mercoledì 9 giugno 2010

L’Italia e l’Europa avviate sulla strada della distruzione dello stato sociale.

Tutta la vicenda dell’aumento dell’età pensionabile delle donne e del rapporto tra l’Europa e il governo italiano è grottesca oltre che gravissima. Si vuole far passare per forza l’aumento dell’età pensionabile per le donne –accelerato dalla manovra - a dispetto di ogni coerenza di ragionamento, a dispetto di ogni logica.

Tutto è iniziato con la procedura aperta contro l’Italia, motivata in sede europea dalla necessità di contrastare ogni politica discriminatoria: in particolare di non discriminare le donne, obbligandole ad andare in pensione anticipatamente e dunque con pensioni più basse. Ai rilievi avanzati in sede europea, i diversi governi in carica, tutti a guida di Silvio Berlusconi non hanno risposto, come accaduto nel 2005, oppure hanno risposto in maniera omissiva. Non si è cioè fatto valere il dato di fatto elementare che le donne nel nostro paese non sono obbligate ad andare in pensione anticipatamente, ma possono farlo se lo scelgono, come disposto dalla legge 903 del 1977 e che dunque non si tratta di discriminazione, ma di una possibilità, di un’ opportunità positiva. Esiste inoltre una direttiva dell’Unione Europea, la 79/7 del 1978 che intervenendo sull’obbligo di rimuovere ogni discriminazione, lascia salva la possibilità per gli stati di fissare età pensionabili diversi tra i sessi. Ma i governi italiani non sono riusciti, o non hanno voluto dimostrare, che a quella direttiva ci si doveva riferire. In questo modo, e cavillando sulla differenza tra settori in cui lo stato è datore di lavoro diretto e quelli in cui non lo è, si è arrivati alla sentenza della Corte di Giustizia Europea. In sostanza Berlusconi che dovrebbe rispondere politicamente del comportamento tenuto dai diversi governi di cui è stato a capo, ora può farsi scudo dell’Europa. E l’Europa che ha deciso oggi la linea della distruzione dello stato sociale, può farsi scudo del comportamento dei governi Berlusconi. Non si comprenderebbe altrimenti perché tutta la vicenda assuma questa rilevanza, anche a fronte del fatto che come ricordava giustamente qualche giorno fa la segretaria della Funzione Pubblica Cgil Rossana Dettori, l’Italia negli ultimi due anni è stata soggetta a oltre 150 procedure di infrazione, di cui più di 60 ancora in corso. In questa morsa finisce stritolata la sostanza di ogni equità. La manovra del governo, che ora dovrebbe decidere l’accelerazione dell’allungamento dell’età pensionabile per le donne del pubblico impiego dal 2018 al 2012, è un manifesto contro le donne. Lo è con i “risparmi” sulle pensioni in buona parte derivanti dal posticipo delle pensioni di vecchiaia, che colpirà soprattutto le donne cioè quelle che più accedono al trattamento di vecchiaia, non riuscendo a raggiungere i requisiti contributivi per l’anzianità. Lo è con i tagli alla scuola e al pubblico impiego. Lo è con i tagli pesantissimi alle regioni e agli enti locali. Le donne, la cui vita in Italia, è segnata in maniera particolarmente grave da un’insieme di fattori negativi, tanto materiali quanto culturali e simbolici. In un paese che è tra gli ultimi in Europa per occupazione femminile con meno di una donne su due che lavora, con differenziali di carriera e retributivi medi intorno al 20%. Le donne su cui si scarica il peso del lavoro domestico e di cura – più di 5 ore di media al giorno contro un’ora e mezzo degli uomini - anche in ragione di uno stato sociale sottofinanziato, altra faccia della medaglia del primato italiano di evasione fiscale.

La scelta che i paesi europei e l’Italia stanno compiendo, di politiche iper- restrittive avviterà l’economia del continente in una spirale recessiva sempre più grave. I tagli non serviranno per ridurre l’indebitamento, ma distruggeranno quel che resta del welfare europeo: i sistemi pensionistici, sanitari, formativi. Di questo si tratta. E con questo, dell’imbarbarimento complessivo della società, della qualità della vita delle donne, della qualità delle relazioni tra donne e uomini. Ed anche della democrazia, che non potrà sopravvivere, come l’abbiamo conosciuta ad un processo di gerarchizzazione sociale sempre più feroce. Ribellarsi è giusto.

Roberta Fantozzi

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