mercoledì 7 luglio 2010

La drammatica situazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane


Al-Bayader
‘Abd Al-Nasser Farawna è un ex detenuto e oggi è direttore del dipartimento di Statistica dell’Autorità nazionale palestinese (Anp).
Il 24 giugno ha partecipato a Gaza alla conferenza “La situazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane" promossa dall’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e da enti locali.
Farawna ha portato la testimonianza della propria esperienza nelle prigioni israeliane e ha presentato alla stampa i contenuti dell’incontro.
“La tortura praticata nelle prigioni israeliane non mira solo all’abbattimento psico-fisico del detenuto ma soprattutto alla distruzione dei sentimenti nazionali. La tortura è resa possibile per mezzo di un sistema di procedure e leggi arbitrarie. Nelle prigioni israeliane, tutti fanno parte di questo sistema: medici e infermieri, guardie carcerarie e sicurezza”.
Nel 1987 la Corte Suprema israeliana approvò l’uso della tortura nelle prigioni con la formula: adozione di ‘pressioni psicologiche e pressioni fisiche moderate’.
Si trattava della Commissione Landau con cui Israele gettò le basi legali per autorizzare la tortura sui prigionieri e – soprattutto – per proteggere i suoi ufficiali e servizi di sicurezza dalla giustizia.

“Israele pratica la tortura con metodo e coerenza, in ogni fase della detenzione - aggiunge Farawna -, a partire dall’arresto e le umiliazioni a cui i nostri familiari sono sottoposti quando vengono a visitarci, rientrano in questa politica. Si tratta infatti di misure che mirano a provocare crolli psicologici e a seminare rabbia e frustrazioni tra i detenuti palestinesi”.
E’ un sistema politico studiato e approvato dal governo di Israele e nel quale tutti sono coinvolti: gli abusi e i maltrattamenti a cui vengono sottoposti i prigionieri non sono casuali.

I detenuti palestinesi sofferenti e/o malati che vengono condotti in ospedale, per cure urgenti o interventi, vengono legati mani e piedi ai letti per tutto il periodo del ricovero.
“Perché questo sia tollerato, è necessaria la complicità del personale medico”.

2010 - Cifre aggiornate su detenuti e prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane

E’ sempre Farawana a fornire le cifre aggiornate delle presenze e delle categorie di detenuti nelle prigioni israeliane.
I prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane sono 6800, tra cui 300 minori, 34 donne e 231 in detenzione amministrativa (estendibile ad oltranza).

Sette, provenienti dalla Striscia di Gaza sono sottoposti alla’ Legge sui Combattenti Illegali’ ed 11 sono i deputati palestinesi rapiti da Israele.

309 sono nelle carceri israeliane dal periodo precedente Oslo (da intendersi con il primo accordo siglato nel 1993, conosciuto come Dichiarazione dei Principi per il muto riconoscimento tra le parti).

117 palestinesi sono detenuti da Israele da oltre venti anni e 19 da oltre un quarto di secolo.

Segue la lista di quest’ultimo gruppo di detenuti palestinesi con le date dell'arresto:

Na’el Al-Barghouthi (Ramallah) 04-04-1978; Fakhri Al-Barghouthi(Ramallah) 23-06-1978; Akram Mansou (Qalqiliya) 02-08-1978; Fawwad Al-Razem (Al Quds/Gerusalemme) 30-01-1979; Ibrahim Jaber (Al-Khalil) 08-01-1981; Hassan Salme (Ramallah) 08-08-1982; Othman Musleh (Salfit) 15-10-1982; Samir, Karim e Maher Younes (aree della Palestina occupata nel 1948) gennaio 1983; Salim Al-Kayyal (Jaffa) 30-05-1983; Hafez Qandas (Betlemme) 15-05-1984; ‘Eissa ‘Abd Rabbo (Ramallah) 20-10-1984; Ahmed Farid Shahade (Ramalahh) 16-02-1985; Mohammed Nasser (Ramallah) 11-05-1985; Rafae’ Karaje (Ramallah) 20-05-1985; Talal Abu Al-Kabash (Al-Khalil) 23-06-1985; Moustafa Eghnimat (Al-Khail) 27-06-1985; Ziyad Eghnimat (Al-Khalil) 27-06-1985.

Na’el e Fakhri Al-Barghouti e Akram Mansour sono in prigione da oltre trenta anni.

Farawne ha concluso invitando tutti coloro che lavorano nel campo dei diritti umani a coordinarsi per la liberazione dei detenuti palestinesi e per creare delle alternative pratiche in soccorso alle vittime palestinesi della tortura israeliana.

“Lo stato del soggetto che subisce pratiche di tortura non può trovare una riabilitazione valida esclusivamente attraverso servizi di base che le due autorità palestinesi (Cisgiordania e Gaza) forniscono, ma va monitorato e denunciato nel loro stesso corso. Perché una volta liberato, chi subisce la tortura, può facilmente essere vittima di risentimenti popolari, ostracismo, diffidenza ed esclusione sociale”.

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