venerdì 26 marzo 2010

Giustizia: Giuseppe denunciato da morto, incredibile ma vero

Il Fatto Quotidiano
Una denuncia post mortem. Incredibile, ma vero. Emerge anche questo nel caso di Giuseppe Uva, il 43enne artigiano di Varese deceduto il 14 giugno 2008 nel reparto di psichiatria dell’ospedale. Morte ufficialmente attribuita all’uso spregiudicato di farmaci da parte di due medici che sono attualmente indagati. In realtà sul fatto si agita l’ombra di un vero massacro perpetrato da uomini delle forze dell’ordine all’interno della caserma dei carabinieri in via Saffi a Varese. Un’ipotesi sulla quale la Procura di Varese ha aperto un fascicolo a carico di ignoti.

Il documento di denuncia, protocollato con il numero 30.47, porta la data del 15 giugno 2008, cioè 24 ore dopo la morte di Giuseppe avvenuta alle 10 del mattino del 14. "Un fatto incredibile - sostiene Fabio Anselmo, legale della famiglia Uva -. In tutta la mia carriera non mi è mai capitato di vedere una denuncia a morte avvenuta". E allora perché? "Evidentemente - prosegue l’avvocato - il motivo sta nella necessità di trovare una motivazione ai fatti". Va detto, poi, che in quello stesso 15 giugno Alberto Biggiogero deposita in Procura la sua querela. Otto pagine in cui l’amico di Uva ricostruisce gli eventi; dal fermo alle ore terribili passate in caserma.

Nella denuncia dei carabinieri firmata dal tenente Piera Stornelli, agli indagati Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero viene contestato il reato di "disturbo delle occupazione o del riposo delle persone". Reato che si estingue con una semplice multa. Giuseppe e Alberto avevano bevuto un goccio di troppo, probabilmente avevano alzato la voce, effettivamente stavano spostando transenne in mezzo alla strada. Nulla di più. Soprattutto nessun tipo di aggressività nei confronti dei carabinieri. Questo emerge dalla denuncia.

Il tutto in contraddizione con quello che gli stessi militari hanno scritto in una precedente annotazione redatta alle 7 di mattino del 14 giugno (tre ore prima della morte di Uva). Si tratta di due pagine in cui Uva sembra avere un atteggiamento molto aggressivo nei confronti dei militari. Nel documento si riportano, addirittura, gli insulti dell’artigiano ai carabinieri. "Non sposto un cazzo, anche se siete carabinieri non me ne frega un cazzo, toglietevi la divisa, poi vediamo". E ancora. "Sia Uva che Biggiogero picchiavano con calci e pugni contro i portoni delle case". E così "per evitare che la situazione degenerasse veniva richiesto l’ausilio di personale delle volanti". Ne arriveranno tre con a bordo sei uomini, praticamente l’intero turno. Il giorno dopo nessuno dei sei agenti farà una relazione approfondita sui fatti.

Si capisce subito che i due documenti sono in contraddizione. Incongruenze che proseguono sentendo Alberto Biggiogero, per il quale "l’atteggiamento di Giuseppe era totalmente remissivo, chiedeva solo che gli venissero messe le manette". Dopodiché nella sua querela lo stesso amico di Uva ha scritto di un carabiniere "quello grosso" che aveva "uno sguardo stravolto e terrificante". E il perché di un tale sguardo, Biggiogero lo spiega al carabiniere che sta compilando gli atti. L’appuntato così annota anche la frasi di Alberto: "Il tuo collega è pazzo - dice Biggiogero -. Si fa di cocaina! Hai visto che pupille dilatate che ha!".

Nessuna certezza, invece, che tra quei carabinieri ci fosse il marito dell’amante di Uva. Una relazione confermata da diversi testimoni e che, sostiene l’avvocato Anselmo, "resta complicata da provare". E in effetti sulla vicenda Uva più che il movente sono i fatti che devono essere accertati. Per questo oggi a mezzogiorno il legale della famiglia Uva sarà ricevuto dal procuratore di Varese Maurizio Grigo. Sul tavolo del magistrato due giorni fa è stato portato un piccolo dossier che ricostruisce la vicenda. Oggi, invece, dovrebbe essere consegnata una breve perizia fatta sul fascicolo dell’autopsia. Fascicolo alto pochi centimetri e dove stranamente comparirebbero solo le foto del corpo di Uva completamente vestito.

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