mercoledì 20 gennaio 2010

Fioravanti: «Lo Stato ostacolò le indagini»

In aula «Giusva», militante neofascista a capo dei Nar, riconosciuto colpevole della strage di Bologna e dell'omicidio di 93 persone
L'ex terrorista ha ricordato la breve conoscenza con Giovanni Melioli: «Nel '79 voleva mettere una bomba alla questura di Roma, per uccidere dei poliziotti»
Brescia. Strategia della tensione, anni di piombo, anni dalle trame intricate, anni difficili da capire. Anche per Valerio «Giusva» Fioravanti che qualche chiave di lettura, rispetto a un comune mortale, deve pur averla. Capo dei Nar, i nuclei armati rivoluzionari, definito «figlioccio» di Franco Freda, Fioravanti nei lunghi anni di detenzione (condannato a otto ergastoli e 134 anni è tornato libero dallo scorso aprile) ha cercato di capire cosa mosse gli estremisti di destra «della vecchia generazione», ha cercato di sondare i ruoli e di investigare i legami con gli apparati dello Stato per riuscire a difendersi meglio dalle accuse che gli venivano mosse. Solo una cosa Fioravanti dice di averla capita: «gli apparati dello Stato ebbero un ruolo nell'inquinare le prove per evitare di far luce sulla verità; i servizi hanno fatto di tutto per ostacolare le indagini. Non ho mai creduto alla teoria che fossero tutti innocenti e che ci fosse un appuntato dei carabinieri che andava in giro a mettere le bombe».

Sentito ieri dai giudici della corte d'assise chiamati a giudicare cinque imputati per la strage di piazza della Loggia, Fioravanti ha ammesso candidamente di non essere «riuscito a capire cosa sia successo in quegli anni. Tutti si sono accusati di tutto, ma in maniera incrociata. Gli ordinovisti ritenevano che Avanguardia nazionale avesse rapporti con la polizia; gli avanguardisti negavano tutto e accusavano Ordine Nuovo di essere legato a doppio filo con i carabinieri».
«NON HO AVUTO collaborazione dalla precedente generazione, ma nemmeno dagli apparati» ha precisato Fioravanti, tornato dopo ventisei anni di detenzione e di regime di semilibertà a una vita normale (ha sposato Francesca Mambro, condannata con lui anche per la strage di Bologna e hanno una figlia).

E della strage di Brescia Fioravanti ha saputo anche meno di tutto il resto. «Su Brescia - ha ammesso - ho appreso meno che su tutto il resto. Ho solo saputo in carcere a Ascoli e a Sollicciano da Sergio Calore che Cesare Ferri ebbe un ruolo nella strage. Pensando di aver appreso una notizia sensazionale ne parlai con Gilberto Cavallini: conosceva Ferri e disse che non c'era nulla di vero, che era una vecchia ipotesi, ma che lui era convinto dell'innocenza dell'amico».

Fioravanti non sa nulla della strage di Brescia, ma ha avuto contatti con alcune persone che per i pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni hanno un ruolo importante nella ricostruzione fondata sulle dichiarazioni di Carlo Digilio e su quelle, poi ritrattate, di Maurizio Tramonte, confidente del Sid con il nome in codice di «Fonte Tritone».

DI INTERESSE per l'accusa la conoscenza di Fioravanti con Giovanni Melioli, che l'ex terrorista romano conobbe attraverso Giomo, un fiancheggiatore del gruppo di Rovigo. Melioli, nelle dichiarazioni di Tramonte, ha un ruolo fondamentale nella strage di Brescia. Il giovane di Rovigo, morto nei primi anni Novanta per droga, sarebbe stato incaricato da Carlo Maria Maggi di mettere la bomba nel cestino sotto i portici di piazza Loggia. In corsa, sempre secondo le dichiarazioni di «Fonte Tritone» per piazzare la bomba ci sarebbe stato anche lo stesso Tramonte, ma Maggi scelse il giovane di Rovigo. Fioravanti lo conobbe nel '79. «Giomo fu costretto a prestare al gruppo di Melioli la sua vettura per una rapina - ha ricordato Fioravanti - ma dopo il colpo venne abbandonata chiusa a chiave». Inutile dire che le forze dell'ordine risalirono subito a Giomo e lo misero sotto torchio e lui si lasciò sfuggire qualcosa, tanto che quelli di Rovigo volevano ammazzarlo. «Noi andammo a Rovigo a intercedere per Giomo». Fioravanti e Melioli si sono visti per qualche periodo. «Ricordo che Melioli voleva mettere una bomba alla questura di Roma - ha proseguito Fioravanti - perchè voleva ammazzare un po' di poliziotti. Gli dissi che era una pazzia, che avrebbe fatto saltare anche il palazzo davanti alla questura». Melioli allora confidò a Fioravanti che la bomba l'avrebbe messa nel bar vicino alla questura, che era sempre frequentato da poliziotti. Fioravanti non ha più visto Melioli, «avevamo una diversa progettazione rivoluzionaria: loro volevano mettere le bombe, noi usavamo le armi».

Per l'accusa è singolare che nel '79 Melioli avesse in mente una strage simile a quella di piazza Loggia, dove l'obiettivo dovevano essere i carabinieri.
Fioravanti quel poco che ha appreso sulle stragi l'avrebbe saputo da Angelo Izzo, uno dei «mostri del Circeo».
«Lui aveva fatto di tutto per farsi accreditare come prigioniero politico - ha spiegato Fioravanti - e aveva frequentato la quindicina di detenuti di estrema destra. Io ho ascoltato i racconti di Izzo, ma non ci ho fatto affidamento, perchè Izzo è un matto vero». Ma cosa raccontò Izzo a Fioravanti? «Mi disse di aver raccolto una mezza ammissione da Franco Freda sulla strage di piazza Fontana; e che la borsa in banca l'aveva messa il "nano", Massimiliano Fachini». E dei rapporti tra la banda della Magliana e del legame con i servizi segreti? «Non ne so nulla» ha ribadito Fioravanti. E le parti civili hanno chiesto di sentire il fratello di Giusva, Cristiano, collaboratore di giustizia, per sapere chi erano i referenti dei servizi segreti che legavano con i criminali.


Wilma Petenzi

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