domenica 31 gennaio 2010

Sventato tantato suicidio a Busto Arsizio

L' evasione di un internato dalla Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano, nel modenese, un tentativo di suicidio nel carcere di Busto Arsizio e l'aggressione a due agenti della penitenziaria in servizio presso la sezione femminile del carcere di Benevento: è "il bilancio di una settimana sostanzialmente tranquilla nei nostri penitenziari". Così il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, facendo il resoconto settimanale degli eventi critici all'interno dei penitenziari.

Napoli: all’Ipm di Nisida un 18enne violentato da tre detenuti

Un detenuto di 18 anni recluso nel carcere minorile di Nisida a Napoli ha subito violenze e angherie di ogni tipo da un gruppo di altri reclusi della struttura che sono stati arrestati dopo la denuncia fatta dalla vittima ad un ufficiale di polizia giudiziaria. Lo riferisce il quotidiano Roma. Gli arrestati, tre, hanno tutti 19 anni ma si trovano ancora nel carcere minorile perché all’epoca dei fatti per i quali erano stati portati nella struttura non erano ancora maggiorenni. Uno dei quattro è anche coinvolto nell’omicidio di una guardia giurata. Nell’ordinanza di custodia cautelare emessa in seguito alle indagini svolte dall’ufficio di sovrintendenza del corpo di polizia penitenziaria dell’istituto minorile si ipotizzano i reati di violenza sessuale di gruppo, stalking e lesioni aggravate. Coinvolta nell’indagine anche una quarta persona, minorenne, per la quale si procede in maniera separata.

Il direttore del Dgm: quei minori sono adulti

Quei minori, in troppi casi, sono già adulti, perché a Nisida si può rimanere fino a 21 anni. Inoltre, le violenze subite dal detenuto nel carcere minorile di Napoli sono uno degli effetti deleteri del sovraffollamento della struttura. Il direttore del dipartimento di giustizia minorile di Campania e Molise Sandro Forlani, e il direttore del penitenziario Gianluca Guida commentano in questi termini il caso esploso a Napoli. Dove uno dei ragazzi di Nisida ha denunciato di aver subito vessazioni atroci dai suoi compagni. "Una vicenda circoscritta nel tempo - sottolinea Guida -, che si è sviluppata nel giro di pochi giorni, e sulla quale sono in corso gli accertamenti della magistratura". Il caso è venuto fuori, spiega fra l’altro, "proprio perché il personale del carcere ha notato che il ragazzo viveva uno stato di malessere, e così è stato incoraggiato a raccontare cosa stesse succedendo".
Resta l’orrore delle violenze, dovute, spiega Guida, anche allo sforzo che si richiede alla struttura: "Il carcere di Nisida è tarato sull’accoglienza di 32 detenuti - dice - ma negli ultimi due anni siamo arrivati anche a raggiungere il picco di 60. Questo comporta che in una camera in cui dovrebbero dormire 3 persone, si sia costretti a farcene convivere fino a cinque". Oggi a Nisida ci sono 51 ragazzi e 9 ragazze. Il disagio che consegue è evidente. Ma non è questo l’unico problema: "La legge consente ai ragazzi di rimanere nel carcere minorile fino ai 21 anni. E questo crea degli innesti fra logiche criminali diverse, che spesso non appartengono a quelle della adolescenza". Secondo Guida "sarebbe opportuno poter applicare in modo più flessibile la legge su questo punto".
L’opinione è condivisa da Sandro Forlani: "Nel carcere minorile arrivano anche ragazzi che hanno già conosciuto la realtà del penitenziario degli adulti. Se commettono un reato oltre i 18 anni, vanno a Poggioreale. Poi magari diventa esecutiva l’ordinanza per un reato commesso da minori, e vengono portati a Nisida. Così questi minori adulti detenuti sono portatori di esperienze vissute altrove. Il che può snaturare l’impegno nei confronti della adolescenza".

Già trasferiti detenuti responsabili

I violenti sono stati già trasferiti. Mentre gli altri si sono schierati con la vittima, il detenuto che ha denunciato atroci violenze subite a Napoli da alcuni compagni nel carcere minorile di Nisida. Sono giovanissimi carcerati, che il senso comune liquida come delinquenti: eppure, di fronte agli "aguzzini" di un ragazzo che era a Nisida praticamente di passaggio - è stato detenuto per un mese - hanno manifestato solidarietà e sdegno. "I ragazzi hanno preso una posizione netta e forte in difesa di questo ragazzo", spiega il direttore del carcere Gianluca Guida. Un segnale positivo per la struttura e per gli operatori che qui lavorano ogni giorno. Il direttore del carcere esclude che le violenze possano aver riguardato anche altri ragazzi: "Riteniamo che cose di questo tipo non siano avvenute né in contemporanea, né in altri momenti. Inoltre sono già stati presi di provvedimenti - continua - sia sotto il profilo sanzionatorio-disciplinare, nei confronti di chi è stato responsabile di questi episodi, sia a tutela dei ragazzi che oggi sono ancora in carcere". La conferma arriva dal direttore del dipartimento di Giustizia minorile di Campania e Molise, Sandro Forlani, secondo il quale "si tratta di una vicenda vecchia, che risale a tre mesi fa, e due detenuti sono già stati trasferiti altrove".



sabato 30 gennaio 2010

Vergogna nera

di Nicola Mastrangelo

Nella giornata del ricordo della Shoà il gruppo neofascista «Militia» oltraggia il museo della Liberazione e copre di scritte il centro di Roma. Insulti per il capo della comunità ebraica. Tutti condannano, la sinistra ricorda i saluti romani al comizio della Polverini

«Olocausto propaganda sionista», e «27 -01 Ho perso la memoria». Sono le vergognose scritte apparse sul muro ieri mattina, giornata della memoria, a Roma in Via Tasso,proprio a due passi dall'entrata del museo della Liberazione. Più avanti, altre scritte,altri insulti rivolti al capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e al sindaco Gianni Alemanno definiti: «porco judeo» il primo, «verme sionista»il secondo. Ma non sono le sole: sempre sui muri del quartiere Esquilino si legge «Hamas vincerà»e «Israele boia».Un attacco vigliacco, non un atto vandalico.Le scritte sono per la maggior parte firmate dal gruppo neofascista «Militia». La telecamera di sicurezza del museo di via Tasso, ha ripreso un gruppo di quattro ragazzi che muniti di spray e passamontagna in formazione militare hanno imbrattato l'ingresso di quello che un tempo era il comando ed il carcere di tortura delle Ss a Roma. «È stato un omaggio ai nazisti - ha detto il direttore del museo Giuseppe Mogavero - perché le scritte sono apparse al civico 155 dove c'era il comando delle Ss di Kappler e Priebke. E c'è la duplice concomitanza con l'apertura della mostra sulla prostituzione forzata nei lager».

«Militia» è una sigla legata alla figura di Maurizio Boccacci ex leader del disciolto Movimento Politico Occidentale. Boccacci è noto alla Digos per aver rivendicato la paternità di altri striscioni apparsi lo scorso 19 novembre, in via del Muro Torto, che avevano come bersagli sempre Riccardo Pacifici. Il quale ha commentato l'episodio di ieri come «un grande atto di debolezza da parte di questi ragazzotti, perché il paese è cambiato,nessuno resterà indifferente e non è più possibile pensare di ricreare un clima come quello del passato.L'Italia - ha detto Pacifici - è un paese che ha ben chiaro nel preambolo della sua Costituzione,il giudizio sul nazifascimo.Ha una legge che punisce chi inneggia al razzismo,alla xenofobia e all'antisemitismo». Anche il sindaco di Roma, Alemanno (che ieri ha celebrato il giorno della Memoria nel campo rom di Casilino) ha definito le scritte come una «offesa senza pari al rispetto della persona umana.Purtroppo - ha aggiunto - C'è ancora qualche criminale che offende la memoria per ottenere visiblità».

Uniti alla condanna del gesto offensivo,avvenuto proprio nel giorno istituito per commemorare e ricordare le vittime dell'Olocausto, gran parte del mondo politico e delle istituzioni.«Sono scritte offensive,mi auguro che queste persone vengano assicurate alla giustizia», ha detto Andrea Ronchi ministro per le politiche europee che ieri si è recato al museo.Solidarietà al museo di via Tasso e a tutta la comunità ebraica sono arrivate da parte del mondo del lavoro attraverso le parole di Claudio Berardino,segretario della Cgil di Roma e Lazio «scritte infamanti nel giorno in cui si celebra la Memoria e si commemorano tutte le vittime della barbaria nazifascista».Solidarietà e condanne ad un gesto razzista e preoccupante,che dovrebbe far riflettere su quanto sia ancora vivo e serpeggiante il germe del fascismo e del razzismo. Che si nasconde e si mimetizza,che appare sporadico con scritte sui muri e saluti romani in occasione di partite di calcio o manifestazioni di qualche politico,magari candidato alla presidenza della regione Lazio. E' i caso di Renata Polverini,candidata del Pdl,alla regione Lazio. Ieri ha commentato l'episodio parlando di un «atto di gravità inaudita». Il consigliere provinciale di Sinistra e Libertà Gianluca Peciola la invita però a «assumere una decisa presa di posizione nei confronti delle espressioni nostalgiche a cui abbiamo assistito durante la sua campagna elettorale. Affinché le dichiarazioni di condanna non suonino come retoriche e di circostanza ». La candidata del centrosinistra Emma Bonino ha inviato un messaggio alla comunità ebraica: «Siamo sempre con voi».

Scritte razziste e polemiche da campagna elettorale non hanno comunque fermato i volontari del Museo di via Tasso dal celebrare la giornata della memoria. Che hanno indetto insieme all'Anpi un sit-in di fronte al museo per domenica alle 10,30.



http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/argomenti/numero/20100128/pagina/02/pezzo/270088/

Sardegna: grave situazione igienica; manca sapone e detersivo

"Solo un intervento straordinario degli enti locali per l’acquisto di detersivi, stracci e saponi può porre rimedio alla grave situazione igienica in cui si trovano diversi istituti penitenziari della Sardegna. Il sovraffollamento non incide solo sul numero delle persone dentro le celle con pesanti condizionamenti sugli spazi vitali ma anche sulle condizioni igieniche dei locali comuni. Alla scarsità del sapone per lavarsi si aggiunge quella dei detersivi per pulire le celle. Il risultato è facilmente intuibile". Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", che ha ricevuto segnalazioni dai detenuti di alcuni Istituti isolani e dai familiari preoccupati per il degrado degli ambienti in cui sono costretti a vivere i loro congiunti.

"Abbiamo appreso - afferma Caligaris sottolineando l’emergenza determinata dalla incessante crescita della popolazione carceraria - che molti detenuti, specialmente quelli extracomunitari le cui famiglie sono lontane e con scarsi mezzi, non dispongono neppure del vestiario sufficiente per coprirsi in questi mesi invernali e molti non hanno le scarpe. È evidente che il volontariato contribuisce per cercare di porre rimedio a situazioni così difficili grazie alla generosità di molti cittadini ma è assurdo che non intervenga il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Occorre garantire inoltre lenzuola, federe, cuscini e coperte ma anche un vestiario adeguato alla stagione. Senza contare le necessità di gasolio per l’acqua calda e il riscaldamento".

"Queste carenze - sostiene ancora Caligaris - sono ancora più gravi se si considerano i rischi per la diffusione di malattie. Il paradosso è che una sottovalutazione della situazione può avere delle ancor più pesanti conseguenze con la necessità di medicinali e interventi di disinfestazione e isolamento praticamente inattuabili. A questo punto diventa inderogabile l’intervento degli Enti Locali. Le amministrazioni infatti possono destinare dei fondi per l’acquisto dei prodotti per la pulizia. Ciò almeno per limitare i danni".

"Non è tuttavia degno di un Paese civile - conclude Caligaris - non salvaguardare la dignità dei cittadini specialmente quando non sono nelle condizioni di poter provvedere ai propri bisogni. Qui non si tratta di disporre di beni di lusso per i detenuti, ma di preservare la decenza delle istituzioni".

venerdì 29 gennaio 2010

Provocazione di Casa Pound all'università: chi è fascista non si smentisce mai!

Ancora i “bravi ragazzi” di quella che fu Casa Pound Napoli e sempre gli stessi mezzi vigliacchi.
Questa volta sono apparsi all'università(L'Orientale), aspettando che qualche studente delle aule occupate arrivasse...Provocazioni, insulti, la minaccia di utilizzare il coltello (che come abbiamo visto in passato accompagna questi loschi figuri...) verso una compagna che prontamente lo ha spinto all'esterno dell'aula. La situazione concitata ha allertato altri compagni e studenti che erano all'università in quel momento e il fascistello è stato cacciato.
Ma se i metodi vigliacchi di questa gente non ci sorprendono, non ci sorprende nemmeno il fatto che pochi istanti dopo essere stato messo alla porta, il “giovanotto non conforme” è stato visto parlare con Andrea Fonsmorti, consigliere del PDL alla Municipalità Vomero-Arenella, anche lui tristemente noto per una serie di iniziative negli scorsi anni tra le quali quella che richiedeva “Il Vomero ai Vomeresi”: la chiusura della metro collinare nel fine settimana per fare in modo che il “suo quartiere” fosse al riparo dalla periferia e dai tanti ragazzi che si muovono dall'area Nord di Napoli per raggiungere il Centro Storico e il Vomero.Ancora una volta Casa Pound e PDL... nemmeno questo ci sorprende, l'abbiamo mille volte denunciato e continueremo a farlo... Non ce ne vogliano Diodato, Schifone & Co... ora che siamo in campagna elettorale!!
Rete napoletana contro neofascismo, razzismo e sessismo
UN SALUTO A PUGNO CHIUSO AI COMPAGNI DEL CAU!!!!

Stasera Cineforum Popolare

Giustizia: assistenza psicologica in carcere e suicidio di Ivano

Il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha provveduto ad istituire delle Unità di Ascolto per prevenire i suicidi assegnando tale funzione alla Polizia Penitenziaria. Ritengo che la formazione di questo personale, in particolare quella psicologica, sia fondamentale per lo svolgimento del loro lavoro, tuttavia la cosa diviene anomala laddove si affida un compito così specialistico esclusivamente a professionalità che hanno funzioni di altra natura, senza tenere conto delle professionalità specifiche presenti, peraltro largamente sottoutilizzate.

I numerosi episodi di suicidio dall’inizio di quest’anno ed in particolare l’ultimo avvenuti nell’istituto di Spoleto, quasi sotto i miei occhi, hanno sollecitato il mio senso di impotenza ed insieme la necessità di parlare dell’assistenza psicologica ai detenuti di cui, nei limiti di quanto mi è possibile data la grave carenza di questo servizio, mi occupo come psicologo da 28 anni. Assistenza psicologica, divenuta oggi ancor più necessaria, data la situazione di disagio estremo che inevitabilmente si riflette anche su tutti gli operatori che a diverso titolo lavorano in questo "mondo a parte".
Il sovraffollamento di cui si parla tanto è solo la punta dell’ iceberg di un sistema penale in cui vanno ricercate le cause dell’emergenza:
- l’uso facile ed indiscriminato del carcere per affrontare problemi di natura sociale, spesso di disagio psichico (come il caso del suicidio avvenuto a Spoleto);
- la chiusura delle prospettive di vita - sia durante la detenzione che dopo - determinata dalle modifiche apportate alla riforma del 1975 e alla Legge Gozzini che ne hanno capovolto la ratio;
- la presenza massiccia di persone in attesa di giudizio, (il 50% della popolazione detenuta, di cui il 40% viene poi assolta), che si trovano a vivere una condizione in cui mancano, non solo quegli stimoli alla crescita personale (il cosiddetto "Trattamento") che dovrebbero restituire alla società persone consapevoli delle ragioni del danno arrecato e garantire alla collettività la correttezza dei propri comportamenti, ma anche i requisiti essenziali di vivibilità (spazi, generi di prima necessità, servizi di assistenza anche sanitaria;)
- l’inasprimento dei regimi detentivi (non solo il 41 bis per i boss, ma anche l’Alta sicurezza, pene accessorie quali isolamento diurno, 14 bis etc.) che prevedono deprivazione di stimoli aggiuntive allo stato di detenzione;
- il Fine Pena Mai, ovvero quelle forme di ergastolo senza possibilità di avere benefici, né a media né a lunga scadenza.
Date queste premesse, il disagio psichico ed i suicidi che ne sono la più drammatica espressione, sono destinati inevitabilmente ad aumentare, a superare il triste primato mai raggiunto con l’anno 2009.

Ma torniamo all’ultimo suicidio. Come forse ricorderà lavoro a Spoleto e proprio quel giorno, mercoledì 20 purtroppo ero lì, presente al suicidio di Ivano Volpi. Ivano era stato arrestato sabato 16, proveniente dalla libertà per un’aggressione seguita a un oltraggio a pubblico ufficiale allorquando, chiamate sul posto, sono intervenute le forze dell’ordine. Era già stato detenuto a Spoleto per qualche mese ed era uscito a settembre, per comportamenti di violenza analoghi, legati al suo stato di tossicodipendenza, prevalentemente da alcool (ma non solo). In passato aveva fatto percorsi terapeutici presso Comunità ed anche stavolta, nonostante la sua titubanza (affermava di preferire il carcere alla comunità) era in procinto di tornarci.

Ed era questo il motivo per cui quel giorno si trovava in infermeria: infatti, dopo il colloquio con il suo avvocato che gli aveva fatto firmare la richiesta per il programma in comunità, era stato appoggiato in una stanza dove attendeva di essere chiamato dal medico che avrebbe dovuto controfirmare la richiesta di cui sopra.
Nell’attesa, il mio collega che lo aveva seguito nella precedente detenzione, avendo saputo che lui era lì, ha chiesto all’agente in servizio di poterlo vedere. È andando a prenderlo per portarlo a colloquio con lo psicologo che ci si è accorti della sua morte: si era tolto il maglione con cui aveva fatto un cappio e, dopo essere salito su una lettiga, si era lanciato giù. Lasciando davanti a sé la richiesta firmata per la comunità. Nonostante i tempestivi soccorsi da parte della Polizia Penitenziaria e dei medici, non c’è stato nulla da fare. È stato un evento repentino ed in certa misura imprevedibile, non imputabile certamente a negligenze del personale che era presente. Il carcere stesso ha inciso solo in quanto è stato l’ennesimo rifiuto e l’ennesimo stigma, a fronte di comportamenti aggressivi, espressione di un disagio e di una richiesta di aiuto che avrebbe richiesto risposte basate sulla cura e non sulla punizione.

Certamente con il mio collega ci siamo chiesti se il gesto di Ivano si sarebbe potuto prevenire se ci fosse stato almeno un servizio di assistenza psicologica che avesse consentito ad uno di noi di vederlo, di parlarci. Il confine tra il vivere e il morire, in circostanze così particolari a volte è così sottile, che anche la parola può divenire importante. Forse sarebbe accaduto lo stesso, non lo sappiamo e non lo sapremo. Ciò che sappiamo, ciò che è certo è che, il giorno in cui lui è entrato: sabato, e poi domenica e poi lunedì e poi martedì, nessuno di noi lo ha potuto vedere perché abbiamo a disposizione 34 ore al mese ciascuno e quindi la nostra presenza in istituto è davvero scarsa. Quindi di servizio di primo ingresso, non se ne parla proprio. E quando finalmente Ivano stava per essere ascoltato, era troppo tardi. In Italia ci sono 380 psicologi che lavorano in modo precario da 35 anni, malpagati e per una manciata di ore (in media 20 al mese per ciascuno, che equivalgono a tre ore l’anno per detenuto). Per mancanza di fondi.
Nonostante la presenza di personale da anni precario, qualche anno fa il Ministero della Giustizia ha, inspiegabilmente, bandito un concorso, che è stato vinto da 39 psicologi, i quali non sono stati assunti, sempre per mancanza di fondi.

Questo ha suscitato una specie di guerra tra disperati: i vincitori di concorso chiedono che i fondi che sono stati finora destinati ai 380 vengano utilizzati per la loro assunzione, chi lavorava già difende il suo lavoro, anche se precario, malpagato e insufficiente, ma anche la professionalità e l’esperienza acquisita, che vorrebbe continuare a mettere a disposizione dei detenuti per garantire qualità e continuità nell’assistenza. Sperando che un giorno ci si ponga davvero il problema della prevenzione e tutela della salute psichica dei detenuti.
Intanto continua questa inutile guerra tra chi pensa che il diritto a mantenere il lavoro sia cosa di poca importanza di fronte al (giusto ndr) diritto ad essere assunti e chi, avendo conoscenza diretta della drammatica realtà di cui si parla, è consapevole che l’assunzione di 39 psicologi in tutta Italia non possa risolvere l’assistenza psicologica ai detenuti. E i suicidi continuano a verificarsi.

Credo di rappresentare il pensiero di molti dei miei colleghi dicendo che se c’è una battaglia da fare, non è certo per vincere su altri colleghi ma, come abbiamo inutilmente proposto, per un obiettivo comune che, oltre al diritto al lavoro non può non estendersi alla necessità che avvertiamo, come persone, come professionisti e come cittadini di un paese civile di istituire un Servizio di Psicologia Penitenziaria che possa contribuire a contenere il disagio psichico e le morti in carcere.

Paola Giannelli
Segretario Nazionale Società Italiana Psicologia Penitenziaria

Scontri operai Alcoa e polizia sulla pista dell'aeroporto di Cagliari

da repubblica


I lavoratori manifestano contro la decisione della multinazionale statunitense di fermare gli stabilimenti italiani per sei mesi. L'aeroporto è stato chiuso per motivi di ordine pubblico.
E' stato chiuso per motivi di ordine pubblico l'aeroporto di Cagliari Elmas, e i voli in arrivo sono stati dirottati sugli altri scali alternativi di Alghero e Olbia a causa della manifestazione attuata questa mattina dai lavoratori dello stabilimento Alcoa di Portovesme.
Sono scoppiati dei tafferugli sulla pista dell'aeroporto tra polizia e carabinieri in assetto antisommossa e operai dell'Alcoa che occupano da questa mattina l'aerostazione e che, dopo aver occupato il piazzale di parcheggio, hanno cercato di raggiungere la pista principale.
Gli operai, che hanno bloccato le partenze raggiungendo anche i gate dal 10 al 18 dove manifestano con bandiere e cori, hanno permesso lo sbarco dei passeggeri di un aereo giunto da Fiumicino, mentre è tuttora bloccato di traverso sull'ampio piazzale un velivolo Meridiana.

Sono stati fatti scendere dopo oltre un'ora di attesa sul velivolo, i 131 passeggeri dell'aereo della Ryanair che sarebbe dovuto decollare alle 10:25 diretto a Treviso: la tratta è stata cancellata dalla compagnia
I lavoratori, che manifestano contro la decisione della multinazionale statunitense di fermare gli impianti per sei mesi, hanno occupato questa mattina l'aerostazione di Cagliari-Elmas bloccando anche la pista.

GAZA rimane senza corrente

E mentre il 27.1.10  in tutto il mondo Occidentale si proclama la “Giornata della Memoria” in ricordo dell’Olocausto contro gli Ebrei... l’Unione Europea chiude i finanziamenti per il rifornimento di Petrolio che serve ad alimentare la centrale Elettrica di Gaza, mentre tutte le Organizzazioni umanitarie sono concentrate su Haiti i nostri Politici fanno finta di dimenticare l’Olocausto che da 60 anni viene fatto nei confronti del Popolo Palestinese.

Chi si deve ringraziare se da ieri gli Ospedali di Gaza sono rimasti senza corrente elettrica bloccando tutti i macchinari necessari per effettuare le operazioni da bisturi, i generatori che servono a mantenere in vita persone in coma, al milione e mezzo di persone che sono allo stremo e adesso gli si toglie pure quel pò di calore delle lampadine dato che il calore UMANO gli è stato per sempre negato, ai bambini martoriati e che adesso devono studiare o fare i compiti alla luce delle candele, d’inverno fa freddo e quelle persone non hanno nulla con che scaldarsi se non bruciando i loro mobili dato che a Gaza manca pure la legna.

Il vice presidente dell’Energia Palestinese Kenan Obeid ha mandato un appello ai Paesi Arabi affinchè si premurino a mandare aiuti in Gaza dato che la situazione peggiora di ora in ora, mentre in Europa si festeggia a suon di Champagne e Caviale il giorno della Memoria dimenticando l’Olocausto dei Palestinesi. Anche qui c’è in gioco Petrolio e Gas che gli Israeliani e gli Egiziani hanno rubato ai Palestinesi grazie a molti Paesi facenti parte della EU e dell’ONU che non hanno preso nessuna iniziativa per far smettere questo Genocidio... un grazie particolare va al nostro pseudo ministro Franco Frattini che ha chiaramente dichiarato da che parte stà.

Viene da vomitare quando sento certi discorsi uscire dalla bocca di personaggi che predicano Pace e uguaglianza nel Mondo e nello stesso tempo chiudono gli occhi davanti alla realtà di un Genocidio pianificato e commesso, chiaro è ..che il Popolo Palestinese stà facendo la stessa fine dei Pellerossa Americani che alla fine furono rinchiusi in una Riserva dopo essere stati decimati e lasciati morire di fame e di freddo o come quegli Ebrei che furono chiusi nel Ghetto di Varsavia per ordine di Sionisti che indossavano la Divisa delle SS e lasciati crepare come animali feriti. Ma tanta sarà la pioggia sin quando tutto sarà bagnato e tanta sarà la clemenza che voi politici chiederete... nessuno vi sentirà.

Venaria. La trivella se ne va, la lotta continua. Cronache no tav

Tre giorni di lotta No Tav a Venaria.

Cronaca del presidio e dell'assemblea popolare

La trivella, in questa periferia tra tralicci e tangenziale, è durata meno di due giorni. Piazzata nel tardo pomeriggio del 26 gennaio non è riuscita a lavorare perché i No Tav hanno impedito il passaggio del camion con le luci. Il giorno successivo la pressione popolare ha obbligato la giunta a chiedere la sospensione dei lavori per consentire il riposo quotidiano ai bimbi della vicina scuola materna.
Il presidio No Tav, andato avanti giorno e notte, è stato occasione per informare sul Tav e costruire una più forte rete di resistenza al supertreno.

Mercoledì 27 all’assemblea popolare No Tav hanno partecipato 200 persone, in buona parte cittadini di Venaria. I diversi interventi hanno sottolineato la ferma opposizione al Tav, opera inutile, costosissima, dannosa per la salute e per l’ambiente. In via Amati la gente convive già con gravissime nocività e non vuole tollerarne altre. L’aria è impestata dal passaggio di migliaia di veicoli sulla vicina tangenziale, le barriere non bastano certo ad attutire il fragore, e, come se non bastasse, una linea di tralicci ad alta tensione passa accanto alle case, ben più vicina dei 60 metri prescritti dalle leggi.
I più sono consapevoli che fermare il Tav è possibile, ma serve l’azione diretta popolare e non la delega ai politici a caccia di voti alle comunali del prossimo marzo.

Le bandiere No Tav ai balconi si sono moltiplicate. Tanti hanno manifestato la volontà di riprendere l’iniziativa sul territorio, ridando forza ai comitati No Tav.
Le truppe di occupazione che in armi hanno occupato quest’angolo di Venaria sono state guardate con sospetto e preoccupazione, mentre una calda solidarietà ha accolto i No Tav. Caffè, the, panettoni, salame e formaggio sono stati il segnale concreto che il popolo No Tav ha radici forti.
Nella mattinata del 27 la trivella è stata portata via. Ha “lavorato” solo un giorno e mezzo.
Quando proveranno a impiantare i cantieri i signori del cemento e del tondino troveranno filo da torcere anche a Venaria.
Anche a Torino e cintura: sarà dura. No Tav No Trivelle!

Prossimi appuntamenti:
- Ogni giorno, ovunque piazzino una trivella – e chi ne ha notizia ce lo segnali al più presto
- Sabato 30 gennaio punto informativo No Tav No Trivelle al Balon, in via Andreis angolo via Borgodora. Dalle 10,30.
- Mercoledì 3 febbraio dalle 17 assemblea popolare e punto info in via Eritrea angolo corso Francia – di fronte al palazzo degli oblò.

Per info:
No Tav Autogestione
notav_autogestione@yahoo.it

giovedì 28 gennaio 2010

Giustizia, Stato e ordine pubblico. Tre notizie in un giorno, protagoniste le forze di polizia

26-01-2010/11:30 --- Si tratta di una casualità. Eppure, nel giro di poche ore, tre notizie hanno fatto capolino sui quotidiani italiani: hanno come protagonista le forze di polizia e per oggetto la repressione, le botte la degradazione dei manifestanti, fino all'omicidio.
La prima notizia: piazza del Municipio, 17 marzo 2001, Napoli. Quel giorno andò in scena la grande prova generale dell'ignobile spettacolo fornito dalle forze di polizia a Genova pochi mesi più tardin nel cuore del G8. Le violenze, in una piazza scientificamente chiusa, senza via di uscita, passaggi interrotti financo alle autoambulanze che accorrevano numerose, ebbe il suo epilogo disgustoso nella caserma Raniero. Le testimonianze raccolte con un grande lavoro nel Libro bianco sui fatti di Napoli raccontano di perquisizioni corporali su uomini e donne al limite della tortura, estenuanti esercizi fisici, cori e insulti che risentiremo uguali nei corridoi di Bolzaneto, quattro mesi più tardi. In mezzo ci fu il cambio di governo, perché - è bene ricordarlo - il ministro responsabile di allora era il signor Enzo Bianco, oggi senatore del Pd, allora titolare del Viminale.
La seconda notizia: La Corte dei Conti ha convocato un centinaio di poliziotti per contestare loro il danno di immagine allo Stato per come hanno represso le manifestazioni dei No Tav.
La terza notizia è l'apertura del processo Aldrovandi-bis, quello relativo al depistaggio che è avenuto dopo l'uccisione del giovane di ferrara massacrato di botte mentre tornava a casa all'alba, dopo una notte passata con gli amici. Era il 25 settembre del 2005. Il processo in primo grado è terminato con la condanna per tre anni e sei mesi per quattro polliziotti. Ora la famiglia è stata accettata fra i banchi delle parti civili nell'inchiesta che riguarda il depistaggio delle indagini. La notizia data in pasto all'opinione pubblica dalla questura fu quella di uno squilibrato tossicodipendente che aveva attaccato gli agenti.Le tre notizie, nel medesimo giorno, sono quasi una sorpresa, quando, in fondo, riguardano comportamenti che l'autorità giudiziaria valuta secondo prove e indizi rispetto a un 'lavoro' molto sensibile, quale quello degli operatori di pubblica sicurezza e i gestori dell'ordine pubblico. Ma la sorpresa è divenuta quasui una 'buona notizia', travalicando quel confine di normalità che in uno Stato di diritto dovrebbe avere, perché sono poche le occasioni in cui si è assisitito, nella nostra storia italiana, a condanne o inchieste oneste rispetto a comportamenti devianti di alcuni soggetti, o di intere branche, del mondo delle forze di polizia. L'abitudine, insomma, è più quella che abbiamo imparato a inghiottire: poliziotti non identificabili, senza numeri sui caschi, senza identificativo sulle tute antisommossa, equipaggiati con materiali al limite delle convenzioni internazionali (ricordiamo il gas Cs, vietato addirittura inn teatri di guerra perchè capace di modificazioni genetiche), morti ammazzati senza colpevoli, archiviazioni, fantasiose ricostruzioni balistiche (Carlo Giuliani e un sasso che devia un colpo di pistola fin sotto uno zigomo!), impunità e anzi onorificienze della classe politica governante e dirigente per chi stava a capo della catena di comando dei fatti di Genova, se non per i responsabili ultimi delle decisioni adottate, con crudezza tangibile, nella 'piazza'.Vengono quasi i brividi a riscoprirsi più fiduciosi verso una giustizia eguale per tutti - anche per chi porta la divisa - quando si leggono tre notizie in fila come quelle raccontate. E nello stesso tempo avere una reazione spontanea che affiora alle labbra e fa dire che forse è stato solo un caso.Lo stupore richiama la distanza ancora da colmare per poter affermare davvero, compiutamente, di vivere in uno Stato in cui l'ordine pubblico è cosa che si svolge a favore e non contro i propri cittadini.
Angelo Miotto - Peacereporter

Omicidio Lonzi: Appello della madre

Come tutti sanno in questi anni ho potuto portare avanti la mia battaglia per cercare di arrivare alla verità e alla giustizia sulla morte di mio figlio Marcello grazie all’aiuto economico e morale che collettivi, centri sociali, amici e singoli individui mi hanno dato per poter sostenere le spese legali. Qualche anno fa ho aperto anche un conto corrente postale proprio in occasione della riesumazione del corpo di mio figlio e della conseguente perizia medico-legale fatta dal dottor Salvi che diceva cose ben chiare sulla natura delle ferite trovate sul corpo di mio figlio. Purtroppo l’ultima perizia invece ha confermato in modo vergognoso quella fatta subito dopo la sua morte tenendo conto solo della versione “ufficiale” data dal carcere. Adesso per smontare questa perizia abbiamo bisogno di una controperizia che faccia emergere tutte le anomalie omesse dalla precedente. Purtroppo però i fondi raccolti su quel conto sono finiti ed io al momento non ho la possibilità economica per poter pagare questa ulteriore perizia. Faccio dunque appello a tutti coloro che mi sono stati vicino in questi anni e in generale a chi vuole sostenermi nella mia ricerca di verità e giustizia per dare un contributo economico, anche minimo, a questa battaglia.

Conto corrente postale n. 66865767 intestato a Maria Ciuffi.
CAUSALE: Spese legali

Grazie a tutti Maria Ciuffi

Roma: 26 arresti per traffico internazionale stupefacenti legati a Carmine Fasciani (NAR)

Roma: 26 arresti per traffico internazionale stupefacenti legati a Carmine Fasciani (NAR) ·


Carmine Fasciani, è un ex militante dell'organizzazione terroristica di estrema destra Nar
Vasta operazione antidroga dei carabinieri di Ostia a Roma, che hanno arrestato 26 persone per traffico internazionale di stupefacenti.

Gli arrestati fanno parte di due presunte organizzazioni criminali: una facente capo ai fratelli Carmine e Giuseppe Fasciani, pregiudicati della malavita romana, l'altra composta da pregiudicati italiani e trafficanti paraguayani. Il valore complessivo dei conti correnti e dei beni sequestrati ammonta a piu' di un milione di euro.

Cocaina dal Sud America maxi blitz a Ostia: 26 arresti

In manette i componenti di due organizzazioni criminali: una facente capo ai fratelli Carmine e Giuseppe Fasciani, l’altra composta da pregiudicati italiani e trafficanti Paraguayani. Sequestrati anche un forno nella zona dell' Infernetto e un ristorante con anesso stabilimento balneare

di Emilio Orlando

OSTIA - Scacco matto dei carabineri di Ostia ad una organizzazione internazionale dedita al traffico di cocaina sul litorale romano: ventisei persone arrestate, beni mobili e immobili, attività commerciali e denaro contante per oltre un milione di euro sequestrati ai frtelli Carmine e Giuseppe Fasciani, al termine di una laboriosa indagine antidroga condotta tra il litorale romano, il Paraguay e il Venezuela.

Gli arrestati fanno parte di due organizzazioni criminali: una facente capo ai fratelli Carmine e Giuseppe Fasciani, mentre l’altra è composta da pregiudicati italiani e trafficanti Paraguayani. L' indagini dei Carabinieri denominata "Maiquetia", da nome di una cità del Venezuela, ha consentito di accertare che grossi quantitativi di stupefacente venivano importati dal Sud America, in particolare dalla Colombia e dal Paraguay e pagati mediante agenzie di money transfer.

L'indagine è stata coordinata dalla direzione distrettuale antimafia. Il blitz, scattato questa mattina alle 4 si è svolto all'interno di alcuni lotti di case popolari in via Vasco de Gama, dove risiedevano alcuni apparteneti al sodalizio criminale. Tra le attività commerciali poste sotto sequestro un forno "Sapori di grano" nella zona dell' Infernetto ed un ristorante con anesso stabilimento balneare il Village. "Le nuove norme legislative - ha commentato il tenente colonnello Giuseppe Canio La Gala comandante territoriale di Ostia - ci permettono di aggredire i beni dei narcotrafficanti, in quanto di proprietà di persone che risultano avere redditi bassi o addirittura disoccupati , ma nella vita di tutti i giorni conducono un elevato tenore di vita".

Parla la mamma di Valerio Verbano


Ha voluto scrivere questo libro perchè a 86 anni spera ancora, dopo 30 anni, che l’assassino venga da lei a dirle la verità, a spiegarle perchè quel 22 febbraio 1980 ha sparato nella schiena a suo figlio Valerio Verbano lasciandolo agonizzante là, sul divano marrone del salotto di casa, sotto gli occhi agghiacciati di lei e suo marito. E adesso sta aspettando Carla Verbano, come non fa altro da anni, mentre “Sia folgorante la fine” che ha appena pubblicato per Rizzoli insieme al giornalista del “Corriere della sera” Alessandro Capponi prende la sua strada: qualcuno che vuole togliersi un peso dalla coscienza, che dopo tanti anni ha voglia e coraggio di parlare, chissà.

Non si dà pace Carla, una vispissima signora che a 83 anni ha fatto un corso di informatica, oggi naviga su Fb e porta avanti il blog intitolato a Valerio (www.valerioverbano.it) : ancora non si perdona di esser stata lei ad aprire la porta di casa agli assassini del figlio. Ma è un omicidio anomalo, quello di Valerio. Solo tra il 1978 e il 1979, come scrive lei in questo documentatissimo libro che ricostruisce la vicenda, «tra Montesacro e Talenti ci sono stati 42 attentati dinamitardi a edifici, 87 aggressioni, 12 incendi ad automobili o altri mezzi di trasporto». Ma «quello che rende il caso di Valerio unico in questi anni di ammazzamenti e sparatorie», continua Carla, è che VALERIO VENGONO A UCCIDERLO A CASA SUA», in via Montebianco, a Talenti, Roma Sud. C’è un unico precedente: il militante di Lotta Continua Roberto Ugolinelli nel 1979 viene ferito alle gambe in casa sua dopo aver aperto la porta agli aggressori, ma si salva. Per il resto, militanti di destra o di sinistra in quegli anni vengono aggrediti in strade, piazze, sezioni, scuole, ma mai in abitazioni private.

Nel 1980 i Verbano- papà Sardo iscritto a Pci e Cgil, impiegato al ministero degli Interni, mamma Carla infermiera e casalinga e Valerio, liceo Archimede e collettivo autonomo di Valmelaina- vivono a Roma in un appartamento al quarto piano a via Montebianco 114, un palazzo che, come altri in quella zona, è di proprietà del Ministero degli Interni. È qui che quel 22 febbraio alle 12.30 i genitori aspettano Valerio per il pranzo. Suona il campanello: «Siamo amici di Valerio, ci faccia entrare ad aspettarlo, siamo stanchi»: basta questo e Carla- cuore di mamma apre la porta, la loro è una “casa aperta” come si diceva in quegli anni, genitori di sinistra che non vedono come un affronto personale che gli amici dei figli frequentino la casa.

Irrompono in tre con le pistole, colpiscono Carla e Sardo e li legano e imbavagliano di là, nella loro camera da letto. Hanno il passamontagna calato: uno li tiene a bada con la pistola, un altro rovista per tutto il tempo nella camera di Valerio, un terzo lo aspetta appostato nell’ingresso. Quando il ragazzo arriva i genitori sentono un trambusto enorme, rumori di lotta e poi gli spari. Quando riescono a liberarsi e corrono in salotto Valerio sta spirando. Per questo assassinio non ha pagato nessuno: l’inchiesta è stata chiusa nel 1989, i quattro missini imputati prosciolti.
Adesso di nuovo c’è questo libro, bellissimo e che si legge in un fiato. La narrazione è tutta spezzettata, a singhiozzo, si sente che Carla Verbano ancora non riesce facilmente a raccontare di quel giorno e divaga, la storia dell’omicidio si intreccia coi ricordi di lei, giovane ragazza degli anni Cinquanta, della sua lovestory con Sardo…. Ma veniamo al punto.
Carla, nel libro lei scrive che, quel giorno di febbraio, uno dei tre terroristi «prima si è abbassato il passamontagna e poi mi ha colpito», e che «questo ragazzo potrei ancora identificarlo». Ma durante le indagini le avranno sottoposto miliardi di fotografie…

«Io ho visto un flash rapidissimo: alto, capelli lunghi e biondi, ricci. Non abbiamo trovato nessuno fatto così. Dai due identikit realizzati all’inizio delle indagini potevano essere Francesca Mambro e Valerio Fioravanti (capi del Nar, n.d.r.). Mio marito, che ora è morto, era sicuro fossero loro gli assassini. Io li ho invitati a casa mia, loro sono venuti e hanno negato, ed io adesso ci credo: in fondo si sono accollati tanti omicidi, perchè dovrebbero mentire su Valerio? Secondo me, comunque, oggi si potrebbero ripescare questi identikit e invecchiarli al computer per vedere come gli assassini, se sono ancora vivi, potrebbero essere diventati. E invece, niente. L’anno scorso ho chiesto che si facesse la prova del Dna – un tempo la tecnologia non lo consentiva – sul cappellino e il passamontagna che Valerio nel conflitto era riuscito a togliere agli aggressori e che erano rimasti a terra, in casa nostra (oltre a una pistola e un guinzaglio che si erano portati dietro, forse per sfregio n.d.r.). Ebbene, la Digos mi ha risposto che i reperti sono stati bruciati. Ma si possono bruciare i reperti di un caso che non si può definire ancora chiuso perchè c’è un omicidio non risolto?»

Torniamo al libro. Lei scrive che tutto cominciò prima della morte di Valerio, nel 79. Quando, dopo che il ragazzo fu fermato con altri in un casolare abbandonato, presi a “fare esplosioni”, (Valerio scontò 7 mesi di prigione, n.d.r.), arrivò una perquisizione a casa vostra: tra l’altro requisirono un dossier di nomi, indirizzi e fotografie in cui Valerio schedava nomi di politici, di fascisti, di uomini delle forze dell’ordine.
«Sì, questo dossier- che mio marito ha sempre ritenuto il movente dell’omicidio- fatto di tantissimi fogli è stato poi consegnato al magistrato Mario Amato più sottile di un quaderno, con tutti i fogli stracciati, tante pagine strappate. Anche io credo che lì dentro c’erano dei nomi importanti, Valerio deve aver pestato i piedi a qualche pezzo grosso della politica…..Quando abbiamo chiesto ai giudici copia del dossier, ci è stato negato perchè coperto da segreto istruttorio ».

Poi c’è stato lo scontro in Piazza Annibaliano, in cui Valerio ha perso la borsa di Tolfa con il tesserino del ministero dell’Interno, su cui c’era l’indirizzo di casa.
«Quel giorno Valerio, per salvare un compagno che stava prendendo una mattonata sul petto, dette una coltellata- in realtà un colpo di temperino- a Nanni De Angelis, un fascista. Che dopo la morte di Valerio ebbe il coraggio di venire da me e mio marito a dire che non era stato lui dopo ad ammazzarlo, e io gli credo: l’aggressore che ho visto a casa non aveva una corporatura gigantesca come quella di De Angelis».

E poi vennero molti altri morti, in quel 1980: il giudice Mario Amato, lo stesso De Angelis…Ma nel libro che lei ha scritto, Carla, c’è altro: c’è il racconto quasi disperato di una madre che in quegli anni, come la maggior parte delle altri madri, non aveva capito nulla di quello che stava facendo il figlio. E non se lo perdona.

«Ma certo. Noi non avevamo capito fino a che punto Valerio fosse invischiato nella politica. Vedevo a casa tante fotografie di palazzi e chiedevo “Valerio che sono ’sti palazzi?” , lui parlava di persone sfrattate che loro aiutavano a ritrovare una casa…mi infinocchiava così. Io lo vedevo sempre un bambino. Del resto non aveva neanche 19 anni quando è morto: il giorno del suo compleanno è stato quello del suo funerale».

Oggi c’è una palestra intitolata a Valerio, una strada a Roma e una a Napoli, lei è ancora circondata dall’affetto degli amici di Valerio che vengono a trovarla quasi ogni giorno. E il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che pure quegli anni li ha vissuti anche lui da “militante politico”?

«Io sono sopravvissuta a tre tumori e ormai sono cattiva come la peste. Non ho mai partecipato a talk-show in tv, ho fatto pochissime interviste. Con Alemanno sono continue discussioni: in una intervista ho detto che, all’epoca, Alemanno era un picchiatore di Talenti. Lui mi ha telefonato, pardon, incazzatissimo, e mi ha detto “io non ero fascista e Talenti non so neanche dov’è “. E bravo il sindaco di Roma!».

http://simonetti.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/01/27/parla-la-m...

Sul processo Casapound Pistoia, seconda udienza

Comunicato del Comitato Amici e Parenti Val D'Elsa


Ieri 27.01.10 si e’ aperto il processo a Pistoia contro gli antifascisti arrestati l’11 ottobre in seguito all’assalto della sede di Casapound da parte di sconosciuti.

In questa udienza era prevista l’interrogazione dei testimoni presentati dall’accusa, ma siccome i tempi non sono stati rispettati alcuni testimoni sono stati rimandati all’udienza del 29.
I testimoni ascoltati sono stati: La Rotonda (dirigente Digos), Milicia (Digos), Cernai (Digos), Belletti (Digos), altro agente Digos, Dessì (Casa Pound) e Tommasi (Pdl).

Gli aspetti emersi da questa udienza sono i seguenti:

1) Le indagini si sono rivolte immediatamente verso il circolo 1° maggio senza seguire in nessun modo altre tracce. Questo è stato confermato dal fatto che per cercare le armi utilizzate dagli aggressori gli agenti si sono concentrati unicamente nei paraggi del 1° maggio (nei cassonetti a 25 metri di distanza). Praticamente tutti gli agenti sentiti riferivano di una “fonte confidenziale” (la fonte diceva che gli aggressori potevano essere entrati nel circolo) di cui non hanno voluto in nessun modo rivelare la natura, nemmeno dietro l’insistenza degli avvocati. Lo stesso Dessì sostiene che sicuramente si trattava di chi in quel momento si trovava al 1° maggio dal momento che gli aggressori erano elementi di sinistra.
2) Durante questa udienza emerge il carattere politico di tutta la vicenda, con il PM che chiede di mettere agli atti i dettagli del processo a Massa, in cui uno degli imputati e’ Alessandro Della Malva, per poterlo usare contro di lui. L’avvocato Leone(avvocato di Della malva e Bartolozzi) chiede invece al Dessì se è vero che sul sito di Casa Pound si possono leggere affermazioni del tipo “siamo i fascisti del terzo millennio”, “ci rifacciamo ai valori del fascismo del ventennio”. A queste domande il Dessì sostanzialmente da risposta affermativa.
3) Il Dessì nella sua testimonianza dichiara spudoratamente il falso, indicando chiaramente il ruolo di Della Malva e di Yuri Bartolozzi nell’aggressione (sostiene che Alessandro e Yuri sono stati tra quelli che sono entrati nella sede fascista. Yuri ha rovesciato il tavolo ed Alessandro ho buttato giù una libreria), questo lo fa con la tranquillità di chi è coperto dalla polizia ed è fin troppo chiaro che ha preparato insieme alla Digos la sua versione dei fatti. Nel momento in cui il Dessì è fuori dall’aula perché ancora non è il suo momento di testimoniare è stato visto parlottare insistentemente con gli agenti Digos (mentre tutti gli altri testimoni aspettavano in un'altra saletta). Il legame tra la Digos e Casa Pound è emerso anche quando, di fronte alla non troppo limpida testimonianza del Tommasi, alcuni compagni tra il pubblico hanno visto sobbalzare gli agenti ed esclamare tra loro parole del tipo “che cazzo sta dicendo”, “che cazzo fa”.
4) Il Dessì è stato in difficoltà nello spiegare per quale motivo ha deciso di identificare i suoi aggressori solo due giorni dopo il fatto.
5) Ovviamente sia la polizia che i fascisti hanno cercato di enfatizzare i fatti per giustificare il reato di devastazione e saccheggio. Parlano di una sede devastata quando una lampada appoggiata in terra è rimasta al suo posto, le magliette, alcune sedie, i manifestini sono rimaste al loro posto e l’aggressione si è svolta in una sola stanza. Al riguardo il giudice ha dimostrato invece di mettere in dubbio la tesi della devastazione, chiedendo agli agenti se in strada ci fossero stati oggetti danneggiati (ovviamente gli agenti hanno dovuto rispondere di no).
6) Il Tommasi si è rivelato il punto debole dell’accusa: chiaramente ha accettato di testimoniare (ma non di costituirsi parte civile come ha fatto invece il Dessì), ma si è visto bene che non se l’è sentita di mentire spudoratamente come ha fatto il Dessì. Ha detto che nella confusione non è riuscito ad identificare nessuno tra gli aggressori e non è stato tanto preciso nemmeno sulle eventuali armi usate (si ricordava di un bastone lungo circa 80 cm, ma non di che colore fosse). Ma soprattutto ha detto che entrambi si sono rifugiati in un corridoio (largo meno di un metro) e che lui si trovava davanti al Dessì, quindi rivolto verso gli aggressori. Detto questo sembra proprio strano che il Dessì (che oltretutto è più basso del Tommasi), stando dietro a lui nello stretto corridoio sia riuscito a identificare non solo i volti, ma anche il colore e le marche delle magliette dei suoi aggressori.
7) La telecamera posta sulla facciata della stazione, che poteva scagionare Yuri e Filippo, a quanto pare è già stata cancellata e quindi è inutilizzabile.
8) Sono apparse delle foto che ritraggono i momenti della nostra identificazione davanti al circolo 1° maggio e che non sono state scattate dagli agenti. Queste foto circolavano su internet.

In questa udienza sono emersi gli aspetti politici che si nascondono dietro questo processo: la mobilitazione reazionaria promossa dalla borghesia, da una parte cerca di riabilitare il fascismo (i nostri cari fascisti del terzo millennio), dall’altra di colpire tutti quelli che rappresentano un punto di riferimento per le masse popolari. Abbiamo sotto gli occhi degli esempi chiari. Infatti un soggetto come il Dessì non ha fatto certo mistero della sua identità fascista (anche se ha timidamente affermato che i fascisti di una volta sono morti il 28 aprile). I fascisti anche in questo caso si rivelano sporca manovalanza al servizio della borghesia (in questo caso hanno collaborato strettamente con la Digos).

E’ altrettanto evidente che questo processo è stato orchestrato per mettere fuori gioco alcune realtà che stavano lavorando alla realizzazione di un importante coordinamento (contro le ronde fasciste). Tra queste realtà sicuramente una posizione particolare la occupava il P-Carc, che al riguardo aveva fatto già una esperienza di grande importanza (ronda proletaria antifascista e antirazzista a Massa) e che era diventato un punto di riferimento per questo a livello nazionale. Cosa di meglio quindi di colpire un suo dirigente!
La questura di Pistoia in aula si e’ comportata da manuale. Ha in sostanza cercato di mantenere la linea di repressione e ha cercato di “fare paura” come ha fatto negli ultimi 3 mesi.

A differenza dell’udienza tecnica avvenuta il 20 gennaio, lo spiegamento di forze e’stato molto grosso(perche’ si sa’, ormai si e’ capito, quelli da proteggere perche’ utili alla causa sono i fascisti del terzo millennio) addirittura hanno adottato i metal detector sulle persone che entravano in tribunale.Non tutte pero’!! Infatti, fino a quando non gli e’ stato fatto notare, ai controlli erano sottoposti solo i cosiddetti comunisti….per gli altri l’entrata era libera.

I testimoni dell’accusa erano ampiamente scortati, in particolar modo il Signor Dessi’. Tutti erano infatti tenuti , come da prassi, in una stanza, ma per Dessi’ il “ soggiorno” in tribunale e’ stato diverso….e’ stato tutto il tempo insieme agli esponenti della Digos di Pistoia.

Avevano molto da dirsi evidentemente…noi ci domandiamo : ma non era vietato influenzare i test???? Forse pero’ per coerenza con le azioni avvenute dall’ 11 ottobre ad oggi (vedi incontri inaspettati nei bar di Pistoia del Signor Dessi che prende tranquillamente il caffe’ con i digossini) questo comportamento e’ il piu’ adatto alla situazione costruita. In fondo non fanno niente di male no??? E poi bisogna studiare e prepararsi bene di fronte ad un esame imminente no?!Magari ripetere fino all’ultimo minuto!!!

Purtroppo pero’ non tutte le ciambelle riescono col buco e qualche testimone dell’accusa(forse con la coscienza un pochino piu’ viva di altri) qualche difficoltà a testimoniare l’ha avuta, tanto che, alle dichiarazioni di Tommasi, non sempre coincidenti con quelle del Dessi’, i digossini hanno mostrato(incautamente)il loro disappunto in aula! Evidentemente il nervosismo dilaga tra chi sa’ di non avere la verita’ dalla sua parte. Al punto che il Tommasi non riusciva a sostenere lo sguardo di quelli che lui accusava…chissa’ come mai!!!

INVITIAMO TUTTI A CONTINUARE A RIMANERE UNITI E A PARTECIPARE AL PRESIDIO CHE SI TERRA VENERDI’ 29.01.10 SOTTO AL TRIBUNALE DI PISTOIA PER SOSTENERE I COMPAGNI CHE SUBIRANNO LA SECONDA UDIENZA DI QUESTO TEATRINO!!!


COMITATO AMICI E PARENTI VAL D’ELSA

martedì 26 gennaio 2010

La UE si astiene sulla risoluzione ONU contro la glorificazione del nazifascismo

Il KKE porta davanti al Parlamento Europeo l'astensione al voto degli Stati membri della UE riguardo la risoluzione dell'Assemblea dell'ONU contro la glorificazione del nazismo.
Nella sua interrogazione al Consiglio europeo, Giorgos Toussas deputato del KKE, ha biasimato l'atteggiamento dei governi dell'Unione in merito alla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che condanna il tentativo di rivendicazione del nazismo, di glorificazione dei membri dell'organizzazione fascista “Waffen SS”, nonché di profanazione dei monumenti anti-fascisti. La risoluzione è stata votata dalla stragrande maggioranza degli Stati membri delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti, sostenuti dagli Stati membri della UE - tra cui il governo greco del PASOK - che si sono astenuti, hanno espresso l'unico voto contrario alla risoluzione.

La posizione dei governi dell'Unione Europea, sia socialdemocratici che liberali, dimostra come l'anticomunismo, in cui la UE svolge un ruolo di primo piano, è pienamente in linea con la tolleranza del nazifascismo e la glorificazione delle bande fasciste: questo è un insulto scandaloso alla lotta antifascista e ai sacrifici dei popoli d'Europa.

Nel seguito alcuni passaggi dell'interrogazione del deputato del KKE:

Il 18 dicembre, poche ore prima che il governo della Georgia facesse saltare in aria il monumento anti-fascista nella città di Kutaisi, era stata presentata in seno all'Assemblea Generale dell'ONU una risoluzione di condanna di tutte le manovre di rivendicazione del nazismo da parte di un certo numero di paesi europei e nazioni dell'Unione Europea, tra cui alcuni stati dei Balcani, che acclamano come eroi i membri delle bande fasciste del 'Waffen-SS'. Nel contempo, i governi assumono decisioni per smantellare monumenti commemorativi della resistenza antifascista e della vittoria popolare. La stragrande maggioranza dei paesi membri delle Nazioni Unite ha votato a favore (127), mentre gli Stati Uniti hanno espresso l'unico voto contrario, sostenuto dai 27 Stati membri della UE che si sono astenuti.

Chiediamo al Consiglio: L'astensione dell'Unione Europea dal voto costituisce l'approvazione e il sostegno alla glorificazione e riabilitazione delle bande fasciste e dei collaboratori dei criminali di guerra nazisti in una serie di Stati membri della UE e in altri paesi europei? L'Unione Europea e il Consiglio approvano la distruzione dei monumenti commemorativi della vittoria anti-fascista negli Stati membri della UE e in altri paesi? Il rifiuto dell'Unione Europea di condannare la glorificazione dei fascisti colpevoli di crimini contro l'umanità fa parte del tentativo revisionista di equiparare il nazismo e il comunismo?

Inoltre, la delegazione del Partito Comunista della Grecia al Parlamento europeo ha sottolineato la necessità per i popoli di resistere alla campagna anticomunista delle autorità polacche e condannare il divieto dei simboli del comunismo e la falsificazione della storia, sostenuta anche dall'Unione Europea.

Con l'interrogazione al Consiglio della UE, Babis Angourakis deputato del KKE ha condannato il bando dei simboli del comunismo in Polonia, come pure la proposta del senatore ceco Jaromír Štětina di mettere fuori legge il Partito Comunista di Boemia e Moravia. La domanda di Babis Angourakis è stata così formulata: “Il Consiglio condanna queste decisioni reazionarie del governo polacco, condanna le persecuzioni contro i comunisti e i lavoratori in generale?”
da:http://www.resistenze.org/ - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 20-01-10 - n. 302
da Dipartimento Esteri del Partito Comunista di Grecia in inter.kke.grTraduzione dall'inglese per http://www.resistenze.org/ a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Bertolaso smentito da Frattini e irriso dalla Clinton «Chiacchiere da bar sport»

Il segretario di Stato Hillary Clinton ironizza sulle accuse fatte dal sottosegretario alla Protezione civile, Guido Bertolaso, sulla gestione statunitense degli aiuti in Italia. «Mi sembrano quelle polemiche che si fanno il lunedì dopo le partite di football» ha dichiarato il capo della diplomazia Usa replicando alle parole di Bertolaso.
Il ministro Frattini ha incontrato proprio oggi Hillary Clinton ed è stato preso alla sprovvista dall'intemerata del capo della Protezione Civile. «Bertolaso ha fatto proposte importanti al governo e al presidente di Haiti sulla sorte di tanti bambini e sulle linee di evacuazione. Poi qualcuno gli ha chiesto di parlare da giornalista e lui ha attaccato frontalmente l'America e le organizzazioni internazionali. In queste ultime dichiarazioni il governo italiano non si riconosce», ha detto imbarazzato il ministro degli esteri. Le parole critiche sui soccorsi prestati alle popolazioni di Haiti «sono probabilmente state dettate da un fattore emotivo. Questo aspetto infatti conta molto quando si è in situazioni di vera tragedia come quella di Haiti».
Frattini ha sottolineato: «Non vogliamo processi del lunedì», formula usata dalla stessa Clinton per liquidare le polemiche italiane, «processi non devono mai esserci in questi casi». «E se ci sono state parole apparse critiche - prosegue il capo della diplomazia italiana- non era questa l'intenzione del governo. Non vogliamo dare lezioni a nessuno -conclude- ma ci rimbocchiamo le maniche come abbiamo fatto e continueremo a lavorare insieme alle Nazioni Unite e agli Usa».
Bertolaso non ci sta e risponde a muso duro a Frattini. «Respingo l'ipotesi che abbia parlato come reazione emotiva: è noto che sono pagato per stare calmo ma anche per fare le cose per bene». Nessuna marcia indietro nemmeno sulle critiche ai soccorsi. «Non ho attaccato gli Usa, che stanno mettendo in campo uno sforzo importante, ma ho criticato la mancanza di organizzazione, con migliaia di haitiani abbandonati a se stessi». È quanto sottolinea il capo del dipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso. «Se uno arriva con oltre 15 mila uomini e poi non sa dove andare o cosa fare perchè non c'è nessuno che glielo dice -aggiunge Bertolaso, tornato ieri da una visita di alcuni giorni nell'isola caraibica sconvolta dal terremoto del 12 gennaio- è chiaro che poi si creano i problemi che tutti abbiamo visto».
Intanto a 13 giorni dal sisma che ha devastato Haiti il bilancio delle vittime assume sempre più i contorni di un'ecatombe: la Commissione sanitaria nazionale ritiene che entro oggi il numero dei morti accertati supererà la soglia dei 150mila. «Sotto le macerie potrebbero ancora esserci oltre 200.000 cadaveri», ha detto il ministro della cultura e della comunicazione, Marie-Laurence Jocelyn Lassegue.
Ieri intanto una nuova scossa di terremoto, di magnitudo 4.7. E la terra ha tremato anche alla Guadalupa, isola francese delle Antille. Si continua ancora a scavare: ieri i radar hanno rilevato movimenti sotto le macerie di Port au Prince. Il capo della Protezione civile Guido Bertolaso attacca gli Usa definendo la macchia degli aiuti «patetica» e preoccupata solo d'apparire in tv.
Nel frattempo, il governo nipponico sta valutando l'ipotesi di inviare ad Haiti un contingente del proprio esercito, le Forze di Autodifesa, per aderire alla missione delle Nazioni Unite rafforzata dopo il devastante terremoto. Allo stesso tempo, Tokyo è intenzionata ad aumentare gli aiuti, da 5 a 70 milioni di dollari, per la ricostruzione del Paese.

Haiti: aiuti congiunti Italia e Brasile. Perchè?

Per portare soccorso ai terremotati di Haiti si sono mobilitati tanti Paesi al mondo. Non è stata da meno l’Italia, che con i suoi militari si sta rendendo protagonista di una missione umanitaria congiunta con le forze armate brasiliane, denominata 'White Crane'. L'idea di inviare una nave militare carica di aiuti umanitari in soccorso della popolazione terremotata di Haiti è venuta al ministro della Difesa italiano Ignazio La Russa.

La nave prescelta è stata da subito la portaerei della Marina Militare italiana 'Cavour', salpata lo scorso 19 gennaio da La Spezia con Port Au Prince. La nave dovrebbe raggiungere la sua meta all'inizio del mese prossimo, impiegandoci all'incirca 15 giorni. Questo dopo aver percorso oltre 5mila miglia marine e attraversato l’Oceano Atlantico con il suo carico di aiuti umanitari, offerti dal governo italiano, dal World Food Programme, dalla Croce Rossa Italiana e da altre associazioni umanitarie non governative. Una missione che dovrebbe durare almeno 60 giorni. Nel corso del suo viaggio, la 'Cavour', dopo aver affrontato la lunga attraversata dell'Oceano Atlantico, prima di dirigersi verso Haiti, effettuerà una deviazione verso sud per una sosta tecnica in Brasile. Nel Paese latino americano verrà imbarcato personale sanitario ed elicotteri militari. Una deviazione che ritarderà l’arrivo degli aiuti dall’Italia ad Haiti. E questo, mentre nell’isola caraibica la gente continuerà a morire per la mancanza di medici ed equipaggiamenti sanitari di cui, invece, la nave dispone.Per questo e per altri motivi, sono tante le perplessità e i dubbi scaturiti da questa missione umanitaria resa particolare dalla sua collaborazione con il Brasile e proprio per questo l’iniziativa ha suscitato numerosi interrogativi.Dopo l’iniziale ‘naufragio’ dell’idea del ministro della Difesa La Russa, ‘varata’ pochi giorni dopo il sisma, di inviare una nave militare in soccorso della popolazione terremotata di Haiti per il suo alto costo, la proposta è poi riemersa venendo 'accolta' con favore anche dal governo italiano, presidente del Consiglio in testa. Oltre il 90 percento del costo della missione umanitaria italiana ad Haiti sarà coperto dalle aziende Finmeccanica, Fincantieri, Eni e altre che lavorano con le Forze armate italiane. Questa la svolta annunciata dal ministro della Difesa. Il quale precisava, che anche che il costo complessivo della missione non era quantificabile perchè dipenderà dalla sua durata e, a secondo se la nave starà ferma in porto o in navigazione, il costo giornaliero oscillerà tra i 100 e i 200 mila euro. Quello che più inciderà maggiormente sarà il carburante, si stima di almeno il 40 percento. La portaerei infatti, che ha una velocità massima di 28 nodi, per ogni ora di navigazione consuma ben 25mila litri di carburante e con un pieno compie 7mila miglia marine.
Quello che in primis ha suscitato in tanti molta curiosità è il perché di una sponsorizzazione privata in una missione umanitaria promossa dal ministero della Difesa e che coinvolge mezzi e personale militare. Inoltre, ha sorpreso anche la 'strana' collaborazione con il Brasile, sulla cui natura il ministro della Difesa italiano ha parlato solo di operazione congiunta con il ministero della Difesa brasiliano, senza però specificare la necessità e l'origine di tale patnership. Tuttavia dove sia la convenienza in tale collaborazione, non è data a sapere. In effetti il contributo alla missione umanitaria dal Brasile è praticamente irrisorio quanto inutile. Questo in quanto l'Italia poteva benissimo disporre dell'apporto fornito dalle forze armate brasiliane attingendo dalle loro risorse.

Allora sorgono spontanee alcune domande. Perchè questa partnership con il Brasile inutile, quanto dispendiosa? Al posto della portaerei 'Cavour' si sarebbero potuti impiegare altri supporti militari o della Protezione Civile, di cui tanto l'Italia va fiera nel mondo. Due o più aerei da trasporto ad esempio avrebbero impiegato meno tempo e sarebbero costati molto di meno. Oppure facendo prevalere lo spirito di popolo di navigatori degli italiani, si sarebbe potuto ricorrere all'ausilio di una delle tante navi anfibie che la Marina Militare italiana ha in dotazione. Ad esempio la 'San Giusto' che in passato già ha contribuito, in maniera egregia, a missioni di soccorso in caso di calamità naturali nel mondo mentre la Cavour è alla sua prima traversata. Inoltre il costo della missione sarebbe stato molto più contenuto di quello attuale e senza perderci in qualità ed efficienza. Ma a quanto pare, la 'volontà' di voler inviare ad Haiti la 'Cavour' ha prevalso su tutto.

Altro punto ‘oscuro’ della missione umanitaria è il fatto che ha bordo della portaerei sono stati imbarcati anche dei mezzi blindati 'Lince'. Cosa questa non dichiarata al momento della partenza della nave per Haiti. Gli assetti della missione umanitaria resi noti riportavano, oltre alla ‘Task Force umanitaria’, l'imbarco di un'unità di 'Force Protection' composta da alcune decine di fucilieri della marina del 'Battaglione San Marco' e dell'Aeronautica e da una decina di carabinieri. La notizia dei ‘Lince’ a bordo è stata data solo dopo la partenza della nave dallo stesso ministro La Russa quando ha riferito in Commissione difesa del Senato spiegando che i blindati avranno il compito di potenziare la sicurezza in loco.

Perchè il ministro, che ha tanto voluto la partenza della 'Cavour' per Haiti, ha 'dimenticato' di dichiarare anche i 'Lince' imbarcati? Potrebbe esserci un motivo diverso da quello sostenuto del perchè siano stati imbarcati? Dietro a tutto potrebbe esserci un collegamento con il fatto che il Brasile ha in corso forti investimenti nel settore della difesa per aumentare il suo peso in America Latina e con l'Italia sta trattando per l'acquisto di 10 navi, tra fregate, mezzi di pattugliamento e un'imbarcazione multi-uso per la logistica. Con molta probabilità i primi contratti potrebbero essere firmati quando il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, si recherà nel Paese in visita ufficiale il 18 febbraio prossimo. Lo scorso dicembre il governo di Brasilia siglò con l'italiana 'Iveco' un contratto per la fornitura all'Esercito brasiliano di 2.044 veicoli blindati per i prossimi vent'anni. In ballo ci sono commesse per oltre 20 miliardi di dollari, di cui una parte potrebbero andare a Fincantieri, Finmeccanica, Iveco e altre aziende italiane che lavorano per le forze armate. La Francia, lo scorso anno, si è già assicurata un'altra grande commessa per oltre 12 miliardi di dollari. Sono cose queste che vanno costruite nel tempo e pezzo dopo pezzo. Forse il tassello 'Cavour' è l'ultimo che completa il mosaico.

Nell'isola caraibica i compiti di sicurezza sono prerogativa assoluta dei 'caschi blu' della ' Missions des Nationes Unies pour Stabilisation en Haiti', Minustah. Per pura coincidenza circa 1.266 militari della 'Minustah' sono brasiliani e al comando della stessa vi è, dall'aprile scorso, un brasiliano, il maggiore generale Floriano Peixoto Vieira. Appena qualche giorno fa il ministro della Difesa brasiliano, Nelson Jobim si è recato a Port Au Prince per coordinare di persona gli aiuti alle vittime del terremoto inviate dal governo brasiliano. Oltre ad inviare numerosi mezzi pesanti di movimento terra per rimuovere le macerie, il governo di Brasilia ha anche inviato medici e attrezzature mediche. Gli stessi peacekeepers brasiliani della Minustah si sono adoperati ad installare gli ospedali da campo giunti dal loro Paese.

Ed allora sorge spontanea una domanda.Che senso ha per il Brasile inviare altro materiale sanitario e mezzi aerei? E' ancora. Perchè non utilizzare lo stesso canale seguito finora invece, che 'appoggiarsi' all'Italia? Da cosa nasce questa collaborazione tra Italia e Brasile? Quali interessi e vantaggi la spingono? Imbarcare uomini e mezzi brasiliani sulla 'Cavour' potrebbe rivelarsi solo un atto di cortesia dell'Italia nel confronti del Brasile. Eppure i due Paesi appena qualche mese fa sono arrivati allo scontro diplomatico e politico a causa delle tensioni suscitate dal 'caso Battisti '. Anche se finora le proteste italiane sono stati deboli ed inconsistenti comunque si è creato attrito. Che sia questo un modo per appianare le tensioni nate dalla questione? A margine della missione umanitaria congiunta Italia-Brasile infatti, emerge un altro fatto. La scorsa settimana i media del Paese sud americano hanno spiegato che il presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva potrebbe concedere, il prossimo mese di marzo, l'asilo politico per ragioni umanitarie all'ex terrorista rosso Cesare Battisti, aggirando 'elegantemente' la richiesta di estradizione presentata dal governo di Roma a quello di Brasilia.L'Alta Corte brasiliana ha già dato il suo parere favorevole, ma l'ultima parola spetterà al presidente Lula.

Africom, l’ultimo tentativo statunitense di ricolonizzare il continente africano

di Tichaona Nhamoyebonde* - allAfrica.com
Gli USA vogliono impiantare nuove basi militari in Africa
(11/01/10)Gli Stati Uniti vogliono piazzare Africom, un esercito permanente in Africa, per vegliare sugli interessi imperialisti statunitensi e non si fermano di fronte a niente.Alla fine dell’anno scorso il governo USA ha intensificato i suoi sforzi per stabilire l’African Command, l’ultimo strumento della sottile ricolonizzazione dell’Africa.Il generale William E. Garret si è riunito con i responsabili della difesa di tutte le ambasciate africane a Washington per vendere ai loro governi l’idea di un esercito nordamericano in Africa.
Gli ultimi documenti della Casa Bianca di gennaio indicano che gran parte del lavoro dell’esercito è stato compiuto attraverso l’unità militare con base a Stoccarda, in Germania, e che il resto si è dedicato a trovare un paese africano che ospiti l’esercito e si muova diplomaticamente in tal senso. Liberia e Marocco si sono già offerti di ospitare Africom, mentre la Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe (SADC**) ha invece negato decisamente qualunque disponibilità.
Altri paesi sono rimasti in silenzio. La Liberia ha una lunga relazione con gli Stati Uniti a causa della sua storia di schiavitù, mentre il Marocco, che non appartiene all’Unione Africana e non celebra elezioni, può darsi che abbia bisogno dell’esercito statunitense per reprimere qualunque volontà democratica. Il no del SADC è una piccola vittoria dei popoli africani in lotta per la loro indipendenza totale, ma il resto dei blocchi regionali devono pur arrivare ad una posizione comune, il che è preoccupante.
Lo stesso governo USA ha bisogno di un paese ben più strategico di Marocco e Liberia, giacché l’esercito sarà l’epicentro d’importanti influenze, protettorati politici ed economici. L’altro pericolo è che Africom apra in Africa un campo di battaglia fra USA e gruppi terroristici antistatunitensi.
Africom non è che una cortina di fumo per nascondere gli intenti di garantirsi risorse naturali africane. I dirigenti africani non devono dimenticare che Stati Uniti ed Europa hanno usato più volte la forza militare quale strumento di coercizione politica per assicurarsi che ogni paese sia diretto da persone sottomesse alla disciplina statunitense. Africom permetterà agli USA di allungare ogni suo tentacolo su ciascun paese africano. Ospitare l’esercito USA in Africa ridurrà l’indipendenza militare e segnerà l’accettazione della ricolonizzazione. La domanda fondamentale è: chi toglierà Africom una volta che sia stato piazzato? Con che mezzi?
Sarà superiore sul piano tecnico e finanziario a qualunque esercito di un paese africano e permetterà il cambiamento di regime ovunque gli USA lo vogliano. Inoltre, permetterà di accelerare lo sfruttamento delle risorse africane. Non ci sono dubbi che una volta che l’esercito statunitense sarà piazzato permanentemente in Africa verranno meno tutti i benefici dell’indipendenza. Se i dirigenti africani si piegheranno ora ai desideri statunitensi passeranno alla storia come la generazione politica che fatto vincere il male.
(...) Africom è stato oggetto di controversie da quando l’ex presidente George W. Bush lo ha presentato nel febbraio del 2007. I dirigenti africani non devono dimenticarsi che la politica di Barak Obama rispetto all’Africa e al resto del mondo non è cambiata per nulla, continua a essere una politica di dominio militare.Nessuno vuole parlare dell’impatto che Africom avrebbe sui partiti e i governi minoritari, o sui dirigenti considerati infedeli, né del fatto che gli USA potrebbero usare Africom per promuovere dittatori amici.
I programmi di addestramento e di armamento, il trasferimento di armi dall’Ucraina alla Guinea Equatoriale, a Ciad, Etiopia e al governo di transizione somalo, indicano chiaramente l’uso del potere militare per mantenere l’influenza (statunitense) sui governi africani, che continua a essere una priorità del governo USA.
Con la Rivoluzione arancione hanno portato al potere gli attuali dirigenti ucraini, e gli stanno dando carta bianca per fornire armamenti ai conflitti africani. I dirigenti africani devono essere capaci di dimostrare solidarietà e bloccare ogni tentativo USA di costruire basi nella madre patria, a meno che vogliano un nuovo assalto colonizzatore.
Se si permetterà che si piazzi Africom, Kwame Nkrumah, Robert Mugabe, Sam Nujoma, Nelson Mandela, Julius Nyerere, Hastings Kamuzu Banda, Kenneth Kaunda, Augustino Neto e Samora Machel, avranno combattuto guerre di liberazione per niente. Migliaia di africani morti nelle carceri coloniali e sui vari fronti di guerra durante la lotta di liberazione avranno versato il loro sangue per niente.
Perché il gruppo dirigente africano attuale dovrebbe accettare la ricolonizzazione quando tanto è stato imparato dal colonialismo, dall’apartheid e dal razzismo? Perché non rispondono che hanno già un esercito comune, quello dell’Unione Africana? I dirigenti africani non hanno bisogno di profeti marziani per sapere che il fascino statunitense per il petrolio, la guerra contro il terrorismo e l’esercito ora si concentrerà in Africa, dopo l’avventura in Iraq.
*Tichaona Nhamoyebonde è un politologo che risiede a Città del Capo, Sudafrica
**Il SADC (Southern African Development Community) è un’organizzazione intergovernativa creata nel 1979 con sede a Gaborone, Botswana. Il suo fine è rafforzare la cooperazione e l’integrazione politica e militare fra 15 stati dell’Africa australe (Angola, Botswana, Lesotho, Malawi, Mauricio, Mozambico, Namibia, Repubblica Democratica del Congo, Seychelles, Sudafrica, Swaziland, Tanzania, Zambia e Zimbabwe)..

Articolo originale: http://allafrica.com/stories/printable/201001070715.ht...

da Resistenze.org
Ripreso da http://www.rebelion.org/noticia.php?id=98432&titular=a...
Traduzione dallo spagnolo per http://www.resistenze.org/ a cura di F.R. del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Uranio: associazione vittime, 3° condanna al Ministero della Difesa

Lecce (Salento) - "Apprendiamo con soddisfazione la notizia della nuova condanna (la terza, in poco più di un anno) in sede civile inflitta al Ministero della Difesa e rilanciamo con forza l'appello alla classe politica perchè venga al più presto istituita una nuova Commissione parlamentare di inchiesta sull'uranio impoverito, in grado di completare e ampliare il lavoro della precedente".
Lo dichiara Francesco Palese, portavoce dell'Associazione Vittime Uranio, commentando la recente sentenza del Tribunale civile di Roma che ha stabilito il risarcimento, con quasi un milione di euro, nei confronti dei familiari del militare sardo Salvatore Vacca, morto nel 1999 a causa di una leucemia dopo una missione nei Balcani, secondo quanto riportato questa mattina dal quotidiano "L'Unione Sarda".
"Sulla vicenda - continua - non è stata fatta chiarezza, basta pensare che non si conoscono ancora le dimensioni reali del fenomeno, ossia il numero di militari morti o ammalati per presunta contaminazione. L'Associazione Vittime Uranio ha un elenco incompleto di 216 morti e oltre 2500 malati, ma si tratta di dati parziali. Ci sono state diverse interrogazioni al ministro Ignazio La Russa su questo aspetto, ma sarebbe opportuno che lo stesso fornisse questi dati in una sede più propria, ossia la Commissione parlamentare".
"Per quanto riguarda la sola Sardegna - conclude Palese - il sito Vittimeuranio.com pubblica un elenco con i nomi di 12 militari morti dopo aver prestato servizio all'estero o nei poligoni. Si tratta solo dei casi denunciati pubblicamente dalle associazioni e dai familiari di questi ragazzi. Tutto ci fa pensare che si è in presenza solo della punta dell'iceberg e per questo occorre continuare a chiedere la verità".

lunedì 25 gennaio 2010

Incendiato Presidio No Tav


A che gioco stan giocando?

Quando ancora non si era spento l’entusiasmo per la grande manifestazione che ieri ha bloccato la valle, ecco rispuntare, puntuale come un orologio nella notte tra sabato e domenica, la mano incendiaria. Dopo il fallito attentato di sabato scorso contro il presidio di Bruzolo, tornano gli ignoti attentatori contro l’altro presidio storico del movimento, quello di Borgone, una bellissima casetta di legno costruita dopo le vittorie del 2005. La firma del nobile gesto, varie scritte inneggianti al “SìTav”.

Certo non si può sapere chi sia l’esecutore ma i mandanti sono da cercare nei creatori di un clima d’isolamento e criminalizzazione contro un movimento popolare che ieri ha saputo dimostrare quanto sia vivo, ammirato in giro per il paese e capace di catalizzare numeri, consensi e simpatia sollevando grossi nodi irrisolti della politica odierna: questione ambientale, democrazia e processi decisionali, modelli di sviluppo…

Se ne sono accorti anche i giornalisti che in queste 2 settimane si sono divertiti a fare le pulci al movimento, non mancando di sottolinearne i momenti difficili. Come sono diversi i loro articoli oggi, costretti ad ammettere che quei “300 irriducibili” rappresentano un territorio ed una volontà. Molto semplicemente perché sono quel territorio e quella volontà, la sua punta militante.

Resiste, nel guadagnarsi il ’soldo infame’, il solo Massimo Numa (La Stampa) che di fronte ai numeri di ieri, preferisce raccontare della scampagnata dei giovani del Pdl che, guidati dal solito (post)fascista Marrone, rimuovevano dalla storica scritta “No Tav”del Musiné il No iniziale. Cambierà la gravità, non la natura infame del gesto di chi, un po’ più a valle, bruciava un luogo colpevole di essere stato una “casa” di questo movimento.

Ma non si rallegrino troppo presto Marrone, Numa & c. Il movimento NoTav ha già ricollocato il “No” al suo posto.
Stiano anche tranquilli i sostenitori del Sì, in doppio-petto o col cerino acceso, un’allegra giornata di festa ricostruirà oggi il presidio bruciato. Difficile fermare i NoTav… A sarà Düra!



yh

yh