe Grado, mio maestro di socialismo e sindacato, che i braccianti agricoli lavoravano sotto la sferza di un campiere e non potevano rialzare la schiena neppure se una spiga di frumento penetrata sotto i vestiti graffiasse la loro carne. Oggi le condizioni di lavoro in agricoltura ma anche nei cantieri edili e nelle fabbriche sono diventate allucinanti. Ogni ora viene sfruttata fino ai centesimi di secondo che debbono essere tutti produttivi. Ricordiamo il lavoratore rumeno Radu Gheorghe morto di fatica ed abbandonato nei campi dai suoi stessi compagni dal momento che quando si è schiavi si perde anche il sentimento di umana solidarietà e di compassione. La sua famiglia è stata abbandonata.

I carcerati sono soggetti socialmente ancora più deboli dei lavoratori. Dall'inizio dell'anno abbiamo avuto notizia del suicidio di almeno dieci di loro. Non sappiamo quanti altri siano sofferenti per avere tentato di farla finita. Le carceri italiane sono diventate luoghi infernali, bombe che non esplodono perchè tenute sotto pressione da un regime carcerario durissimo per tutti. Non si hanno notizie delle inchieste che vengono condotte sui casi di suicidio, ma difficilmente viene appurata una verità diversa da quella che viene di volta in volta scritta dai comunicati delle Case di Pena. Il Governo non si propone di migliorare le condizioni di vita dei detenuti ma piuttosto strumentalizza la loro insopportabile situazione per farne una shok economy come ha fatto con la protezione civile. Ha conferito ad un funzionario, Ionta, i superpoteri che ha Bertolaso nel suo campo. Potrà costruire quello che vorrà dove vorrà e senza chiedere il permesso a nessuno e senza controlli.

Ammesso che la costruzione di altri duemila o tremila posti-carcere servirà a qualcosa sappiamo tutti che la soluzione non è questa ma l'abrogazione delle leggi con le quali la destra ha riempito le carceri di drogati e di migranti. Bisognerebbe poi percorrere un filo diverso da quello che

si sta seguendo e che crea dentro le carceri nuovi gironi di pena più dura. Bisognerebbe abolire ogni forma di detenzione peggiorativa di quella comminata dal Magistrato. Ma questo non sarà fatto perchè non interessa nessuno e perchè l'ideologia securitaria e classista del Governo ha contagiato anche gran parte dell'opposizione. Bisognerebbe poi rendere più difficile la carcerazione e sottoporla a procedure meno sbrigative. Bisogna insomma cambiare ideologia e prospettiva. Oggi la società è indotta ad inferocirsi contro chi sbaglia ed a considerare ingenua la politica del recupero, della mano tesa.

Ma una società tanto dura non è più sicura. Gli USA con le politiche della "tolleranza zero" avranno reso più linde New York ed altre città ma hanno anche il più alto numero di omicidi e di crimini del mondo. Il darwinismo sociale colpisce i poveri, i più deboli, ma rende il conflitto endemico, inestinguibile. La sofferenza dei colpiti resta comunque impressa nella società e la stigmatizza con il dolore delle vittime e delle loro famiglie.

Pietro Ancona

http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

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Mambro & Fioravanti: stiamo con la Bonino.

«Veniamo usati per fare colore»

Di quel milione e duecentomila euro con cui Gennaro Mokbel l'avrebbe tirata fuori dal carcere Francesca Mambro non parla. Ne parla invece suo marito Valerio Fioravanti, il fondatore dei Nar.

Tra le mille e seicento pagine d'ordinanza su Mokbel due nomi «eccellenti»: Mambro e Fioravanti.

Veniamo usati sì e no per far colore perché nella vicenda non abbiamo nessun ruolo se non un'amicizia - anche se amicizia è forse un termine un po' eccessivo - risalente ai tempi dell'adolescenza tra Francesca e il suo vicino di casa, Gennaro Mokbel, che all'epoca era un ragazzino coi capelli lunghi sempre in mezzo ai guai.

Da allora non l'avete più rivisto?

L'abbiamo rincontrato per caso oltre trenta anni dopo, ormai ricco e sposato. Ricordo che mi disse: «devo molto a tua moglie perché da ragazzino ero molto sbandato e lei era l'unica che quando mi incontrava per strada mi sgridava e mi rimandava a casa».

Al telefono sostiene di aver pagato un milione e duecentomila euro per far scarcerare Francesca.

Noi di soldi non sappiamo niente. A tirarci fuori sono stati la nostra storia, magistrati sereni e i nostri avvocati che - purtroppo per loro - hanno lavorato gratis. Inoltre, se le carte sono vere, io e Francesca siamo «usciti» almeno quattro o cinque anni prima dell'improvviso arricchimento di Mokbel.

Ma perché Mokbel l'avrebbe detto?

Non lo so. Era una conversazione privata con un amico suo, non a fini politici. Bisognerà leggere meglio le carte e poi ce lo dirà lui. E comunque non ci vedo nessun complotto. Di certo non ai nostri danni.

Forse un accreditamento a destra?

Noi siamo le ultime persone al mondo utili per un qualsiasi suo accreditamento. Questo è un problema di politica alta e che riguarda politici importanti.

Non certo me e Francesca che siamo semplici impiegati del partito radicale che fanno un lavoro di terza fila nella campagna elettorale per la Bonino. E che siamo contenti di stare in terza fila. E di stare con la Bonino.

Pensi a una manipolazione?

Non da parte dei magistrati, forse da parte di alcuni giornalisti «sensibili» al clima elettorale. E' una storia che ci dà molta tristezza ma che dal punto di vista giudiziario non ci riguarda assolutamente per niente

 
Le reazioni di Oliviero Diliberto

Bonino sì o no? Pillole di storia impresentabile, Mambro e Fioravanti

E' indecente che pluriomicidi, condannati con sentenza passata in giudicato, collaborino, seppur in terza fila, alla campagna elettorale del candidato del centrosinistra del Lazio Emma Bonino.

Lo ha detto Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani dopo aver appreso che Francesca Mambro e Valerio Fioravanti collaborano alla campagna elettorale di Emma Bonino.

Francesca Mambro e Valerio Fioravanti sono per lo Stato italiano i responsabili del più grave eccidio di uomini, donne, anziani e bambini inermi che sia mai avvenuto nella storia repubblicana.

Francesca Mambro e Valerio Fioravanti sono stati condannati complessivamente a 17 ergastoli e la sentenza sulla strage di Bologna è passata in giudicato.

Lasciando da parte la strage di Bologna, strage fascista, ecco alcune delle altre imprese dei due collaboratori di Emma Bonino:

28 febbraio 1978.
Giusva Fioravanti ed altri notano due ragazzi seduti su una panchina che dall’aspetto (capelli lunghi e giornali) identificano come appartenenti alla sinistra. Fioravanti scende dall’auto, si dirige verso il gruppetto e fa fuoco: Roberto Scialabba, 24 anni, cade a terra ferito e Fioravanti lo finisce con un colpo alla testa. Poi, si gira verso una ragazza che sta fuggendo urlando e le spara senza colpirla.

9 gennaio 1979.
Fioravanti ed altre tre persone assaltano la sede romana di Radio città futura dove è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. I terroristi fanno stendere le donne presenti sul pavimento e danno fuoco ai locali.L’incendio divampa e le impiegate tentano di fuggire. Sono raggiunte da colpi di mitra e pistola. Quattro rimangono ferite, di cui due gravemente.

16 giugno 1979.
Fioravanti guida l’assalto alla sezione comunista dell’Esquilino, a Roma. All’interno si stanno svolgendo due assemblee congiunte. Sono presenti più di 50 persone. La squadra terrorista lancia due bombe a mano, poi scarica alla cieca un caricatore di revolver. Si contano 25 feriti. Dario Pedretti, componente del commando, verrà redarguito da Fioravanti perché, nonostante il ricco armamentario “non c’era scappato il morto”. Che Fioravanti fosse colui che ha guidato il commando è accertato dalle testimonianze dei feriti e degli altri partecipanti all’azione, e da una sentenza passata in giudicato.

Ciononostante, Fioravanti ha sempre negato questo suo pesante precedente stragista.

17 dicembre 1979.
Fioravanti assieme ad altri vuole uccidere l’avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura di Pierluigi Concutelli, leader carismatico dell’eversione neofascista. Fioravanti non ha mai visto la vittima designata, ne conosce solo una sommaria descrizione. L’agguato viene teso sotto lo studio dell’avvocato, ma a perdere la vita è un inconsapevole geometra di 24 anni, Antonio Leandri, vittima di uno scambio di persona e colpevole di essersi voltato al grido “avvocato!” lanciato da Fioravanti.

6 febbraio 1980.
Fioravanti uccide il poliziotto Maurizio Arnesano che ha solo 19 anni. Scopo dell’omicidio, impadronirsi del suo mitra M.12. Al sostituto procuratore di Roma, il 13 aprile 1981, Cristiano Fioravanti – fratello di Valerio – dichiarerà: “La mattina dell’omicidio Arnesano, Valerio mi disse che un poliziotto gli avrebbe dato un mitra; io, incredulo, chiesi a che prezzo ed egli mi rispose: “gratuitamente”; fece un sorriso ed io capii”.

23 giugno 1980.
Fioravanti e Francesca Mambro uccidono a Roma il sostituto procuratore Mario Amato. Il magistrato, 36 anni, è appena uscito di casa; da due anni conduce le principali inchiesta sui movimenti eversivi di destra. Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando “alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi”.

9 settembre 1980.
Mambro e Fioravanti con Soderini e Cristiano Fioravanti, uccidono Francesco Mangiameli, dirigente di Terza Posizione in Sicilia e testimone scomodo in merito alla strage di Bologna.

5 febbraio 1981.
Mambro e Fioravanti tendono un agguato a due carabinieri: Enea Codotto, 25 anni e Luigi Maronese, 23 anni. Dagli atti del processo è emerso che durante l’imboscata Fioravanti ha fatto finta di arrendersi. Poi ha gridato alla Mambro, nascosta dietro un’auto, “Spara, spara!”.

30 settembre 1981.
Viene ucciso il ventitreenne Marco Pizzari, estremista di destra e intimo amico di Luigi Ciavardini, poiché ritenuto un “infame delatore”. Del commando omicida fa parte Mambro.

21 ottobre 1981.
Alcuni Nar, tra cui Mambro, tendono un agguato, a Roma, al capitano della Digos Francesco Straullu e all’agente Ciriaco Di Roma. I due vengono massacrati. L’efferatezza del crimine è racchiusa nelle parole del medico legale: “La morte di Straullu è stata causata dallo sfracellamento del capo e del massiccio facciale con spappolamento dell’encefalo; quello di Di Roma per la ferita a carico del capo con frattura del cranio e lesioni al cervello”. Il capitano Straullu, 26 anni, aveva lavorato con grande impegno per smascherare i soldati dell’eversione nera.Nel 1981 ne aveva fatti arrestare 56. La mattina dell’agguato non aveva la solita auto blindata, in riparazione da due giorni.

5 marzo 1982.
Durante una rapina a Roma, Mambro uccide Alessandro Caravillani, 17 anni. Il ragazzo stava recandosi a scuola e passava di lì per caso. La sua morte suscita scalpore anche perché il giovane viene colpito alla testa con un colpo di pistola sparatogli a bruciapelo.


Non credo che Fioravanti e Mambro, coi loro plurimi ergastoli, abbiano ancora il diritto di voto.
Ma che lavorino, sia pure in modo defilato, per la campagna della Bonino mi sembra cosa ovvia .... lavorare per il Partito Radicale è semplicemente il loro lavoro, di quel partito sono dipendenti regolarmente stipendiati ... in particolare Fioravanti ( la Mambro è formalmente fuori per accudire il proprio figlioletto) deve proprio al suo lavoro per il Partito Radicale, ai cui "servizi sociali" è stato "affidato" dai magistrati, la sua situazione di libertà vigilata ...

processo thyssen: gli ispettori ASL al soldo dell'azienda non si presentano

A quanto pare nell'udienza del processo thyssen di ieri, 4 ispettori dell'ASL che dovevano testimoniare in difesa dei padroni stragisti non si sono presentati in aula; anch'essi risultano indagati per falso e abuso d'ufficio, come altri esponenti dello stesso ente che erano complici dell'azienda nell'eludere i controlli sulla sicurezza dello stabilimento thyssen. Sembra essere dunque servito a rafforzare l'azione processuale lo striscione di denuncia messo davanti all'ASL di via Alassio a Torino qualche giorno fa,dove sulla porta d’ingresso dello Spresal (Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro) è comparso uno striscione con falce e martello e stella a cinque punte recante la scritta: ISPETTORI COMPLICI DEL PADRONE, LA CLASSE OPERAIA NON DIMENTICA, SIAMO TUTTI OPERAI THYSSEN.

Nelle udienze più recenti del processo Thyssenkrupp, infatti (l’ultima appunto ieri), tra le altre cose è emerso che gli ispettori ASL avvertivano preventivamente l’azienda quando c’erano i controlli.

A riprova della complicità degli ispettori ASL c’è anche la sparizione, alcune settimane fa, dagli uffici dello Spresal di via Alassio di due computer su cui l’accusa contava per acquisire dati, informazioni e elementi necessari per rafforzare gli indizi fin qui raccolti.

Ora sotto accusa per abuso d'ufficio ci sono l'ex dirigente dello Spresal, un ingegnere e tre ispettori. Alcuni di loro sono accusati anche di «soppressione di atti», in relazioni ai rapporti di servizio spariti. Ad altri si contesta il falso in concorso con Cosimo Cafueri, l'ex responsabile della sicurezza dello stabilimento che è sotto processo per le pessime condizioni della fabbrica della morte ed è pure e indagato per aver indotto ex dipendenti della azienda a dire il falso in aula. L'ultimissima contestazione formalizzata, in attesa degli sviluppi degli accertamenti sul furto dei computer, per due dei sei controllori infedeli riguarda anche l'incidente subito da un operaio, con una mano e un braccio squarciati da un rullo senza adeguati sistemi di sicurezza e blocco.

Giustizia: 19enne suicida in carcere? i genitori chiedono verità

Antigone

Abbiamo appreso della morte di C.C. da una lettera dei suoi genitori arrivata qualche settimana fa al Difensore civico di Antigone. È una triste vicenda avvenuta nella scorsa primavera e trapelata da un’agenzia di stampa come un’ipotesi di suicidio. In questi termini ne parlava l’ansa del 29 marzo scorso: "un ventenne, C. C., detenuto nella Casa Circondariale di... è morto per i postumi delle ferite che si è procurato impiccandosi nella sua cella dopo il ricovero nel pronto soccorso dell’ospedale".

Sulla scia del caso di Stefano Cucchi, i genitori decidono di scriverci perché ritengono che anche la morte di loro figlio sia avvenuta in "circostanze poco chiare" e perché Stefano non è "né il primo né l’ultimo fino a quando tutte queste storie di morti invisibili non vengono messe a conoscenza con regolarità".
A soli 19 anni, C. sarebbe morto suicida in un carcere siciliano dopo 4 giorni dall’arresto. I genitori non credono che il figlio possa essersi suicidato e ci spiegano le loro ragioni.
C. viene fermato assieme ad altri due ragazzi dopo una rapina subita da un tabaccaio. A seguito dell’arresto, ci raccontano nella lettera i genitori, i tre giovani sono stati "massacrati di bastonate" così come rivelano le foto segnaletiche in cui C. "aveva gli occhi neri, l’orecchino strappato dall’orecchio e le labbra ferite".

C. probabilmente non aveva commesso la rapina. Come attestano le telecamere del negozio e come avrebbe dichiarato lui stesso nel corso dell’interrogatorio di garanzia, si trovava lì in quel momento perché stava acquistando delle sigarette e non conosceva i due rapinatori.
Dopo il suo ingresso in carcere, viene messo in una cella di isolamento e lì la mattina del quarto giorno gli agenti penitenziari lo trovano mentre si sta impiccando. L’ospedale si trova a soli 5 minuti di distanza dal carcere ma i soccorsi sono inutili.

Alle 11.30 del 28 marzo C.C. muore e i genitori vengono avvertiti dal personale penitenziario dopo quattro ore, alle 15.30. I genitori sanno dell’innocenza del figlio e soprattutto sanno che non si sarebbe mai suicidato.
Ci chiedono di dargli voce per capire le cause della sua morte, ci chiedono di avere delle "spiegazioni chiare" - noi aggiungiamo, dovute - dei segni trovati sul suo corpo, del perché sia stato messo in una cella di isolamento e perché i soccorsi siano stati inutili nonostante l’ospedale si trovi a poca distanza dal carcere.
Noi non possiamo rispondere alle loro domande, lo farà la magistratura, ma, oltre ad aver denunciato il fatto alla Procura competente, ci sentiamo in dovere di dare voce a questa vicenda, come abbiamo già fatto in passato per altri casi, perché è inaccettabile la prassi o del silenzio o del mero cordoglio pubblico su queste morti.



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