venerdì 27 agosto 2010

Bologna: i detenuti vogliono lavorare, ma il Dap taglia i fondi

Redattore Sociale, 27 agosto 2010
Solo 1 su 5 tra i detenuti ammessi al lavoro è impiegato in un’attività. Colpa del sovraffollamento. Ma anche dei tagli: Desi Bruno segnala, infatti, che le risorse disponibili sono ulteriormente diminuite rispetto alla fine del 2009.
“Non ho dati precisi, ma la Direzione della Casa circondariale della Dozza segnala un ulteriore taglio, oltre a quello avvenuto a fine 2009, nel capitolo di bilancio relativo al lavoro in carcere”. Desi Bruno, garante dei diritti dei detenuti in carica fino al 31 agosto, pubblica i dati sulla popolazione carceraria bolognese e si sofferma in particolare sul tema “lavoro” che, afferma, “da diritto per vivere la detenzione in modo dignitoso e dare un contributo alla collettività, è sempre più spesso una mera concessione”.
Oltre a essere necessario per una popolazione carceraria poverissima, il lavoro è un aspetto fondamentale del trattamento previsto dalla normativa penitenziaria. A Bologna, però, su una popolazione totale di 1.126 detenuti (per una capienza di 483) circa la metà (557) sono iscritti nelle liste del lavoro (407 generici e 150 qualificati), ma di questi solo 111 lavorano (45 come addetti alle pulizie e 66 in lavori che richiedono una qualifica, come il barbiere o il cuoco). Le cause? Secondo la garante, “il sovraffollamento e la mancanza di fondi”.
La Dozza è tra i carceri più sovraffollati del Paese: in celle di 10 mq di superficie sono rinchiusi 2 o anche 3 detenuti con il conseguente peggioramento delle condizioni di vita e privacy e l’insorgere di problematiche di carattere igienico. Da segnalare, inoltre, l’elevata percentuale di detenuti stranieri (63%) e di tossicodipendenti (25-30%) che, sottolinea la garante, “dovrebbero trovare collocazione in strutture di recupero o essere sottoposti a programmi di cura”. Altro dato importante: è aumentato il numero delle persone con condanna definitiva (oltre 500) rispetto a quelle in custodia cautelare.
Come già segnalato con un comunicato dello scorso 25 agosto in cui definiva “inutile” il disegno di legge del ministro Alfano sull’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a 1 anno, il garante torna a parlare di misure alternative. Secondo la garante, alla Dozza oltre la metà delle persone con sentenza definitiva sono nei termini per essere ammessi a tali misure, avendo una pena da scontare, anche come residuo di una condanna maggiore, inferiore a tre anni. “Le ragioni della scarsa concessione di queste misure da parte del Tribunale di sorveglianza – afferma Desi Bruno – sono da ricercare in una legislazione sempre più restrittiva”.
Un utilizzo puntuale delle misure alternative alla detenzione e la riduzione del ricorso alla custodia cautelare in carcere (prevista come extrema ratio dal nostro sistema) sono le misure che il garante indica come necessarie per ridurre nell’immediato i numeri del sovraffollamento. “A queste misure – conclude – deve aggiungersi l’adozione di politiche di contingentamento degli ingressi presso la locale Casa circondariale in un’ottica di contenimento delle presenze”.

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