venerdì 12 marzo 2010

Processo sui fatti di Pistoia, la quarta udienza

Lunedì 8 marzo si è svolta la quarta udienza del processo sui fatti dell’11 ottobre a Pistoia. Arrivati a questo punto continuare a raccontare le vicende processuali, diventa quasi un’impresa. Gli elementi sui quali l’accusa ha basato il suo teorema sono caduti dopo la farsa dei riconoscimenti e le testimonianze contraddittorie e inefficaci dei pizzaioli Lucarelli e Romondia, “amici” di Casapound.
Al contrario tutti gli accusati hanno risposto con ferma decisione alle domande senza mai dimostrare nessuna difficoltà o cedimento, ripercorrendo lucidamente i loro movimenti nella giornata passata a Pistoia.
Durante la giornata abbiamo assistito a un soporifera indagine di situazioni note e stranote, a tal punto che il massimo che il PM è riuscito a fare è costruire le sue domande invertendo “soggetto e predicato” e ponendo attenzione sugli “avverbi”, mentre l’avvocato dell’accusa ha proprio smesso di intervenire, limitandosi a ripetere ritualmente di non avere “nessuna domanda per il test”.

La vera “devastazione e saccheggio” (quella dell’accusa tra l’altro già caduta dopo le prime udienza) è quella rivolta alle vite di chi ancora subisce ingiustificate misure cautelari, quella verso i familiari e gli amici che sostengono questa inutile agonia. Le uniche note meritevole di attenzioni contengono elementi a favore della difesa. È emerso da più testimonianze un fatto di cui già si era sentito parlare ma al quale è stata finalmente data rilevanza formale nel processo. Nella notte passata in Questura, mentre ancora molti degli accusati attendevano di conoscere i motivi del fermo, una ragazza, scambiata inizialmente per una giornalista, annotava l’abbigliamento dei presenti. Una volta interrogata sul suo ruolo ha ammesso di essere la ragazza di Alessandro Tomasi, il consigliere comunale di Alleanza Nazionale. Un particolare che getta ancora più ombre sulle operazioni di riconoscimento avvenute quella notte nella Questura di Pistoia e più in generale sul teorema costruito attorno a persone che da sempre si sono dichiarate estranee ai fatti e dall’inizio del processo non hanno ancora visto l’affermarsi di una prova a sfavore che possa giustificare ciò che stanno affrontando.
Altro particolare rilevante è che, dall’analisi dei corpi del delitto, cioè delle armi che, presumibilmente sarebbero state utilizzate durante l’aggressione, è stato rilevato che l’asta da 75 cm trovata nella macchina di uno degli imputati livornesi, non può essere considerata una prova, poiché non è presente nelle foto scattate dalla polizia all' interno dell’automobile e non si tratta certo di un oggetto facilmente occultabile sotto un sedile lungo circa 35 cm. Inoltre, nessuno degli imputati ha più potuto avvicinarsi alla vettura, poiché sono stati tutti trasportati subito in questura e non hanno più avuto la possibilità di uscire.

È stata ascoltata anche la testimonianza dell’unico minorenne imputato dei fatti, esponente del CSA della città di Prato. Nonostante la giovane età, il testimone non si è mai dimostrato intimorito o imbarazzato dalle circostanze e la sua esposizione è sempre stata chiara e precisa. Preferiremmo che imputati così giovani non fossero costretti a partecipare a procedimenti giudiziari di questa entità: un ragazzo minorenne, totalmente estraneo ai fatti di cui è accusato, non dovrebbe essere interrogato non solo di fronte al tribunale minorile, ma anche in un processo di questo tipo.

Le contraddizioni e i “buchi neri” di questo processo sono state evidenziate nell’intervento di Alessandro Dalla Malva. Il segretario dei CARC, alle ripetute richieste del PM di indicare i motivi secondo i quali si trovasse in stato di arresto se non fosse effettivamente fra i partecipanti all’irruzione, ha esplicitamente detto che non sta a lui spiegare le motivazioni, quanto, se in caso, al pubblico ministero stesso. La risposta dell’imputato ha riscosso il consenso di tutto il pubblico presente in aula, che ha sottolineato la propria approvazione con un applauso liberatorio. Dopo l’interrogatorio sui fatti, l’imputato ha richiesto di leggere una dichiarazione spontanea nella quale, oltre a ribadire la propria innocenza, ha esposto le proprie sensazioni e impressioni sullo svolgimento delle indagini e sull’applicazione delle misure cautelari, (per sé e per tutti gli altri imputati): sanzioni pesantissime applicate a persone incensurate che fanno pensare a un più ampio disegno messo in moto contro gli imputati.

In questo processo si sta stravolgendo la giurisprudenza: il principio per cui ogni imputato parte con la presunzione di innocenza è stato abbandonato. Sembra che sia la difesa a doversi giustificare, provando la propria innocenza, e non l'accusa a dover provare la colpevolezza degli imputati. In mancanza di elementi concreti, gli imputati sono inoltre costretti a dover sottostare alle lungaggini del sistema giudiziario, che intende apparentemente già il processo come strumento di punizione e repressione.
senzasoste

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