martedì 24 agosto 2010

Dopo la tessera del tifoso anche quella per gli studenti

Di seguito la presentazione dell'Anagrafe nazionale degli studenti introdotta con Decreto ministeriale n.74 del 5 agosto 2010 dal Ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini;

L'Anagrafe nazionale degli studenti, come strumento di supporto alla realizzazione del successo scolastico e formativo degli studenti e di sostegno alla qualificazione del sistema di istruzione e formazione, è stata istituita - con Decreto ministeriale n.74 del 5 agosto 2010 - dal Ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini. 
L’Anagrafe intende favorire la realizzazione del diritto-dovere all'istruzione, a partire dal primo anno della scuola primaria e si avvale delle dotazioni umane e strumentali del medesimo Ministero.
Essa acquisisce dalle istituzioni scolastiche appartenenti al sistema nazionale di istruzione, dati relativi alla valutazione degli studenti (secondo quanto previsto dal D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122), nonché dati sensibili e giudiziari degli studenti e altri dati utili.

Le misure idonee ad assicurare che la consultazione da parte del Ministero dei dati personali degli studenti avvenga esclusivamente in forma anonima (o comunque con modalità che assicurino la non identificabilità dell'interessato) sono individuate nell’allegato tecnico al presente decreto, dove sono anche previste le modalità di fruizione dei dati personali  da parte dei soggetti (di cui all'art. 5 del decreto legislativo n. 76/2005), nel rispetto delle competenze e dei principi di pertinenza, non eccedenza ed indispensabilità (di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196:  “Codice in materia di protezione dei dati personali”).
I dati acquisiti all'Anagrafe sono conservati fino al termine dell'anno solare successivo alla conclusione di ogni ciclo scolastico.
Per le finalità di rilevante interesse pubblico l'Anagrafe può contenere dati idonei a rivelare lo stato di salute, le convinzioni religiose e dati giudiziari - indispensabili per individuare il soggetto presso il quale lo studente assolve l'obbligo scolastico (scuole paritarie, strutture ospedaliere, case circondariali, ecc.). Tali tipi di dati sono individuati previo parere conforme del Garante per la protezione dei dati personali.
Infine, l'Anagrafe è utilizzata in forma anonima dal Ministero dell'istruzione e dalle istituzioni scolastiche, allo scopo di monitorare l'evasione dell'obbligo di istruzione, gli abbandoni scolastici, l’ irregolarità di frequenza e ogni altro fenomeno riconducibile alla cosiddetta dispersione scolastica, per predisporre opportune azioni di prevenzione.

Fonte: Istruzione, Università e Ricerca

Cosa faranno le istituzioni dopo le visite dei parlamentari nelle carceri? Nulla!

tratto da Liberazione del 17 agosto 2010
Il giorno di Ferragosto, mentre proseguiva l’iniziativa promossa dal Partito radicale che ha portato oltre 240 tra parlamentari (un numero mai visto prima d’ora), consiglieri regionali, operatori del settore,Garanti dei detenuti e magistrati, a visitare gli Istituti di pena, il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha dato i numeri.

In una conferenza stampa tenutasi a Palermo, dopo una riunione del Comitato nazionale per la sicurezza, il Guardasigilli ha snocciolato le ultime cifre sulla situazione in cui versano le carceri. 68.121 è il numero record delle presenze raggiunte (e destinate a salire ancora) per una capacità di accoglienza che è solo di 44.576 post. (già gonfiata a dismisura). Di questi, solo 37219 scontano una condanna definitiva, mentre 24.941 sono in custodia cautelare. Il ministro non lo ha detto, ma ben 14 mila sono i custoditi che non hanno subito ancora la benché minima condanna. 24.675 sono invece i detenuti di nazionalità straniera. Mentre in regime di 41 bis, il carcere duro, si trovano 681 persone, tra cui 3 donne. Alfano non ha mancato di evocare il fantomatico “Piano straordinario per le carceri” che - a suo dire procederebbe bene. Al Dap sarebbero “pronti a partire con l’edificazione di nuovi padiglioni e di nuovi istituti di pena”.

Il ministro è uomo che ama ripetersi all’infinito. Tra le cifre dimenticate c’è anche il numero dei suicidi: 40 quelli riusciti e 73 i tentati. Dalle testimonianze raccolte tra i visitatori fuoriesce una quadro generale uniforme e drammatico, dovuto al sovraffollamento bestiale che aggrava ogni precedente carenza e situazione di crisi: dall’igiene, alla sanità, al vitto e sopravvitto, ai colloqui, alle ore d’aria, all’accesso alle misure alternative, al cosiddetto “trattamento” interno, cioè le ipotetiche offerte di studio, lavoro, corsi di formazione, attività di rieducazione e sportive. Non ce n’è più per nessuno in spazi che possono raggiungere le 10 persone per cella, addirittura più di 20 nei cameroni una volta destinati alle ore di socialità.

Provate a immaginare una turca e un piccolo lavandino da condividere per due squadre di calcio, dove fare toilette, lavare le stoviglie, fare il bucato. Un piccolo televisore per tutti in luoghi dove si può sostare solo in branda. Non serve nemmeno vedere per capire il livello di degrado raggiunto. L’enorme numero di parlamentari entrato in visita contrasta con il disinteresse mostrato fino ad oggi in Parlamento sulla questione carceraria.

Il Senato non è riuscito a votare nemmeno l’inutile legge sulla detenzione domiciliare. Un provvedimento che secondo i calcoli degli uffici dovrebbe favorire l’uscita dalle celle di meno di 2 mila persone. Un goccia d’acqua. Una presa in giro di fronte all’emergenza. Circostanza che ha suscitato alcune critiche nei confronti delle visite di Ferragosto, definite una “passerella mediatica”. L’accusa non era rivolta ai Radicali, che raccoglieranno comunque da queste ispezioni un dossier che fornirà materia per portare lo Stato italiano davanti alle giurisdizioni internazionali, ma contro quella che possiamo definire una certa “ipocrisia consociativa”.

Il rischio esiste, inutile negarselo. Delle visite largamente preannunciate perdono quasi tutto il loro valore ispettivo, poiché permettono di camuffare e arrangiare molte cose nei luoghi meno visibili del carcere. Anni fa, in vista di una cerimonia del presidente della Repubblica Napolitano a Rebibbia, la Direzione fece riverniciare in fretta e furia i corridoi e le sale che il capo dello Stato avrebbe dovuto attraversare. Ma una verifica arriverà presto. Il ministro della Difesa La Russa ha preannunciato per settembre un inasprimento delle norme sull’immigrazione. Sarà il primo banco di prova per capire se l’indignazione sia durata il tempo di un’abbronzatura di Ferragosto.

Paolo Persichetti

Noi, detenuti, non possiamo più tacere

FONTE: IL MANIFESTO 21 AGOSTO 2010

Pubblichiamo una denuncia che abbiamo ricevuto da alcuni detenuti del carcere di Tolmezzo (Udine).

Noi detenuti della casa circondariale di Tolmezzo abbiamo deciso di scrivere questa lettera dopo l'ennesimo pestaggio avvenuto nelle carceri italiane.

Dopo i casi di Marcello Lonzi a Livorno, di Stefano Cucchi a Roma, di Stefano Frapporti a Rovereto e di tanti, troppi, altri in giro per la penisola, siamo costretti a vedere con i nostri occhi che la situazione carceraria in Italia non è cambiata per niente.

Mentre da una parte ci si aspetta dai detenuti silenzio e sottomissione per una situazione inumana (quasi 70.000 prigionieri a fronte di nemmeno 45.000 posti, percorsi di reinserimento sociale pressoché inesistenti, scarsissima assistenza sanitaria, fatiscenza delle strutture, ecc..) si ha dall'altra il solito trattamento vessatorio da parte del personale penitenziario, non giustificabile con la solita scusa sulla scarsità di uomini e mezzi.

Denunciamo quello che, ancora una volta, è successo venerdì 13 agosto proprio qui a Tolmezzo, dove un ragazzo, M.F. , è stato picchiato con tanto di manganelli nella sezione infermeria.

Se come per altre volte i protagonisti dell'aggressione erano, tra gli altri, graduati ormai noti ai detenuti per le loro provocazioni, l'altra costante è stata la completa assenza del comandante delle guardie e della direttrice dell'istituto.

La nostra situazione è fin troppo pesante per accettare anche la sottomissione fisica dopo quella psicologica. Per noi tacere oggi potrebbe voler dire ricevere bastonate domani se non fare la fine dei vari Marcello o Stefano domani l'altro. Noi non ci stiamo e con questa nostra ci rivolgiamo a chiunque nel cosiddetto mondo libero voglia ascoltare, affinché la nostra voce non cada morta all'interno di queste mura.

*** Alcuni detenuti del C.c.

[Parma] Detenuto si impicca in carcere. E' la 42esima vittima in Italia

Matteo Carbognani, parmigiano di 30 anni, si è ucciso ieri sera nella casa circondariale di via Burla. Lo ha reso noto il Sappe. Salgono a 42 i suicidi dall'inizio dell'anno nelle prigioni italiane. A Parma ci sono 539 detenuti, a fronte di una capienza di 418 posti detentivi, mentre mancano più di 50 agenti

Un detenuto italiano, Matteo Carbognani, di circa 30 anni, si è ucciso ieri sera nel carcere di Parma impiccandosi con le lenzuola. Sale così a 42 il numero di suicidi dall'inizio dell'anno nelle carceri italiane. Lo ha reso noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe.

Un agente della penitenziaria - ha spiegato Durante - è intervenuto immediatamente, ma non ha potuto salvare il detenuto, ristretto in una sezione detentiva nella quale ci sono altri 50 reclusi. "Si trattava di un detenuto al quale restavano da espiare meno di due anni di reclusione" e, ha aggiunto il dirigente del Sappe, "era seguito attentamente, tant'è che lo psichiatra lo aveva visitato due giorni prima".

"E' un bilancio tristemente grave - afferma il segretario generale della Uil Pa penitenziari Eugenio Sarno- che non può non pesare sulle coscienze di chi non ha saputo dare adeguate risposte alle incivili condizioni di detenzione e di lavoro all'interno delle carceri italiane".

"Alla ripresa dei lavori parlamentari i nostri politici, Alfano in testa, hanno il dovere etico e morale di fornire e favorire soluzioni utili per contenere la barbarie che ogni giorno - conclude Sarno - si afferma all'interno delle nostre prigioni attraverso l'inumanità, l'inciviltà e l'illegalità".

"Probabilmente - aggiunge il Sappe - sarebbe stato opportuno approvare definitivamente il disegno di legge Alfano sulle pene detentive brevi, prima della pausa estiva. Nel solo carcere di Parma ci sono circa venti detenuti che potenzialmente potrebbero usufruire di quella legge, oltre al fatto che il Corpo di polizia penitenziaria potrebbe finalmente avere i duemila agenti di cui si parla ormai da due anni. A Parma ci sono 539 detenuti, a fronte di una capienza di 418 posti detentivi, mentre mancano più di 50 agenti. Bisogna ricordare che nel carcere di Parma ci sono tre sezioni detentive chiuse, le quali non possono essere aperte per mancanza di personale.

In Italia, spiega ancora il sindacato, ci sono circa 6mila posti detentivi inutilizzati per mancanza di agenti. Infatti ne mancano 6.500 dalle piante organiche. "Sarebbe quindi opportuno prevedere l'assunzione di almeno altri tremila agenti di polizia penitenziaria, oltre ai duemila già previsti, in modo da poter aprire tutte le strutture ancora chiuse, come Trento, Ancona, Rieti (aperto solo in parte), il centro clinico di Catanzaro e tanti altri. Solo in Emilia-Romagna, se ci fosse il personale, si potrebbero ricavare a breve oltre mille posti detentivi. A Rimini, per esempio, c'è anche una sezione chiusa per mancanza di agenti, mentre dieci detenuti continuano ad essere ristretti in 12 metri quadrati".

LA (DIS)MISURA DELLA CRISI: INTERVISTA CON DIMITRIS, DEL MOVIMENTO ANTICAPITALISTA GRECO

da www.radiondadurto.org

"Dalla Grecia all'Europa: la misura della crisi". E' questo il titolo del dibattito che si è tenuto domenica 22 agosto all'interno della XIX Festa di Radio Onda d'Urto. A discuterne Massimiliano Tomba, docente di filosofia politica all'Università di Padova, Stefano Lucarelli, ricercatore di economia politica all'Università di Bergamo e Dimitris, compagno del Movimento Anticapitalista Greco invitato in Italia dalla Radio. Questa mattina, lunedì 23 agosto, Dimitris è venuto nei nostri studi per un'intervista.

[Scarica il contributo audio, durata: 19 min.] on

A PROPOSITO DELL’INCHIESTA SUI DISOCCUPATI FATTA DA “ IL MATTINO”

Il quotidiano il Mattino di Napoli dal 17 agosto sta pubblicando –a firma di Giuseppe Crimaldi - una propria “inchiesta” sui disoccupati BROS o per meglio dire sui movimenti dei disoccupati organizzati. Non sappiamo se tale interessamento è dettato dalla vacanziera carenza di notizie politiche e del palazzo più accattivanti o, come inevitabilmente ci viene da sospettare, sia già l’avvio di una campagna denigratoria verso questi movimenti che, a dire del giornalista e degli intervistati, saranno i responsabili di un settembre infuocato.

Il Mattino non è nuovo a queste cosiddette “inchieste” ad orologeria: già a giugno ci vedemmo costretti a denunciare, con un nostro comunicato, le menzogne sui movimenti dei disoccupati e la copertura delle responsabilità dei politici che emergevano dagli articoli del 2 e 3 giugno – a firma di Adolfo Pappalardo. Evidentemente cambia il giornalista ma non il contenuto.

Rieccoci, quindi, a fare qualche puntualizzazione su quanto affermato dal sig. Crimaldi e dai suoi interlocutori istituzionali, gli unici che il giornalista ha ritenuto di dover ascoltare (almeno fino ad ora perché, ovviamente noi proveremo a chiedere un’intervista al pari delle nostre controparti).

Prima precisazione: i precari Bros, ex Progetto ISOLA, ricevono il sussidio di 500 euro al mese da 3 anni e non da 4 come indicato. Tale sussidio è stato erogato come sostegno durante il periodo di formazione ed in attesa dell’inserimento lavorativo. Il giornalista fa notare che non solo non c’è stato inserimento lavorativo ma che non sono nemmeno partiti i corsi di formazione a cui, sostiene, non avevano interesse né le agenzie/imprese incaricate né i disoccupati.

Facciamo rispettosamente notare che i giornalisti del Mattino sono stati, evidentemente, molto distratti in questi ultimi 4 anni visto che non solo non hanno “inchiestato” ma non si sono nemmeno accorti che movimenti come il nostro 1) non hanno mai smesso di denunciare l’amministrazione regionale e l’ Assessore al lavoro, nella persona di Corrado Gabriele fino a qualche mese fa, per l’uso di enormi finanziamenti pubblici (ben oltre i circa cento milioni ricordati nei suoi articoli) senza altra prospettiva se non quella di favorire gli interessi di una pletora di società e di consulenti e di alimentare, a solo scopo elettoralistico, aspettative ed illusioni, puntualmente disattese, tra migliaia di disoccupati; 2) che, di fronte al totale disinteresse delle imprese incaricate della formazione, hanno ripetutamente rivendicato, anche con le mobilitazioni di piazza, la formazione e le work experience previste. Ed infatti, le sole esperienze formative e di lavoro (v. assistenza alle persone, nelle case famiglia o al Frullone) che ci sono state sono state imposte alle società dai corsisti o direttamente autorganizzate dai movimenti di disoccupati (v. la raccolta differenziata porta a porta effettuata dal nostro movimento nel centro storico per una settimana o la bonifica dai rifiuti abbandonati dei sotterranei del Centro Direzionale ed alle Torri Aragonesi a via Marina).

Quindi a differenza di quanto emerge dagli articoli de il Mattino, come precari Bros non solo abbiamo da sempre rifiutato l’assistenzialismo chiedendo una stabilizzazione lavorativa ma, in attesa di questo “miracolo”, abbiamo chiesto di prestare lavoro di pubblica utilità a fronte di quel misero reddito percepito.

Inoltre, per primi e da soli (a proposito dov’era Nappi ed il suo partito?) abbiamo criticato i corsi per pizzaioli, parrucchieri e veline imponendo che si avviasse un percorso per qualifiche meglio spendibili sul mercato del lavoro quali quelle nel settore ambientale.

E qui veniamo alla seconda precisazione. Prima di rilasciare interviste l’Assessore al Lavoro Nappi farebbe bene a coordinarsi con i suoi amici di partito e di maggioranza. Egli infatti sostiene che oltre a fare assistenzialismo si sono finanziati progetti formativi nell’ambiente “quando è a tutti noto che in questo settore, nella nostra regione, c’è un esubero di personale”. Ora, a parte le dichiarazioni dell’alleato segretario del Nuovo PSI, Gennaro Salvatore, riportate nella stessa pagina, che proprio nell’ambiente vede uno dei possibili sbocchi anche per la nostra platea, vogliamo ricordare all’Assessore che solo il 6 luglio 2010 il suo collega, l’Assessore all’ambiente Romano, ha affermato davanti alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti che gli esuberi in questo ambito sono solo 600/700, tutti già ricollocabili in un terzo degli impianti previsti per lo smaltimento dei rifiuti.

Essendo quello dei rifiuti, nella nostra regione, la sezione del settore ambientale a più alta concentrazione di lavoratori se ne deduce che non ci sono esuberi in tutto il settore. Se poi guardiamo alla devastazione del territorio campano (v. l’ultimo disastro “scoperto” nell’area giuglianese della discarica ex Resit) ed all’urgenza e alla mole di interventi necessari per risanare e bonificare suolo e sottosuolo, il settore ambientale è non solo potenzialmente ma obbligatoriamente il settore in cui investire per creare nuova occupazione. Uno sbocco, quindi, per la stabilizzazione lavorativa ben oltre le migliaia di disoccupati Bros e con ricadute positive anche in altri settori, come il turismo e l’agricoltura, danneggiati da una politica del territorio vergognosa (e chissà che magari in questo modo si possa mettere fine anche allo spreco di fiumi di denaro per consulenze ed uffici all’estero con la scusa di sponsorizzare i prodotti tipici campani come la mozzarella …. alla diossina!!)

Per quanto ci riguarda è quello che abbiamo proposto in ogni tavolo di trattativa con le istituzioni locali e nazionali individuando nella raccolta differenziata porta a porta, negli impianti della filiera del ciclo di rifiuti (riciclo, riuso, recupero, compostaggio, ecc.), nella bonifica, nel monitoraggio e nel controllo del territorio (v. guardie ambientali) la collocazione della platea Bros (a proposito se c’è saturazione perché fare nuovi corsi di formazione per guardie ambientali e non usare noi?).

Riteniamo che il “Piano per il lavoro” che, come stabilito dal Tavolo interistituzionale tra governo locale e nazionale, la regione sta approntando per dare stabilizzazione lavorativa alla platea Bros, non possa che partire da queste soluzioni, le uniche concrete.

Dalle dichiarazioni degli esponenti politici riportate da il Mattino emerge, invece, il solito rimpallo di responsabilità, la solita enumerazione di “molteplici ricette” per l’emergenza lavoro, l’immancabile, ormai, rilancio del modello Fiat di lacrime, sangue e nessun contratto collettivo come per Pomigliano; in altre parole ancora il vuoto delle proposte concrete.

Altro che il “voltare pagina” promesso dal presidente regionale Caldoro e dall’Assessore Nappi. Dalle anticipazioni a il Mattino viene fuori che il “Piano per il lavoro” che stanno approntando altro non è che la riproposizione della ricetta di sempre: censimento di tutte le attività artigianali e dei mestieri, formazione, emersione del lavoro nero, incentivazione dei contratti di apprendistato, flessibili e a tempo determinato (quindi max 24-36 mesi), agevolazioni in materia di defiscalizzazione per chi assume, sostegno dell’incontro tra domanda e offerta in tema occupazionale. Insomma parole, parole, soltanto parole. E’ questo il Piano che pensano di sottoporre ai movimenti? E’ con la vacuità di tali proposte che pensano di collocare con lavoro stabile non solo i 4000 della platea Bros ma addirittura tutti “i soggetti coinvolti nella crisi occupazionale dell’impresa.. che vanno recuperati e reinseriti in occupazione”?

Quei 500 posti sono una provocazione per chi da anni sta lottando per avere un lavoro.

Se così è, non ci meraviglia che qualcuno si sta già preparando a risolvere la vertenza dei disoccupati attraverso la criminalizzazione, la repressione e la contrapposizione tra i vari pezzi del movimento e che il Mattino con le sue inchieste finisca per tenergli bordone.

Arriviamo così ad un’altra precisazione. Non è la prima volta che quando si tratta di movimenti di lotta napoletani il quotidiano di Caltagirone scopre l’ombra della camorra. Quale miglior modo per seminare dubbi sulla legittimità di quelle lotte!! In questo caso, però, ci sembra che il tentativo è mal riuscito. Infatti, nonostante le domande tendenziose dell’intervistatore, il questore Santi Giuffrè smentisce qualsiasi coinvolgimento, regia occulta o direzione e orientamento della camorra nei movimenti dei disoccupati organizzati. Quello che rimane è la subdola confusione dell’articolo del Crimaldi che persino quando prova ad infilare sospetti su “ambienti dei disoccupati” riesce a smentire se stesso trovandosi a parlare di ambienti lontani ai movimenti. In realtà ciò che emerge è il voto di scambio che, lo dice la parola, di necessità vede un ricatto da chi il voto lo prende (i politici) verso chi lo dà, tra chi può dare e promettere qualcosa e chi ne ha bisogno e tra questi “i pensionati, i disoccupati, gli indigenti” come dice il giornalista. E la camorra, come dimostrano le varie inchieste che lui stesso cita, il lavoro sporco lo fa per chi i voti li prende; politici che il sig. Crimaldi non ha il fegato di citare mai in tutto l’articolo.

Giusto per mettere i puntini sulle i, vogliamo ricordare al sig. Crimaldi che come Movimento di Lotta Banchi Nuovi, nel passato come nel presente, non solo abbiamo denunciato il voto di scambio, ma non abbiamo avuto paura di fare nomi e cognomi. Cosa ancora più importante: non ci siamo limitati a denunciare quello che passa per le mani della camorra, ma anche quello apparentemente più pulito che passa seminando speranze e illusioni tra chi non ha niente. Non a caso il nostro movimento ha criticato sin dall’inizio quegli esponenti politici che hanno usato la loro posizione e la gestione della politica del lavoro (v. il Corrado Gabriele) per fare dei disoccupati il proprio bacino elettorale. Promesse e cambiali che si sono rinnovate in vista di ogni tornata elettorale ma che stanno drammaticamente e amaramente, per quelli che ci avevano creduto, venendo a scadenza. Infine, basta guardare il muri di questa città per capire che se tante operazioni e assunzioni clientelari sulla pelle dei disoccupati non sono passate sotto silenzio (per ultimo v. nostro manifesto/denuncia su assunzioni all’Astir) lo si deve alla costante attenzione dei movimenti.

Per concludere. Bene avrebbe fatto il giornalista de il Mattino ad aggiungere, all’”inchiesta” sui disoccupati, conclusasi il 21 agosto, un’altra puntata dal titolo: la politica a sostegno dei disoccupati nel nostro paese e negli altri paesi ricchi, a partire da quelli europei. Avrebbe capito e fatto capire ai suoi lettori che i disoccupati campani sono costretti ad organizzarsi ed a lottare per anni, a scontri di piazza (che per loro significano denunce, fermi, arresti, perquisizioni, manganellate, o no?) per ottenere ciò che in altri paesi, almeno finora, è garantito dallo stato sociale: un reddito per campare. Sarebbe stato a tutti chiaro che non sono le risorse a mancare né i disoccupati a chiedere l’impossibile, ma che il sistema italiano degli ammortizzatori sociali, della formazione, più che un’opportunità per i disoccupati e per chi perde il lavoro, è un enorme fiume di denaro pubblico in cui sguazzano centinaia di enti e società private e politici di tutti i partiti. Un grande magna magna non solo in Campania ma in tutta Italia, nord compreso. Come riporta l’inchiesta di la Repubblica del 20 agosto “per ogni corso organizzato in Lombardia 3000 euro vanno (nell'arco di sei-nove mesi) al candidato, mentre gli altri 7000 vanno agli organizzatori” ed in Campania è anche peggio. Il mare di soldi (20 miliardi di euro l’anno) che olia questo sistema potrebbe garantire la creazione vera di posti di lavoro ed un reddito a tutti i senza lavoro, se solo ci fosse la volontà politica di non foraggiare questi parassiti. E poi sarebbero i disoccupati gli assistiti?

A settembre ci aspettiamo un vero Piano per il lavoro. Se le anticipazioni fatte a il Mattino dagli esponenti del governo regionale dovessero, malauguratamente, rivelarsi esatte le rispediremo al mittente. Chi vuole un autunno tranquillo si appresti a dare risposte alla necessità di lavoro e di reddito di migliaia di disoccupati. Non ci stiamo a sentire la solita solfa della mancanza di risorse né ad andare a casa con la classica “mano avanti e una indietro”. Lo sappia il Mattino, Nappi, Caldoro ed il questore Giuffrè.

Intanto siamo in attesa di una risposta da parte del giornalista Crimaldi, autore dell’inchiesta, alla nostra richiesta di incontro. Fidiamo nella sua professionalità. Di certo pubblicheremo queste nostre note con gli strumenti indipendenti che i movimenti hanno ancora a disposizione.

MOVIMENTO DI LOTTA PER IL LAVORO BANCHI NUOVI

lunedì 23 agosto 2010

Raw Power + Panic Clown + Drunken Army

Caschi bianchi pattugliano Milano a caccia di Rom

Pattugliano in bicicletta le strade di Milano. Il loro compito è quello di allontanare i Rom, i senzatetto, i poveri dai luoghi in cui sostano per chiedere l'elemosina o semplicemente per ripararsi dal sole. Sono i "caschi bianchi" e il percorso fisso delle loro ronde prevede il passaggio davanti alle chiese: luoghi sacri dove in tutto il mondo è concesso da secoli agli esseri umani che si trovano in stato di indigenza di procurarsi i mezzi di sussistenza grazie alla carità dei più fortunati. Di fronte alle ragioni della forza e dell'intolleranza, a Milano e in Italia perde valore anche la saggezza riposta nella Costituzione, che all'articolo 3 recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". La Repubblica, al contrario, usa il suo potere e i suoi strumenti autoritari per... rimuovere chi è povero, escluso e disagiato. Ci si chiede chi autorizzi le azioni quotidiane delle "ronde" e quale legge violino le persone indigenti costrette a mendicare dall'inadeguatezza della stessa Repubblica, visto che anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 519 del 1995, ha dichiarato illeggittimo il “reato di mendicità non molesto". Abbiamo seguito le operazioni delle ronde, rilevando come i Rom e i senzatetto vengano allontanati dal sagrato delle chiese - che oltretutto sono proprietà del Vaticano - e dalle vie della città nonostante non molestino nessuno.

Alfred Breitman - Gruppo EveryOne

Fatti di Pistoia: FINALMENTE LIBERI!

E' con il massimo orgoglio che il Movimento Antagonista Livornese ha accolto la notizia del ritiro delle misure cautelari nei confronti degli arrestati di Pistoia.

Con il nuovo pronunciamento del Tribunale del Riesame di Firenze, dopo dieci mesi tra carcere, arresti domiciliari e obblighi di dimora, finisce parte dell'incubo che vede coinvolti nel processo per il danneggiamento di Casa Pound Pistoia sei compagni, quattro dei quali, Alessandro, Elisabetta, Vittorio e Selvaggio aderenti proprio al MAL.
Un'inversione di tendenza del processo decisiva quanto inevitabile che copre di vergogna il Tribunale e la Questura di Pistoia, il PM Boccia in primis che addirittura si è dimesso dal proprio incarico. Un verdetto che sicuramente ha tenuto conto del pronunciamento della Cassazione a Roma e dell'interessamento alla vicenda che vari soggetti politici hanno espresso in questi mesi.

Ribadiamo la totale estraneità dai fatti degli imputati e ci auguriamo che queste sentenze possano finalmente dimostrare quanto le accuse e le montature del PM Boccia e della questura di Pistoia siano immotivate e condizionate dai legami tra la questura stessa e Casa Pound.

Movimento Antagonista Livornese

28 Agosto - Un nuovo No al ponte

Per il popolo NoPonte si avvicina un nuovo appuntamento nel lungo percorso di lotta che in questi anni è stato capace di costruire.

Da parte di chi si oppone a questa mostruosità, che vorrebbe andare, una volta di più, a deturpare il territorio siciliano e calabrese devastando la vita di chi, in quei territori, vive, si è prodotto un'enorme quantità di ottimi e validissimi argomenti a suffragare la nocività, l'inutilità e l'insostenibile onerosità di un progetto di cui è in dubbio perfino la reale fattibilità.

Appartengono ormai alla memoria storica del movimento contro il ponte ed al ricco patrimonio d'analisi e studi accumulato negli anni tutte le riflessioni sui danni ecologici, alla salute ed alla qualità della vita delle popolazioni (anche umane) di quei territori, sull'inutilità per il sistema dei trasporti dell'area (afflitto da altre e ben più gravi carenze), sul sistema di controllo poliziesco con la conseguente contrazione delle libertà di ciascuno che tali grandi opere (come anche, in situazioni diverse ma con modi analoghi, avviene per la gestione delle emergenze "naturali") richiedono durante la loro edificazione e per il loro mantenimento in efficienza e sui costi abnormi per i cittadini (a dispetto dei proclami, non falsi di per sé ma subdolamente distorcenti della realtà dei fatti, che vorrebbero l'opera costruirsi per intero con capitali privati). Tutti questo, ed altro ancora, costituisce il bacino di ragioni che muove le coscienze fin qui mobilitatesi contro il ponte sullo stretto ma per nessuna di queste questioni specifiche il movimento nato attorno alla lotta al ponte vuole, né tanto meno deve, essere intenzionato ad impiccarsi.

Nessuna soluzione di compromesso che tenti di porre rimedio ad alcune di queste questioni può essere comunque considerata ricevibile. Non vi è infatti alcuna compromesso raggiungibile tra l'edificazione del ponte e la più importante delle questioni, la vita e la dignità di chi vive e rende vivi i territori sulle due sponde dello stretto.

Anche ignorando il totale e completo disprezzo che il capitale puntualmente mostra per uomini ed ambiente (non per la "malvagità" dei suoi interpreti ma per le meccaniche che ne costituiscono l'essenza) e le devastazioni che ciò comporta ed immaginando che i lavori vengano svolti in maniera impeccabile gli effetti della realizzazione di tale opera sarebbero comunque disastrosi. Comunque si dovrebbero abbattere quartieri e deportarne la popolazione, comunque si dovrebbe devastare l'ambiente e dunque la vita di migliaia di siciliani e calabresi, comunque si dovrebbe procedere alla militarizzazione dei territori interessati ed al conseguente controllo delle vite dei suoi abitanti comunque si dovrebbe stravolgere il tessuto sociale e civile delle due città.

Il cambio di fase avvenuto nei processi di costruzione del ponte, dal piano dell'ipotetico, del lungo (e dispendiosissimo) iter progettuale (fase comunque ed incredibilmente non ancora del tutto esauritasi), a quello della realizzazione materiale con le prime (farsesche, ma nondimeno rilevanti, foss'anche e solo simbolicamente e mediaticamente) messe in opera esige simmetricamente, da parte del movimento NoPonte, uno scatto in avanti. Ciò che occorre, a partire da questo appuntamento, che deve essere insieme l'ultimo di una lunga serie ed il primo di una nuova, è la capacità di mettere in campo, su un piano anch'esso materiale, tutta l'incompatibilità che esiste tra il ponte (compresi tutti i processi ad esso preliminari) e la vita di chi vive o, più semplicemente, ha a cuore le sorti di quei territori.

23 agosto 1927, la condanna a morte di Sacco e Vanzetti

sacco_e_vanzettiQuelli che già altre volte avevano ascoltato Kenneth Whistler lo pregarono di raccontare nuovamente di quando aveva organizzato le manifestazioni di protesta davanti alla prigione di Charlestown, per l'uccisione di Sacco e Vanzetti. Mi sembra strano, oggi, dover spiegare chi fossero Sacco e Vanzetti. Recentemente ho chiesto a Israel Edel, l'ex portiere notturno all'Arapahoe, cosa sapeva lui di Sacco e Vanzetti, e mi ha risposto senza esitazione che erano due giovani di buona famiglia che, a Chicago, avevano commesso un omicidio per provarne il brivido. Li aveva confusi, insomma, con Leopold e Loeb.
Perché dovrebbe sconvolgermi questo? Quand'ero giovane, ero convinto che la storia di Sacco e Vanzetti sarebbe stata raccontata tanto spesso quanto la storia di Gesù Cristo, suscitando altrettanta commozione. Non avevano forse diritto, i moderni - pensavo - a una Passione moderna come quella di Sacco e Vanzetti, che si concludeva sulla sedia elettrica?
Quanto agli ultimi giorni di Sacco e Vanzetti e al finale della loro Passione: come già sul Golgota, erano tre i condannati a morte dal potere statale. Stavolta, non uno su tre era innocente. Innocenti erano due, su tre.
Il colpevole era un famigerato ladro e assassino a nome Celestino Madeiros, condannato per un altro delitto. All’approssimarsi della fine, Madeiros confessò di esser lui l'autore degli omicidi per cui Sacco e Vanzetti erano stati condannati a morte.
Perché?
"Ho visto la moglie di Sacco venirlo a trovare coi figli, e mi hanno fatto pena, quei figlioli" disse.
Immaginate questa battuta pronunciata da un bravo attore in una moderna Sacra Rappresentazione.
Madeiros morì per primo. Le luci della prigione si abbassarono tre volte.
Per secondo toccò a Sacco. Dei tre, era l'unico che avesse famiglia. L'attore chiamato a interpretarlo dovrà dar vita a un uomo molto intelligente che, non essendo ben padrone dell'inglese, né molto bravo a esprimersi, non poteva fidarsi di dire alcunché di complicato ai testimoni, mentre lo assicuravano alla sedia elettrica.
"Viva l'anarchia" disse. "Addio, moglie mia, figli miei, e tutti i miei amici" disse. "Buonasera, signori" disse poi. "Addio, mamma" disse. Era un calzolaio, costui. Le luci della prigione si abbassarono tre volte.
Per ultimo toccò a Vanzetti. Si sedette da sé sulla sedia, dove già erano morti Madeiros e Sacco, prima che gliel'ordinassero. Cominciò a parlare ai testimoni prima che gli dicessero che era libero di farlo. Anche per lui l'inglese era la seconda lingua, ma ne era padrone.
Ascoltate:
"Desidero dirvi," disse, "che sono innocente. Non ho commesso nessun delitto, ma qualche volta dei peccati, sì. Sono innocente di qualsiasi delitto, non solo di questo, ma di ogni delitto. Sono innocente". Faceva il pescivendolo, al momento dell'arresto.
"Desidero perdonare alcune persone per quello che mi hanno fatto" disse. Le luci della prigione si abbassarono tre volte.
La loro vicenda, di nuovo:
Sacco e Vanzetti non uccisero mai nessuno. Erano arrivati in America dall'Italia, senza conoscersi fra loro, nel Millenovecentootto. L'anno stesso in cui arrivarono i miei genitori.
Papà aveva diciannove anni. Mamma ventuno.
Sacco ne aveva diciassette. Vanzetti venti. Gli industriali americani a quell'epoca avevano bisogno di molta manodopera a buon mercato e docile, per poter tenere basse le paghe.
Vanzetti dirà in seguito: "Al centro immigrazione, ebbi la prima sorpresa. Gli emigranti venivano smistati come tanti animali. Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America".
Papà e mamma mi raccontavano qualcosa di analogo. Anche loro ebbero la sensazione di essere dei poveri fessi che si erano dati tanto da fare solo per esser portati al macello.
I miei genitori furono subito reclutati da un agente delle Ferriere Cuyahoga di Cleveland. Costui aveva l'ordine di ingaggiare solo slavi biondi, mi disse una volta Mister MacCone, in base alla teoria di suo padre per cui i biondi avrebbero avuto la robustezza e l'ingegnosità meccanica dei tedeschi, ma temperata dalla docilità degli slavi. L'agente doveva scegliere sia degli operai sia dei domestici presentabili per le varie case dei MacCone. Perciò i miei genitori entrarono nella classe dei servi.
Sacco e Vanzetti non ebbero altrettanta fortuna. Non c'era nessun sensale cui fossero stati ordinati dei tipi come loro. "Dove potevo andare? Cosa potevo fare?" scrisse Vanzetti. "Quella era la Terra promessa. Il treno della sopraelevata passava sferragliando e non rispondeva niente. Le automobili e i tram passavano oltre senza badare a me." Sicché lui e Sacco, ciascuno per suo conto, per non crepare di fame, dovettero cominciar subito a questuare in cattivo inglese un lavoro qualsiasi, a qualsiasi paga - andando di porta in porta.
Il tempo passava.
Sacco, che in Italia aveva fatto il calzolaio, trovò un posto in una fabbrica di calzature a Milford (Massachusetts), la cittadina in cui, guarda caso, era nata la madre di Mary Kathleen O'Looney. Sacco prese moglie e andò a stare in una casa con giardino. Ebbe un figlio, Dante, e una figlia, Ines. Lavorava sei giorni la settimana, dieci ore al giorno. Trovava anche il tempo per prendere parte a dimostrazioni indette da operai che chiedevano un salario più alto e condizioni di lavoro più umane e così via; per tali cause teneva discorsi e dava contributi in denaro. Fu arrestato, a causa di tali attività, nel Millenovecentosedici.
Vanzetti non aveva un mestiere e quindi lavorò qua e là: in trattorie, in una cava, in un'acciaieria, in una fabbrica di cordami. Era un avido lettore. Studiò Marx e Darwin e Victor Hugo e Gor'kij e Tolstoj e Zola e Dante. Questo aveva in comune con quelli di Harvard. Nel Millenovecentosedici guidò uno sciopero contro la fabbrica di cordami, ch'era la Plymouth Cordage Company, oggi consociata della RAMJAC. Era sulle liste nere dei datori di lavoro, sicché per sopravvivere si mise a fare il pescivendolo per conto proprio.
Fu nel Millenovecentosedici che Sacco e Vanzetti si conobbero bene. Si rese evidente a entrambi - pensando ognuno per proprio conto alla brutalità del padronato - che i campi di battaglia della Grande Guerra erano semplicemente altri luoghi di pericoloso e odioso lavoro, dove pochi sovrintendenti controllavano lo spreco di milioni di vite nella speranza di far soldi. Era chiaro per loro, anche, che l'America sarebbe presto intervenuta. Non volevano esser costretti a lavorare in siffatte fabbriche in Europa, quindi si unirono a un gruppo di anarchici italoamericani che ripararono in Messico fino alla fine della guerra.
Gli anarchici sono persone che credono con tutto il loro cuore che i governi sono nemici dei loro stessi popoli.
Mi trovo ancor oggi a pensare che la storia di Sacco e Vanzetti possa entrare nelle ossa di future generazioni. Forse occorre solo raccontarla qualche altra volta. In ogni caso, la fuga in Messico verrà certo vista come un'ulteriore espressione di una sorta di sacro buon senso.
Sia come sia, Sacco e Vanzetti tornarono nel Massachusetts dopo la guerra, amici per la pelle. Il loro buon senso, sacro o no, basato su libri che quelli di Harvard leggono abitualmente senza cattivi effetti, era sempre apparso disdicevole al loro prossimo. Questo stesso prossimo - e quelli che volevano deciderne il destino senza incontrare tanta opposizione - presero a sentirsi atterriti da quel buon senso, specie quando a possederlo erano degli immigrati.
Il dipartimento di Giustizia compilò un elenco segreto di stranieri che non facevano mistero di quanto trovavano ingiusti e insinceri e ignoranti ed esosi tanti esponenti della cosiddetta Terra promessa. Sacco e Vanzetti erano inclusi in tale lista. Erano pedinati da spie del governo.
Incluso nella lista era anche un tipografo a nome Andrea Salsedo, amico di Vanzetti. Costui fu arrestato a New York da agenti federali, senza specifiche accuse, e venne tenuto isolato per otto settimane. Il tre maggio del Millenovecentoventi Salsedo cadde o saltò o fu spinto da una finestra al quattordicesimo piano, dove avevano sede certi uffici del dipartimento di Giustizia.
Sacco e Vanzetti organizzarono un comizio per chiedere che fosse aperta un'inchiesta sull'arresto e sulla morte di Salsedo. Il comizio doveva tenersi il nove maggio a Brockton, nel Massachusetts, paese natale di Mary Kathleen O'Looney. Lei aveva sei anni, allora. Io, sette.
Sacco e Vanzetti vennero arrestati per attività sovversive prima che il comizio avesse luogo. Il loro reato era il possesso di volantini che annunciavano il comizio. Rischiavano una forte multa e fino a un anno di carcere.

"È stato Morto un Ragazzo". Il film su Federico Aldrovandi in concorso a Venezia

Federico Aldrovandi ha da poco compiuto diciotto anni quando, all'alba del 25 settembre 2005, incontra una pattuglia della polizia nei pressi dell'ippodromo, a Ferrara. Poche ore più tardi la famiglia apprende della sua scomparsa. Fra questi due momenti tante domande e molti silenzi. Il libro ripercorre le vicende umane e giudiziarie legate alla morte di Federico, le ricostruzioni della polizia che parlano di morte per overdose, lo stupore e il dolore di parenti e amici e un'inchiesta giudiziaria inizialmente destinata all'archiviazione... Poi i primi sospetti, il corpo sfigurato del ragazzo, le versioni ufficiali che vengono smentite dalle analisi, il coinvolgimento delle forze dell'ordine e i depistaggi. Lo scandalo, l'attenzione mediatica e il coraggio di una famiglia che, nel luglio del 2009, porteranno alle condanne in primo grado per quattro agenti di polizia. Nel DVD Filippo Vendemmiati racconta la storia di Federico Aldrovandi, i fatti accertati e misteri che li avvolgono, il processo e i suoi numerosi colpi di scena, tentando di fornire una spiegazione verosimile dell'accaduto proprio a partire da quegli interrogativi rimasti insoluti. La narrazione di Vendemmiati è arricchita dai documenti video registrati dagli stessi protagonisti, a disposizione nell'archivio giornalistico Rai.
"È stato morto un ragazzo" è anche una storia sulla libertà di stampa
di Filippo Vendemmiati

Ho cominciato ad occuparmi della storia di Federico Aldrovandi non proprio dall'inizio, e anche di questa pigrizia e scetticismo professionale il film racconta. Come cronista Rai avevo già seguito inchieste come il disastro dell'aereo militare caduto il 6 dicembre del '90 su una scuola di Casalecchio di Reno, e costato la vita a dodici ragazzi, o l'assassinio del Prof. Marco Biagi, ad opera di un commando delle Nuove B.R., il 19 marzo del 2002.
La morte di Federico poteva essere un fatto come altri, ma su questo a differenza di altri ho deciso di fermarmi e considerare, per una volta, che valeva la pena raccontare la storia e non la notizia. Ho conservato le video cassette originali, i taccuini con gli appunti, tutti quegli strumenti usa e getta che oggi fanno del giornalista un uomo che ha sempre fretta, in preda ad un falso (e isterico) movimento. Volevo scrivere un libro di cronaca, poi l'archivio con centinaia di immagini mi ha convinto che erano quelle a dover essere raccontate, cosi ho deciso di mettermi al loro servizio. E' una storia che ha a che fare con il sistema dell'informazione e della giustizia, con la violenza delle istituzioni e il diritto alla giustizia dei cittadini. I genitori di Federico e i loro legali sono andati avanti non accontentandosi delle versioni ufficiali, raccogliendo brandelli di verità nonostante i tanti tentativi di insabbiamento e mistificazione che hanno accompagnato il caso fin dai primissimi istanti. Per arrivare infine ad una verità anche peggiore di quanto temessero, dopo aver aperto i cassetti dei ricordi e del dolore accettando di renderli pubblici. Ho parlato loro di questo progetto, ne ho ricevuto un consenso incondizionato, senza il quale non avrei mai iniziato. Il lavoro è durato un anno, e devo solo alla famiglia di Federico la forza e la voglia di arrivare in porto, perché la passione e l'impegno nella parte realizzativa si sono duramente scontrati contro ostacoli burocratici e legali.
Dice Patrizia, la mamma, nel film: "La notizia della morte di Federico dopo poche settimane era sparita dai giornali locali, è rimbalzata a Ferrara da fuori, dopo l'apertura del mio blog".
Senza mai arrendersi, ricorrendo anche agli strumenti della comunicazione via internet, Patrizia e il marito, Lino, sono riusciti a far pubblicare la storia di Aldro sulle prime pagine dei media nazionali, e a dare impulso ed elementi investigativi ad un'inchiesta ormai destinata all'archiviazione. A quattro mesi dalla morte di Federico il fascicolo del pubblico ministero era infatti praticamente vuoto.
Nel film, che ha ottenuto l'appoggio dell'associazione Articolo 21 e della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, oltre al patrocinio della Regione Emilia Romagna, ho utilizzato documenti originali, spezzoni dell'inchiesta, filmati d'archivio e inserti narrativi.
"È stato morto un ragazzo" è anche una storia sulla libertà di stampa che pone l'accento sul presente e sul futuro prossimo dell'informazione in Italia. Se la legge bavaglio fosse stata in vigore cinque anni fa, senza poter pubblicare gli atti, le foto, le trascrizioni delle telefonate, si sarebbe mai scoperta la verità sulla morte di Federico e quella di altri casi simili, avvenuti prima e dopo?
Sono stato definito un giovane autore. Ringrazio particolarmente per il giovane, del resto quel conta è l'età percepita. Quanto ad "autore", sarà il giudizio sul film a stabilire fino a che punto io abbia saputo esserlo.

domenica 22 agosto 2010

Aggressione fascista a Minori

Il 18 agosto alle 23 circa, due fascisti hanno aggredito a calci e pugni un nostro compagno sulla spiaggia di Minori (costiera amalfitana), dove si trovava in vacanza con la sua famiglia. Il nostro compagno non ha mai fatto mistero della sua incompatibilità con posizioni razziste, omofobe e fasciste anche in contesti in cui sembrano tollerate e caldeggiate. Per questa ragione un gruppo di fascisti aveva già qualche giorno prima cercato di aggredirlo, ma, appena constatato che si trovava in compagnia di amici, aveva subito battuto in ritirata dopo qualche scambio di insulti. Gli infami hanno così cercato di sorprenderlo quando era solo. Appena lo hanno individuato senza amici, hanno cominciato un lancio di pietre. Il compagno, direttosi nella loro direzione, è stato subito aggredito dal gruppetto di fascisti. Solo la freddezza e la determinazione gli hanno dato la possibilità di resistere e di evitare il peggio. Ci teniamo a dire a tutti quello che i suoi aggressori sanno benissimo: non è scappato anche se da solo, ma anzi, è andato verso di loro, rimarcando la differenza tra chi è abituato a nascondersi e vivere nelle fogne e chi non teme di lottare ogni giorno alla luce del sole.

Non possiamo fare a meno di notare che l'arroganza e la violenza dei fascisti in quella zona è ormai sempre crescente, protetta, come ovunque d'altronde, da una costante impunità frutto della complicità delle istituzioni.

Intanto, gli antifascisti vengono sepolti da procedimenti giudiziari e restrizioni della libertà.

Un pensiero va al nostro fratello e compagno Tonino, detenuto nel carcere di Poggioreale. Dal 26 luglio in galera perché antifascista, da tutta la vita libero perché antifascista. La nostra lotta contro il fascismo e lo sfruttamento continua anche grazie alla sua determinazione.

Via i fascisti dalle nostre strade, via il fascismo dalle nostre vite
Non un passo indietro

Antifa Napoli

martedì 17 agosto 2010

Disoccupati salernitani: fondi bloccati dagli enti inattivi

A quei 375 iscritti nelle liste della disoccupazione che nel 2007 riuscirono ad essere inseriti nel progetto Conoscenza e Lavoro di Salerno, quella era sembrata la svolta della vita.

A distanza di tre anni quel progetto non è ancora terminato, mentre i soldi dei fondi europei 2007-2013 rischiano di tornare indietro.

In mezzo ci sono un bel po’ di elezioni e cambi di amministrazioni, sta di fatto che un piccolo plotone di operai specializzati sui rifiuti, il giardinaggio, ma anche il turismo e l’accoglienza, resta in attesa della seconda parte dell’operazione, quella che viene definita pomposamente in inglese «work experience», uno stage praticamente, le prime ore di lavoro promesso, con un’opzione-speranza di assunzione, grazie agli incentivi per cui molte aziende in provincia di Salerno hanno fatto richiesta. E invece questo è il terzo ferragosto di disperazione per i 375 «fortunati».

Da questa vicenda è nato l’ennesimo movimento dei corsisti, Salerno è vicina alle ennesime elezioni amministrative, e la vicenda assume gli inevitabili contorni politici. Il movimento ha preparato un dossier che racconta, atto per atto, tutta la trafila burocratica che ha portato allo stallo. Nel mirino del movimento corsisti, la Provincia di Salerno e la Regione Campania, enti tra i quali, a detta loro (portavoce Franz Cittadino anche nel Rsu Cobas del Comune di Salerno) basterebbe un incontro, una firma, per far ripartire il progetto.

Dei 375 partecipanti al corso (erano 432 inizialmente, ma il 70% è riuscito a portarlo a termine), 200 circa sono di Salerno città, divisi tra disoccupati di breve, media e lunga durata. Sono giovanissimi e meno giovani, con diversi livelli di istruzione, anche laureati, padri di famiglia, ex detenuti; c’è una componente femminile alta, per la maggior parte sono donne disagiate perchè separate oppure col marito in carcere, estromessi dal lavoro, da aziende finite nella morsa della crisi.

Poi il «miracolo» di quella delibera di giunta provinciale numero 166 del 16 aprile 2007. Il 14 giugno dello stesso anno era stato sottoscritto il protocollo d’intesa tra Provincia e Regione. Erano i tempi delle giunte Villani e Bassolino. Ma non è questo il punto, perchè il 30 settembre 2009 una nuova firma in Regione vide l’accordo della giunta Cirielli per recuperare e portare a termine il progetto. Dal 24 marzo 2009 tra i due enti comincia un carteggio che conferma la disponibilità dei soldi, ma che si ferma quasi un anno dopo, il 26 febbraio 2010 sull’assenza di «un piano comune e integrato di intervento proposto dalla Provincia nel progetto esecutivo non ancora presentato». pi.car. il mattino di salerno

Milano, rivolta al Cie in via Corelli

piccola rassegna sulla rivolta di stanotte

(AGI) - Milano, 16 ago. - "Finche' ci saranno carceri dove si e' detenuti per un periodo di 6 mesi senza aver commesso alcun reato, come accade nei Cie, le persone che ci sono ristrette non potranno far altro che tentare in tutti i modi di liberarsi esercitando un loro diritto". Commenta cosi' Mauro Straini, legale di alcuni detenuti nel Cie di via Corelli a Milano che l'anno scorso diedero vita ad una rivolta, la protesta messa in atto questa notte da 18 immigrati ristretti nel Centro milanese. Quella di stanotte e' la terza rivolta in anno e quella del 12 agosto del 2009 e' stata la piu' violenta delle tre. Quel giorno decine di immigrati diedero fuoco a materassi e oggetti vari quando fu loro comunicato che la detenzione al Cie sarebbe stata prolungata di altri 60 giorni per effetto del pacchetto sicurezza. In 14 furono arrestati, non senza accuse da parte degli immigrati di violenze da parte della polizia. Il mese scorso altra violenza. Trenta uomini salgono sul tetto, danneggiano le telecamere e permettono a tre immigrati di fuggire. Nello stesso momento anche i detenuti di un altro Cie, quello di Gradisca di Isonzo davano vita a proteste. Anche per questo gli investigatori pensano che ci sia stata un'unica regia dietro le due rivolte. Poi questa notte ancora disordini, con diciotto immigrati saliti sul tetto dopo aver infranto le vetrate di tre settori. Sono 11 in totale i feriti odierni: 6 agenti e 5 immigrati. Uno di loro, un algerino, e' riuscito a fuggire. Tre immigrati feriti in maniera seria alle gambe sono stati ricoverati in ospedale. Per soffocare i disordini sono intervenuti gli agenti del reparto mobile. (AGI) Cli/Car

Agi

Via Corelli, nuova protesta sul tetto del Cie Un algerino riesce a scappare. Bloccati altri 17 immigrati Il bilancio: 11 contusi e 18 denunciati

MILANO- Un cittadino algerino fuggito, 18 denunciati e 11 contusi, tra cui 6 agenti del Reparto mobile e 5 cittadini nordafricani che hanno riportato leggere ferite agli arti inferiori: questo il bilancio di una nuova protesta e di un tentativo di fuga inscenato intorno all’1:30 di questa mattina all’interno del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Corelli.

GLI SCONTRI- Intorno all’1.30, 17 nordafricani e una transessuale sono saliti sui tetti del Centro, dopo aver lievemente danneggiato i tre diversi settori in cui erano rispettivamente trattenuti. Secondo quanto riferisce la Questura meneghina, a quel punto è scattato l’intervento di "contenimento" degli agenti deputati al controllo del Cie che hanno bloccato il tentativo di fuga e riportato la situazione alla normalità intorno alle 2.15. I 17 "rivoltosi" e il fuggiasco sono stati denunciati per danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale. Gli immigrati sono stati portati in ospedale con leggere ferite alle gambe che si sono presumibilmente provocati saltando dai tetti. Il 18 luglio scorso, in un’identica protesta, erano fuggiti dal Cie milanese altri tre immigrati.

IL LEGALE- Per Mauro Straini, legale di alcuni detenuti nel Cie di via Corelli, «finchè ci saranno carceri dove si è detenuti per un periodo di 6 mesi senza aver commesso alcun reato, come accade nei Cie, le persone che ci sono ristrette non potranno far altro che tentare in tutti i modi di liberarsi esercitando un loro diritto».

il corriere


Milano, rivolta al Cie in via Corelli: poliziotti feriti, in fuga un algerino Gli incidenti nella notte di Ferragosto. Aperta un'inchiesta su 18 ospiti del centro

Un uomo di nazionalità algerina è scappato questa notte dal Cie (Centro di identificazione ed espulsione) in via Corelli a Milano nel corso di una rivolta che ha coinvolto in tutto 18 persone. Sei gli agenti del reparto mobile rimasti contusi nell'azione di contenimento e tre gli ospiti del centro trasportati in ospedale per contusioni agli arti inferiori.

I disordini sono cominciati intorno all'1.30 della notte, quando 18 persone, 17 delle quali nordafricane, sono salite sul tetto del Cie nel tentativo di fuggire. Nel corso della rivolta, tre reparti della struttura sono stati danneggiati. In frantumi i vetri delle finestre. Cinque in totale i nordafricani rimasti contusi nel corso dell'operazione di contenimento a opera degli agenti del reparto mobile della polizia, terminata intorno alle 2.15, tre dei quali trasportati in ospedale. Sempre per contusioni sono rimasti feriti anche sei poliziotti. Tutti e 18 gli ospiti sono stati denunciati per danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale.

L'ultima protesta risale a un meno di mese fa, lo scorso 18 luglio, quando una trentina di stranieri ospitati nel centro tentarono di fuggire e danneggiarono parti della struttura. Alla fine furono in tre, due marocchini e un tunisino, a guadagnare l'uscita e a dileguarsi.

la repubblica

Alemanno vuole mettere una tassa sui cortei a Roma

I romani sono esasperati dalle paralisi di traffico provocate, in aggiunta a quelle fisiologiche, da cortei e manifestazioni che si svolgono quotidianamente nella capitale.

E allora il sindaco Alemanno ha avuto un’idea: «Metteremo una sorta di tassa sui cortei: devono pagare qualche cosa, non possiamo pagare solo noi». «I romani pagano un prezzo altissimo a essere capitale -osserva il primo cittadino-: a Roma ci sono più di 525 manifestazioni a carattere nazionale in 6 mesi, tanto per fare un esempio.

E hanno un costo che incide sulla città per molti aspetti, oltre a creare disagi». Alemanno ha aggiunto, con un riferimento polemico alle tesi sostenute da Bossi e dalla Lega: «Roma non e’ ladrona. Dalla capitale arrivano nelle casse dello Stato più di 36 miliardi di euro».

La notizia ha sollevato un coro di critiche da parte dell'opposizone capitolina. "La boutade del sindaco sulla tassa sui cortei ha il sapore di una provocazione ad arte per distogliere dai problemi della città piuttosto che una proposta seria ed applicabile", ha detto il consigliere del Pd al Comune di Roma Massimiliano Valeriani.

Lettera dal carcere di Macomer (NU)

Un caro saluto a tutti i compagni,
a metà marzo 2010 il sottoscritto è stato trasferito nel carcere di Rossano nella sezione EIV (Elevato Indice di Vigilanza, ora AS2, Alta Sorveglianza), composta di soli prigionieri “islamici”, una decina in tutto. Subito ho riscontrato un regime di detenzione molto diverso dalla EIV dove ero stato precedentemente ristretto.

Sin dai primi giorni che siamo entrati nell'AS2 di Rossano la direzione ha vietato molti dei nostri diritti e cose che prima in tutti gli altri carceri avevamo senza nessun problema: la radio, l'orologio, il lettore cd, i colloqui con i famigliari - per chi li ha, il campo sportivo…

Tutto questo nelle altre carceri dove eravamo stati non mancavano, ci sono anche nelle sezioni per soli musulmani (Asti, Macomer, Benevento). Il congelatore, per esempio, in sezione non c'è; ce n'è soltanto uno nel corridoio che porta al passeggio, ma non ci possiamo mettere niente, possiamo soltanto metterci l'acqua per il ghiaccio.

Al direttore abbiamo fatto molte richieste, rimaste però tutte senza risposta. Ci siamo sentiti presi in giro, dalla direzione non arrivava nessuna risposta.

Allora abbiamo iniziato a protestare. Abbiamo cominciato con il rivolgere le nostre lamentele ai capi delle guardie; facevo questo nel mentre ci recavamo all'aria, nel piccolo tragitto dalle celle al cortile. Poi siamo entrati in sciopero della fame, portato avanti per quattro giorni. Per ultimo abbiamo fatto alcune battiture notturne, alle 22.30, alle 1.45 e alle 4 del mattino.

Dopo tutte queste proteste nessuno ci ha risposto! Ci sentivamo sempre più sotto pressione e stavamo sempre più male.

Il 29 giugno 2010 tutti abbiamo, fatto richiesta di trasferimento. Le guardie hanno sempre continuato a fare le perquisizioni alle celle. In una di queste alla mia cella, hanno prelevato vari oggetti con la scusa che non erano autorizzati. Quegli oggetti mi sono stati autorizzati dal momento che ero entrato in quel carcere. Ho fatto presente tutto questo alla guardia che aveva fatto la perquisa; a lui non importava nulla, anzi, mi provocava per crearmi dei problemi. Infatti mi sono innervosito troppo con lui. Il 6 luglio 2010 ha presentato un rapporto contro di me. Dal direttore per discutere del rapporto disciplinare sono andato assieme ad un altro prigioniero (Fezzani Moez).

Il direttore si è rivolto a me in modo molto arrogante, mi ha insultato come se fossi uno schiavo. Invece di darmi un consiglio umano, con il suo modo di parlare mi ha fatto innervosire abbastanza, allora gli ho detto delle parole pesanti. A quel punto sono intervenute le guardie. Mi hanno preso con forza e portato alle celle.

Quando gli altri compagni hanno saputo quello che era successo e che era stato punito anche Moez, si sono innervositi e hanno cominciato la battitura alle porte per solidarietà. Il vice-comandante e il brigadiere della sezione sono entrati in sezione per portarmi all'isolamento. Con loro c'erano molte guardie, ho paura per me, allora mi sono ferito al collo con una lametta, per far loro più paura mi sono ferito anche ad un dito. All'inizio mi sono rifiutato di uscire dalla cella, poi ho detto loro che sarei uscito se mi lasciavano prendere tutta la roba e se non mi toccavano. Hanno accettato. Poi ho capito che era una fregatura, che mi stavano dicendo menzogne.

Mi hanno portato all'infermeria dove, appena hanno visto il dito mi hanno detto che doveva essere cucito. Però non avevano l'ago per compiere l'operazione. Quando il dottore (o l'infermiere) è uscito per andare a prendere l'ago, sono rimasto solo con il brigadiere e una guardia che ha cominciato a dirmi di tutto. Parolacce e bestemmie solo per farmi innervosire e così crearmi problemi. Gli ho detto di non interrompermi mentre stavo parlando con un suo capo. La guardia mi dice di stare zitto, che lui non ha paura di me. In quel mentre arriva il comandante che da dietro mi da uno schiaffo, dicendo: eccomi qui. E' stato come un segnale, tutte le guardie presenti mi hanno aggredito con forza per uccidermi. Con il manganello mi davano botte sul viso, su tutto il corpo. In quei momenti urlavo dal dolore, cercavo di evitare le botte del manganello dirette alla faccia, proteggendomi con la spalla destra - mi fa ancora male fino all'osso. Sono scappato dalle loro mani, mi sono buttato sotto il tavolo, loro allora hanno continuato colpirmi ma con i piedi e i manganelli. Mi hanno causato dei tagli profondi in particolare nel labbro superiore, da dove usciva molto sangue.

Successivamente sono stato portato all'isolamento, in una cella vicino alla sezione. Quella cella era priva di ogni cosa né finestre, né porta per il bagno, né luce. Più volte ho chiesto di andare in infermeria per essere visitato, per fare una radiografia alla spalla e per cucire il labbro. Il mio corpo era pieno di macchie blu a causa delle botte. Alle richieste non ha risposto nessuno.

La notte tardi è venuto, mi ha guardato nella cella buia. Gli ho chiesto di curarmi tutte le ferite; mi ha ascoltato, se ne è andato e non è più tornato. Nel secondo turno della notte è venuto anche l'infermiere; ha guardato e se ne è andato anche lui. Poi è venuto un altro, ho poi saputo che era lo psichiatra; non mi ha detto una parola. Dopo un poco è ritornato l'infermiere per farmi una puntura anti-dolorifica.

I medici hanno scritto che io ero completamente sano; e il medico psichiatra ha chiesto di lasciarmi in una cella senza niente. Ha fatto questo senza avermi visitato!

In quella cella ci sono rimasto sei giorni, dormivo per terra senza vestiti, solo con un pantaloncino che indossavo all'inizio e senza nessuna cura.

Il 12 luglio 2010 sono stato trasferito nel carcere di Nuoro. Quando mi ha visitato il medico gli ho chiesto di registrare e prendere atto di tutti i segni rimasti sul corpo che erano ancora lì dopo quasi una settimana dal massacro.

Ho scordato di scrivere che dopo due giorni ho chiesto di andare in infermeria per denunciarli. Non mi hanno
autorizzato.

Il medico e lo psichiatra anche loro sono colpevoli di tutto. Ho quattro testimoni detenuti che erano nell'isolamento quando mi hanno portato lì anche me. Hanno visto il comandante, le guardie e me. Ricordo bene le facce delle guardie e ho anche il nome di chi mi ha fatto rapporto. Il direttore ha ordinato l'aggressione contro di me.

Voglio denunciare tutti questi fascisti infami.



P.S. il 22 luglio 2010 mi è arrivata una notifica inviata dal DAP, in cui bengo punito a sei mesi di 14-bis, a sei mesi(isolamento) da scontare nel carcere di Nuoro (via Badu 'e Carros 1 - 08100 Nuoro).

Un cordiale saluto Elayashi Radi
Nuoro, 22 luglio 2010

Indirizzo del carcere di Macomer: Località Bonu Trau 19 - 08015 Macomer (Nuoro)

lunedì 2 agosto 2010

Strage di Bologna: 30 anni di depistaggi

Una testimonianza di Francesco Cirillo, artista cospiratore. L’arte di Cirillo è un graffio profondo sulla nostra quotidiana realtà.
Luther Blissett

«Mi trovavo nella cella di isolamento del carcere di Lucera. Vi ero stato portato dopo essere stato pestato a sangue insieme a Franco Malanga nel carcere di Potenza. Franco subì un trauma grave ad un testicolo e venne portato nell’ospedale del carcere di Messina io, dopo essere rimasto una notte nudo in una cella di Potenza e qui minacciato continuamente per tutta la notte dalle guardie penitenziarie , vengo trasferito a Lucera.

Qui vengo messo in isolamento e ci resterò per tre mesi senza che i miei familiari sapessero dove fossi.

Ci volle un interrogazione parlamentare dell’on.Giacomo Mancini del PSI, perché si sapesse dove fossi e ricevessi le prime visite parenti e quelle degli avvocati. Ma rimasi sempre in isolamento stretto. Riuscii ad avere da parte del direttore dei fogli di carta e delle tempere e così potei dipingere. A fianco la mia cella c’erauna piccola cella-museo.

Vi era stato priogioniero Di Vittorio, il famoso comunista sindacalista, arrestato dai fascisti per ordine di Mussolini per i continui scioperi e occupazioni di terre. Nella cella museo dei fascisti c’era tutto: una sedia, un tavolo, una tinozza di legno per il bagno, un vaso nascosto con la tenda. Erano fascisti. Nella “mia” non c’era niente , solo il letto. Erano democratici.

Un detenuto mi disse della strage. Non avevo la TV ed i giornali e quindi non sapevo cosa stesse succedendo fuori. Dipinsi la strage.

Il 4 agosto irruppero di nuovo carabinieri e guardie nella mia cella. Una perquisizione per la strage di Bologna mi dissero. Presero tutte le mie lettere, aprirono il materasso, frugarono dappertutto, presero il mio diario, le mie foto e cosa più grave i miei disegni, compreso quello sulla strage di Bologna. Mi restituirono tutto dopo sei mesi quando ero nel carcere speciale di Palmi dove mi trasferirono. La mia perquisizione faceva parte dei tanti depistaggi che i servizi segreti di allora misero in atto per non giungere alla verità. Depistaggi mai chiariti.

Chi ordinò queste perquisizioni nelle carceri a priogionieri di sinistra ?»

da: http://www.rednest.org/

i link di Francesco Cirillo:
http://scirocco.blog2.tiscali.it/
http://www.sciroccorosso.org/
http://it.youtube.com/grillocirillo
http://francescocirillo.go.ilcannocchiale.it/?r=88271
http://blog.libero.it/dallatrincea/

La Newco di Marchionne:La nuova forma impresa nell’epoca della competizione globale.

Bisogna riconoscere a Marchionne e a tutta la direzione della Fiat di avvalersi di sapienti opinion maker dell’informazione che conoscono a menadito il mondo dell’informazione globalizzata….e deviante!

Tutta la gestione pubblica dell’intera querelle del recente caso/Fiat è contrassegnata da un abile gestione delle notizie (..e delle possibili reazioni) la quale è attenta alla necessaria diluizione ed edulcorazione delle varie polpette avvelenate che stanno sconvolgendo, non solo il gruppo automobilistico, ma l’intero panorama politico, economico e sociale. La stessa prassi dei vari incontri istituzionali e con i vertici dei sindacati collaborazionisti che si stanno stancamente svolgendo è solo una ipocrita formalità la quale non incide, in alcun modo, sulla vera sostanza delle decisioni della Fiat e sugli obiettivi antioperai di questa fase.

Anzi queste riunioni, come quella svolta mercoledì 28 Luglio a Torino, servono a sancire – di fatto – la volontà padronale anche utilizzando la totale subalternità dei sindacati collaborazionisti e il balbettio di una Cgil la quale appare come un pugile suonato. Una vera e propria indicazione di linea di condotta che la Fiat indica all’insieme dei padroni e delle forze che afferiscono al capitalismo tricolore.

Da tempo, almeno dai mesi degli accordi con la Chrysler e con la General Motors, Marchionne ha deciso di effettuare un poderoso passaggio ristrutturativo il quale coinvolge non solo la struttura tecnica e produttiva degli stabilimenti, nel quadro della guerra internazionale dell’auto, ma permea pesantemente il complesso delle relazioni sindacali.

Questa volta il manager della Fiat punta alla determinazione di una nuova e più sofisticata soglia di comando politico sulla forza lavoro con il dichiarato obiettivo di svalorizzarla al massimo livello possibile. Un combinato disposto autoritario tra accresciute esigenze di produttività e di competitività accompagnato da una condizione di passivizzazione e di inanità dei lavoratori verso qualsivoglia rivendicazione salariale e normativa.

E’ evidente anche a borghesi illuminati, come Eugenio Scalfari, che con la NewCo a Pomigliano d’Arco – assieme all’imposizione di un complesso di regole e limitazioni in tutti gli stabilimenti del gruppo, in Italia e non solo - la Fiat vuole assicurarsi quei margini necessari per far lievitare le sue prestazioni nell’ambito dell’accentuata competizione nel mercato mondiale. Un mercato il quale – al di là degli exploit di questo o quel marchio o considerando, anche, i possibili aumenti di vendite nei paesi asiatici (Cina ed India in primis..) – è destinato ad una prossima saturazione.

Si tratta – dunque – di una battaglia a tutto campo sul proscenio internazionale che la Fiat intende condurre calpestando, alla bisogna, ogni formalismo giuridico che possa richiamare la vigenza del vecchio compromesso sociale capitale/lavoro frutto di una fase politica oramai collocata alle nostre spalle.

Alla luce di questo tipo di condizione oggettiva l’onere di una adeguata opposizione alla Fiat non può ricadere sui compagni e sui lavoratori di Pomigliano d’Arco o su quelli dell’intero gruppo Fiat. La partita in atto chiama ben altri coefficienti politici e materiali.

Lo scontro che si approssima – anzi che è già iniziato – sollecita una presa di parola e una conseguente pratica conflittuale che attiene all’insieme dei segmenti del vecchio e del nuovo proletariato poiché gli effetti concreti saranno avvertiti, sia pure con accentuazioni differenziate, nelle fabbriche, nei posti di lavoro, nell’insieme del mercato del lavoro e nella totalità della società.

A poco serviranno i balbettii critici verso solo quello o quel particolare aspetto marcatamente più odioso del progetto della Fiat e a poco serviranno le opposizioni blande che non mettono in discussione il complesso delle politiche di compatibilità capitalistiche e di accettazione dei superiori interessi dell’Azienda/Italia.

Non è più tempo di posizioni aventiniane come quella della Fiom che in occasione del Referendum dello scorso 22 Giugno a Pomigliano scelse di non schierarsi pubblicamente per il NO lasciando al solo Sindacalismo di Base il peso politico e organizzativo di una battaglia impari contro un vasto ed articolato schieramento antioperaio.

Ma – soprattutto – è tramontata la fase in cui la Cgil poteva consentirsi di alzare, demagogicamente, la voce ai tavoli di trattativa romani e poi, sul piano aziendale e territoriale, firmare, avallare e cogestire le peggiori schifezze ai danni dei lavoratori e dei restanti elementi di unità politica e materiale della classe.

Il procedere delle dinamiche della crisi capitalistica, ben più di ogni alchimia politicista, si sta incaricando di far decantare le posizioni ambigue verso una coerente opposizione di classe che dovrà iniziare ad enuclearsi dopo la catastrofe (teorica, politica, elettorale ed organizzativa) di una “sinistra” ammaliata dalle sirene del pensiero unico del capitale.

Tale percorso non si delineerà – purtroppo - con modalità lineari o per semplice e progressivo accumulo di forze sociali e disponibili al conflitto. Troppe sono state le lacerazioni e le modificazioni della composizione di classe e dei valori identitari che hanno segnato il periodo fordista dell’accumulazione capitalistica. Per cui non sarà possibile rieditare, tale e quale, forme, metodi e comportamenti del passato ciclo di lotte operaie e popolari.

Un dato – però – resta, per quanto ci riguarda, indiscutibile e non per vezzo, presuntamente, ideologico: senza l’ancoraggio ad un programma ed una organizzazione autonoma ed indipendente non si svilupperà nessuna probabile controffensiva sociale in grado di impattare con la determinazione e, soprattutto, con la nuova qualità dell’agire capitalistico!

LA CLASSE OPERAIA

Ecco i soci fondatori del Forum nucleare italiano


Nei giorni scorsi è stato costituito il Forum nucleare italiano, un’associazione cosiddetta no profit per promuovere l’energia dell’atomo in Italia.

Il suo presidente è Chicco Testa, un tempo presidente di Legambiente.

Tra i soci fondatori troviamo: Alstom Power, Ansaldo Nucleare (gruppo Finmeccanica), Areva, Confindustria, E.ON, Enel, Federprogetti, Flaei-Cisl, GDF Suez, Politecnico di Milano, Università la Sapienza di Roma, Sogin, Stratinvest Energy, Technit, Technip, Tecnimont, Tern, Uilcem, Università di Genova, Università di Palermo, Università di Pisa, Westinghouse.

Segnaliamo inoltre che BNL, Unicredit e Banca Intesa San Paolo hanno investito, tra il 2000 e il 2009, oltre 92 miliardi di euro nel nucleare.

La politica di classe dell'Europa: un assegno in bianco per le banche, austerità per i lavoratori

E' per pagare per il salvataggio bancario dello scorso anno e per preparare altre operazioni di soccorso a venire che Trichet chiede misure di austerità dirette contro la classe lavoratrice. In questo, articola la politica di guerra di classe della classe capitalista internazionale.

31 luglio 2010
La stessa settimana in cui i funzionari europei hanno annunciato i risultati degli stress test delle banche intesi a dare ai banchieri luce verde per continuare le loro abitudini speculative, il presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Jean-Claude Trichet ha pubblicato una colonna sul Financial Times (22 luglio) argomentando a favore della fine dei programmi di stimolo economico e per l'imposizione rigorosa di misure di austerità in tutta Europa.

In un articolo intitolato "Non più incentivi—Per tutti ora è tempo di stringere", Trichet ha scritto che seguente al collasso finanziario del settembre 2008, il mondo è stato appena in grado di evitare un "tracollo finanziario ed una seconda Grande Depressione", ma ad un alto prezzo. Secondo il calcoli della BCE, "il volume dei rischi del contribuente stanziati per sostenere la sfera finanziaria ... è stato tanto elevato quanto il 27% del prodotto interno lordo". Trichet ha osservato che una percentuale simile del PIL è stata messa a disposizione del sistema bancario dall'altra parte dell'Atlantico.

Per i contribuenti europei il costo totale del salvataggio delle banche nel 2008-2009, ha scritto Trichet, è ammontato a più di €4 trilioni (4.000 miliardi di euro n.d.r.), con una somma paragonabile messa a disposizione delle banche USA.

I governi per tutta Europa e, per implicazione, negli USA ed a livello internazionale, hanno dovuto, ha dichiarato Trichet, "confermare la loro determinazione a consolidare le finanze pubbliche", cioè, persistere nel portare avanti programmi di austerità che distruggeranno i programmi sociali e condanneranno milioni di persone alla disoccupazione ed alla povertà.

Le osservazioni di Trichet hanno seguito la decisione del gruppo dei paesi del G20 in giugno di passare ad una politica di tagli di bilancio coordinata. Seguendo il pacchetto di emergenza di salvataggio dell'euro di €750 miliardi concordato in maggio, i governi europei hanno già cominciato ad implementare dei pacchetti di austerità senza precedenti attraverso il continente.

Secondo un commentatore economico di un canale TV economico francese, la crisi del debito greco ha spinto i governi europei a fare di più per ridurre la spesa sociale nelle 10 settimane passate di quello che hanno fatto nei 10 anni passati. Trichet sta chiedendo che questo smantellamento dello stato sociale europeo sia accelerato ed ampliato.

Allo scopo di assicurarsi che i governi europei "consolidino le loro finanze pubbliche", l'Unione Europea, assieme al Fondo Monetario Internazionale, sta preparando delle misure punitive da utilizzare contro i paesi che manchino di tagliare la spesa abbastanza rapidamente. I commissari della UE chiedono il diritto di ispezionare i bilanci nazionali e di emanare sanzioni contro gli stati che non si conformano alle loro richieste.

Commentando sulla necessità di misure simili nel caso dell'Ungheria, il commissario della politica economica e monetaria europea Olli Rehn recentemente ha dichiarato: "Dobbiamo affilare i nostri artigli".

La UE e la Banca Centrale Europea assumono un atteggiamento molto diverso verso le banche che hanno in primo luogo scatenato la crisi.

Gli stress test delle banche europee pubblicati la scorsa settimana erano tutto eccetto che "stressati". Intrapresi in gran parte a causa della pressione degli investitori USA e asiatici e dei loro rispettivi governi, i test sono stati un esercizio di "incremento di fiducia" dettato dalle banche stesse per ammutolire i nervosi mercati monetari e per stabilizzare l'euro.

Secondo la rivista economica Money Week: “Naturalmente, gli stress test delle banche europee sono stati un'imbiancata. Si doveva essere particolarmente ingenui per aspettarsi qualcos'altro... per esprimersi francamente. I regolatori dell'Europa non hanno nemmeno tentato di fingere che fosse un'esercitazione seria. Su 91 banche, soltanto 7 sono andate male. Ed erano quelle che sapevamo già essere nei guai".

Prima dei test, Der Spiegel ha riportato che alle 14 banche tedesche che venivano esaminate era stato fatto sapere che avevano "poco da temere perché i criteri per le prove erano stati annacquati in febbrili negoziati tra la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea ed i supervisori del sistema bancario europeo".

Seguente alla pubblicazione degli stress test è stato rivelato che 6 delle 14 banche tedesche hanno opposto resistenza ai parametri delle prove e negato informazioni sui loro pacchetti di debito sovrano. L'omissione da parte di queste banche di pubblicare le cifre indica che continuano a tenere nei loro libri contabili grandi quantità di debiti tossici.

Gli stress test gettano luce sull'avvertimento di Trichet nel suo commento sul Financial Times di "una futura catastrofe economica". Trichet è ben consapevole che molte banche europee rimangono gravate da un enorme ammontare di crediti inesigibili. Questo è combinato con il massiccio indebitamento di diverse economie europee sofferenti. Una rinnovata crisi bancaria nel caso di un default sui pagamenti dei crediti da parte di un paese sovrano o di un'altra grande istituzione finanziaria è del tutto possibile.

E' per pagare per il salvataggio bancario dello scorso anno e per preparare altre operazioni di soccorso a venire che Trichet chiede misure di austerità dirette contro la classe lavoratrice. In questo, articola la politica di guerra di classe della classe capitalista internazionale.

La crisi economica globale è la forma nella quale sta avendo luogo un fondamentale riordino delle relazioni sociali, mirato a cancellare le conquiste economiche del passato della classe lavoratrice ed a ridurre i salari e le condizioni dei lavoratori nei centri capitalisti più vecchi a quelli dei lavoratori impoveriti e brutalmente sfruttati in Asia ed in America Latina.

In risposta ai diktat del capitale finanziario, i governi per tutta Europa, in Nord America, Giappone ed Australia stanno cercando di imporre tagli storici agli standard di vita della classe lavoratrice. Essi e le elite dominanti i cui interessi servono contano per farlo sull'assistenza della burocrazia sindacale.

In paese dopo paese—Grecia, Spagna, Portogallo—i sindacati operano per dissolvere l'opposizione della classe lavoratrice limitandola a scioperi di un giorno e proteste simbolici, mentre appoggiano i governi che stanno attuando i tagli. In giugno, il segretario generale della Confederazione Sindacale Europea, John Monks, ha dichiarato il suo completo accordo con i piani UE-FMI per l'austerità in Grecia.

Vi è una crescente opposizione popolare a questi attacchi. Ma la classe lavoratrice richiede il proprio programma di classe e la propria strategia da contrapporre all'agenda di guerra di classe della borghesia.

Devono essere costituite delle nuove organizzazioni dei lavoratori, come comitati di fabbrica, in opposizione ai sindacati per attuare azioni industriali in difesa di posti di lavoro, salari e bisogni sociali fondamentali. Soprattutto, la resistenza della classe lavoratrice deve essere guidata da una nuova prospettiva politica rivoluzionaria, basata sull'unità internazionale dei lavoratori nella lotta per il potere dei lavoratori ed il socialismo.

Stefan Steinberg

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