venerdì 16 aprile 2010

Napoli: muore detenuto di 40 anni… i decessi nel 2010 sono 58

Redattore Sociale


Il cadavere di Antonio Zingaro, 40enne di origini pugliesi, è stato rinvenuto da un agente di polizia penitenziaria intorno alle 5 di ieri mattina sul pavimento della sua cella, in un braccio speciale del carcere napoletano di Secondigliano, dove scontano la pena i detenuti che hanno visto revocato il programma di protezione per i collaboratori di giustizia e dunque a rischio di eventuali vendette, anche dietro le sbarre, per le loro confessioni.
La denuncia viene dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere: con la morte di Antonio Zingaro salgono a 58 i decessi in carcere da inizio anno (7 solo nel mese di aprile): 38 di loro avevano meno di 40 anni (il 66% del totale). Nel dettaglio: 18 avevano tra i 20 e i 30 anni; 20 tra i 31 e i 40 anni; 12 tra i 41 e i 50 anni; 6 tra i 51 e i 60 anni. Due erano ultrasessantenni (il più anziano Emanuele Carbone, di 71 anni, morto nel carcere di Lecce lo scorso 31 marzo).
Secondo le prime ricostruzioni, nella cella di Zingaro non sarebbero stati rinvenuti elementi che ricondurrebbero ad un suicidio, ma per tutta la giornata di ieri la cella è stata passata al setaccio dalla polizia giudiziaria della Procura partenopea, per vagliare ogni ipotesi. Sarà l’autopsia, disposta dal pubblico ministero della Procura della Repubblica di Napoli, ad accertare le cause della morte. A Secondigliano, invece, l’ultimo decesso si era verificato il 18 marzo, quando morì (per cause ancora da accertare) un detenuto italiano di 29 anni. Negli ultimi 5 anni nel carcere napoletano sono morti 27 detenuti, di cui 8 per suicidio.


Forlì: detenuto tunisino di 47 anni tenta il suicidio, viene salvato



Ansa

Ancora un tentativo di suicidio al carcere di Forlì. Un detenuto di 47 anni, tunisino, ha cercato di impiccarsi nella sua cella, nella notte tra lunedì e martedì. Ha sfruttato la notte per compiere il suo proposito e, paradossalmente, proprio il sovraffollamento del carcere ha permesso di salvarlo. Infatti, pur muovendosi nel buio e nel silenzio, l’uomo avrebbe fatto quel poco di rumore necessario per svegliare un compagno di cella.
Le stanze per la reclusione dei detenuti sono piccole e stipate, è bastato quindi poco affinché partisse l’allarme e venisse sventato il tentativo di suicidio. Il tunisino è stato trovato con il lenzuolo annodato al collo, già con alcuni segni della stretta. La corsa in ospedale ha permesso di appurare che non ci sono state conseguenze gravi per l’uomo. Dimesso, è stato riportato alla Rocca. Ma l’episodio è l’ennesima prova della situazione preoccupante in cui versa il carcere di Forlì, in cui si moltiplicano i tentativi di suicidi. Sarebbero stati tre solo negli ultimi mesi.


Giustizia: l’ultimo si chiamava Daniele, 
ucciso a Rebibbia

L’Unità

L’ultimo si chiama Daniele Bellanti. Aveva 31 anni, una moglie, pluripregiudicato, dice il casellario giudiziario, droga, spaccio, reati così. Aveva l’obbligo di soggiorno a Vittoria, il suo paese, ma lo scorso ottobre aveva travalicato i confini violando la misura di prevenzione. Quando lo hanno trovato lo hanno messo dentro. Rebibbia, il suo ultimo indirizzo, sezione dei collaboratori di giustizia, stava dicendo cose su un omicidio, pare. Ma non serve più: la scorsa notte ha preso un pezzo di stoffa, se l’è girato intorno a collo, s’è appeso a una sbarra e ha tirato.
Ci deve volere molto determinazione, e altrettanta disperazione, per farla finita così. Bellanti è il ventesimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Ventiquattro ore prima in una cella a Santa Maria Capua Vetere un altro detenuto, 40 anni, sieropositivo, si è ucciso attaccandosi con la bocca alla bomboletta del gas che tutti i detenuti tengono in cella per cucinare. Due giorni prima Domenico Caldarelli, 39 anni, era riuscito a farsi un’overdose in cella a Sulmona. C.B., 40 anni, detenuto a Benevento ha utilizzato la sua calzamaglia di nylon per confezionarsi il cappio.
L’elenco è lungo, 20 suicidi dall’inizio dell’anno, 55 decessi, un trend che se non viene interrotto potrebbe battere tutti i record, di sempre. Bisognerebbe che la Lega quando dice guai a chi pensa di svuotare le carceri andasse a vedere uno per uno questi nomi, che storie anno, perché sono rinchiusi, per quali reati. Magari, uscendo dalla statistica, potrebbe provare un pò di pietas e ingegnarsi di fare qualcosa per risolvere il problema annoso del sovraffollamento carcerario. Che non vuole assolutamente dire negare la legalità o la certezza della pena. Più semplicemente assumersi la responsabilità di governare. E trovare soluzioni. L’allarme di Sant’Egidio "Emergenza carceri" è oggi un titolo che rischia di suonare vuoto, liso, ripetitivo.
E invece mai come adesso nella storia della Repubblica è pieno di significato come sanno bene il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il capo del Dap Franco Ionta. La soluzione del problema carcere fu messa da Alfano al primo punto della sua agenda nel maggio 2008. Ma da allora, nonostante lo stato di emergenza e gli annunciati piani straordinari, la situazione è solo peggiorata. Per mancanza di soldi e per i veti insormontabili del Carroccio. Senza soldi non si possono realizzare i 21 mila posti in più tra nuovi istituti e nuovi padiglioni nè si possono assumere duemila nuovi agenti. Con il no della Lega non è stato possibile, almeno finora, ricorrere a misure alternative alla detenzione. È scesa in campo anche la Comunità di Sant’Egidio che vuol dire Chiesa, diplomazia e volontariato. Ha elaborato i dati del ministero e ha presentato un conto che chiama in campo tutte le forze politiche. 67.271 detenuti al 29 marzo, record di sempre, ottomila in più rispetto al 2006 quando tra gli strazi della classe politica fu concesso l’indulto. Soprattutto, 25 mila detenuti in più rispetto ai posti disponibili (43 mila). Ma, osserva Sant’Egidio, "al crescente numero di detenuti (+5% in un anno) non corrisponde il numero di reati che anzi diminuisce". Colpa di un "malinteso concetto di sicurezza".
Quasi la metà dei detenuti ( 44,6%) è in attesa di giudizio e gli stranieri sono il 37,1% del totale. Ogni giorno entrano in carcere 440 persone per lo più per reati legati alla clandestinità e all’immigrazione. E il 32 per cento di coloro che hanno avuto una sentenza definitiva, devono scontare meno di un anno. Sovraffollamento e procedure assurde producono morti, decessi e suicidi. Perché "nelle celle non c’è neppure il posto per stare in piedi", perché gli spazi di socializzazione "sono stati destinati a brande e materassi". Perché manca personale di custodia e assistenti. Mancano le minime condizioni igieniche. È stata negata dignità e civiltà.


Dap: 20 suicidi da inizio anno, 5 erano stranieri


Sono venti, di cui cinque extracomunitari, i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno ad oggi. Il dato ufficiale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è addirittura superiore all’ultima stima di Ristretti Orizzonti che conta 18 suicidi in cella. Se è vero che il reale motivo di talune morti resta da chiarire (alcuni detenuti sono stati trovati privi di vita dopo aver utilizzato il butano delle bombolette da camping come sostanza stupefacente e non per suicidarsi), quel che balza agli occhi scorrendo l’elenco del Dap è che solo sei detenuti stavano scontando una condanna definitiva. Gli altri erano per lo più in attesa di primo giudizio (in sei), oppure ricorrenti contro una sentenza di primo grado o di appello (due detenuti), internati in case lavoro (i due che si sono tolti la vita a Sulmona), oppure con situazione giuridica mista (quattro).
Il 2009 è stato l’anno nero delle morti nelle carceri italiane (72 suicidi), ma da come è cominciato il 2010 il dato rischia di essere ben più pesante tra otto mesi. Il sovraffollamento (67.206 detenuti al 31 marzo scorso contro una capienza regolamentare di 44.236 posti e un limite tollerabile do 66.979 posti) di certo non aiuta sotto il profilo psicologico coloro che per la prima volta mettono piede in carcere o che sono in attesa di giudizio.
Se all’emergenza suicidi il Dap ha tentato di dare una prima risposta il mese scorso con una Circolare per l’istituzione di un "servizio di ascolto" composto da poliziotti penitenziari in grado di supplire all’assenza di psicologi nelle ore serali, al problema sovraffollamento il capo del Dap Franco Ionta dovrà fornire soluzioni nero su bianco entro il prossimo 29 aprile, termine previsto dall’ordinanza firmata dal premier Berlusconi in forza della quale Ionta è stato nominato commissario delegato.

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