domenica 30 maggio 2010

Una lapide per Alceste Campanile

A 35 anni dall'omicidio Campanile, Reggio non ha una targa per ricordare il militante di Lc ucciso dai fascisti. La campagna di Liberazione per un gesto di memoria.
Checchino Antonini

Era la notte del 12 giugno '75 quando, nella campagna solcata dalla provinciale Montecchio-S.Ilario, venne ritrovato il corpo di Alceste Campanile. Ventuno anni e una voce bellissima, insegna chi s'è preoccupato di salvaguardarne la memoria: Sergio Sinigaglia, marchigiano, all'epoca in Lotta continua. Proprio come Campanile che l'aveva ammazzato una calibro 7,65. Sinigaglia ne scrive sul sito reti-invisibili, inventato da Haidi Giuliani quando pensò di tirare un filo tra i comitati di verità e giustizia e animato dall'infaticabile "Baro" Barilli, mediattivista artefice di più d'una incursione su Liberazione. Inutile cercare tracce a Reggio Emilia, la città di Alceste, perché mai nessuno ha posto una targa per lui. Eppure questo militante che sapeva suonare benissimo la chitarra è l'ultimo martire reggiano dell'antifascismo, trent'anni dopo la guerra e quindici dalla strage di piazza della Vittoria che fece cinque vittime.
Perché in tutta Reggio non c'è una lapide, un monumento, una via o anche solo un albero che ricordi Alceste Campanile? La domanda ha preso a risuonare in città da pochi giorni, da quando è stato presentato «La primula nera» scritto da Giovanni Vignali dedicato alla carriera criminale di Paolo Bellini e ai misteri d'Italia. Il giornale cittadino ha lanciato un sondaggio tra i lettori e il municipio ha fatto sapere di non aver nulla in contrario purché sia la società civile a domandarlo. Liberazione vuole essere una di quelle voci.
E vuole continuare a raccontare quella storia. Era, pure allora, un tempo di violenze e agguati neofascisti, ma l'inchiesta prenderà una strana piega. «Infatti gli inquirenti iniziano a interrogare i compagni di Alceste e perquisiscono numerose abitazioni di militanti di Lc», scrive ancora Sinigaglia, autore - con Barilli - di "La piuma e la montagna". Spunta un biglietto con un numero telefonico di Napoli, chi indaga detta ai cronisti fedeli che si tratta di un recapito di un noto esponente dei Nap, Nuclei Armati Proletari, una formazione clandestina fondata da fuoriusciti di Lc. Se avessero chiamato, invece, avrebbe risposto Goffredo Fofi, noto intellettuale e animatore della "mensa dei bambini proletari", esperienza che Alceste voleva conoscere. Vittorio Campanile, padre di Alceste era un uomo di destra e sostiene la pista rossa e una forsennata campagna contro gli amici e le amiche del figlio. Solo trent'anni dopo la confessione di Paolo Bellini squadrista di allora. Nel frattempo gli inquirenti avevano tentato perfino un collegamento con lo sciagurato sequestro dell'ingegnere Carlo Saronio, conclusosi tragicamente, attuato da un ex di Potere Operaio, Carlo Fioroni, in combutta con la mala milanese. Nel teorema Alceste, amico del presunto autonomo e basista per il riciclo del riscatto, avrebbe visto ciò che non doveva e sarebbe stato eliminato. I suoi compagni, fin da quel 12 giugno, avevano visto giusto: gli assassini erano fascisti. Bellini, reoconfesso, verrà premiato: la sua collaborazione declassa l'accusa da "omicidio premeditato" a "semplice". L'happy ending, solo per lui, è la prescrizione.

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