mercoledì 23 giugno 2010

Pomigliano: l'accordo Fiat vince ma non convince

Alla fine il plebiscito, tanto agognato da parte padronale, proprio non c'è stato. Il sì - come si sapeva - ha vinto ma le percentuali sono ben lontane dal consenso bulgaro in cui confidavano Marchionne & c., desiderosi di portare a casa il risultato, vincendo la battaglia persa a Melfi nel 2002 e proporsi quindi come modello vincente per le relazioni industriali  del paese per i prossimi anni.Votano a favore dell'accordo-ricatto solo il 62% dei lavoratori aventi diritto al voto. Un minoritario -ma solido e ben piantato No!- schizza oltre il 35 %. I numeri sarebbero invero ulteriormente sbilanciati verso il No se si prendesse in considerazione il solo voto operaio, dove ben oltre il 50% ha votato per il No. Come sempre accade, in questi casi, si riscoprono le virtù democratiche del voto allargato a quadri  e impiegati, che, non toccati dai massacranti turni e ritmi imposti dal nuovo accordo, accorrono a prestare il loro prezioso voto pro-domine(Quanti di loro erano alla fallita marcia dei '5000' di sabato?)Un No pesant.e quello di Pomigliano, destinato a far sentire la propria voce nella partita anche oltre l'incontro di oggi, preoccupato vertice indetto d'urgenza al Lingotto da dove Marchionne fa sapere che comunque andranno "avanti con chi ha firmato". Fin dalle prime ore del giorno l'Ad Fiat non nasconde il proprio nervosismo e dice a chiare lettere di aver paura dell'ingovernabilità delle fabbriche, laddove sarà difficile far passare ed applicare un accordo che una minoranza consapevole potrà sabotare dall'interno. I cortigiani Bonanni e Angeletti trattengono a stento il fastidio. Ribadiscono che per loro è tutto Ok, che la vittoria è netta ma intanto trapela, nervosa, la preoccupazione: "non scherziamo!" mandano a dire ad un Marchionne che sa che i conti dovrà comunque anche farli con la Fiom, messa in un angolo ma non ancora del tutto inefficace.Il sindacato metalmeccancio, con questi numeri, si dice disposto ad una trattativa, previa ovviamente una ridiscussione generale dei contenuti dell'accordo.Intorno, come sempre, stanno tutti a guardare, preoccupati dall'inceppamento di un passaggio di soglia che vedeva tutti d'accordo, nelle alte sfere del potere politico ed economico e nel sottostante livello di servizio cortigiano dell'intellettualità giornalistica e dei "tecnici". Su tutte, hanno brillato in questi giorni le posizioni di un Tremonti che prefigura un futuro di relazioni industriali lisce, senza le increspature dell'onnipresente conflitto tra Capitale e Lavoro ("roba vecchia, che deve essere sorpassata!") e un Gianni Riotta che pretenderebbe un adeguamento italiano allo standard world system dello sfruttamento della classe operaia globale.La retorica dei governanti e dei loro lacché è arrivata anche così lontana da sostenere che -dentro la logica neo-liberista inattaccabile del There Is No Alternative per cui: o Pomigliano più sfruttata o trasferimento in Polonia (ricatto su cui s'è fatto forza Marchionne)- chi avesse optato per la bocciatura dell'accordo avrebbe nei fatti votato per la Camorra... Stessa insinuante ed insultante retorica messa in atto (senza successo) contro i movimenti campani del 2007/2008 contro il Piano Rifiuti (a proposito, cos'ha da dire Saviano su tutto questo?).A chiudere il cerchio, le battute dei talebani del Capitale: la Marcegaglia-panzer di Confindustria: "Supportiamo e apprezziamo la posizione della Fiat e siamo soddisfatti che decida di andare avanti con i lavoratori e i sindacati che condividono quelle scelte. Ribadiamo ancora una volta che c'é un sindacato che non comprende le sfide che abbiamo davanti"; e il nano di governo che tanto ama circondarsi di ballerine, il ministro Brunetta che chiosa: 'Si gioca una partita che va al di la' di Pomigliano'. Appunto! L'hanno capito anche i lavoratori, e non solo quelli di Pomigliano, abituati a misurare sulla propria pelle i "sacrifici" che altri livelli chiedono/impongono. Tante sono state le manifestazioni di solidarietà e vicinanza ai/lle pomiglianesi, dalla Polonia in cui si vuole tutto trasferire alla Piaggio toscana, dalle rsu di altri comparti lavorativi ai colleghi degli altri stabilimenti sparsi nel paese.Certo il risultato non cambia, qui ed ora, le condizioni di quei lavoratori ma intanto mette un bel bastone fra le ruote ad un padronato nazionale quanto mai aggressivo, abituato ad alternare paroloni e minacce, chiedendo unità nazionale e sacrifici mentre continua però a sfruttare il divario strutturale tra Nord e Sud per imporre il proprio comando dividi et impera su masse di lavoratori sfruttati e territori abbandonati al proprio destino.

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