martedì 5 gennaio 2010

ONORE AL COMANDANTE GUIDO PICELLI- ANTIFASCISTA MILITANTE, COMPAGNO DIMENTICATO

Domani 5 Gennaio riccorrerà il 73° anniversario dalla morte del comandante Guido Picelli, Ardito del popolo, combattente antifascista in Spagna, figura pura ed esemplare del combattentismo rivoluzionario. Da anni il Comune parmense fa orecchie da mercante rispetto alle numerose richieste degli antifascisti cittadini affinchè si eriga un monumento in onore dell’uomo che guidò la vittoriosa resistenza del popolo dell’Oltretorrente alla calata delle decine di migliaia di camice nere agli ordini di Italo Balbo, nell’agosto 1922:

"Fu Parma a salvare, allora, l’onore del proletariato italiano… Parma con il successo della sua resistenza, dovuto alla partecipazione unitaria di tutte le componenti del movimento operaio e popolare, costituì un luminoso punto di riferimento per la lotta contro il fascismo."

Iscrittosi giovanissimo al partito socialista, allo scoppio della “grande guerra” ne condivise le posizioni neutraliste; si arruolò poi volontario nella Croce rossa ma ciò non gli evitò il trasferimento in fanteria, presso il cui 112° reggimento prestò servizio come sottotenente di complemento, riportando una medaglia di bronzo al valore e una ferita a una gamba. Dall’esperienza della guerra, che non mancò di colpirlo profondamente, P. trasse la convinzione che fosse un suo precipuo dovere assistere quanti ne erano stati colpiti; si impegnò così nella nell’organizzazione parmense della Lega proletaria tra invalidi, reduci, orfani e vedove di guerra, che lo elesse segretario nel 1919.

Soprattutto uomo d’azione, nell’acuta crisi sociale e politica del dopoguerra P. maturò una particolare sensibilità per i problemi dell’organizzazione militare del proletariato, e fin dal 1920 costituì a Parma una Guardia rossa autonoma. Composto soprattutto da giovani socialisti (”i più turbolenti elementi sovversivi” a detta del prefetto) e mal tollerato dal partito, questo organismo non raggiunse mai una grande consistenza [...] L’iniziativa più clamorosa fu quella del sabotaggio di un treno carico di soldati in partenza per l’Albania, effettuato il 28 Giugno 1920 e seguito dall’immediato arresto di P. Per uscire dal carcere egli dovette attendere le elezioni politiche del maggio 1921, per le quali il PSI presentò la sua candidatura-protesta e che lo videro eletto con 20.294 voti. Tornato così in libertà, P. si trovò di fronte una situazione radicalmente mutata, nella quale al dilagare dell’offensiva fascista facevano riscontro la passività del movimento operaio e la divisione tra socialisti e comunisti, con le ostilità e il settarismo che ne erano derivati. A Parma per giunta tutto ciò si inseriva in un cronico stato di divisione e di contrapposizione tra socialisti, sindacalisti dell’USI e deambrisiani. Convinto che fosse necessario contrapporsi al fascismo sul piano della lotta armata, nell’estate del 1921 P. diede vita a Parma al corpo degli Arditi del popolo, riuscendo a ricrerare attorno ad esso una vasta unità delle forze proletarie, nonostante l’opposizione di numerosi dirigenti del PCI e del PSI. “NELL’INTERESSE COLLETTIVO -aveva scritto P. il 4 giugno su <>- “DEVONO TACERE I VARI DISSENSI POLITICI, SCOMPARIRE LE QUESTIONI INDIVIDUALI, I PICCOLI RANCORI, VECCHI E NUOVI, PENSANDO SOLO CHE OGNI ESSERE E’ L’ELEMENTO INDISPENSABILE ALLA COESIONE E ALLA COSTITUZIONE DI QUELLA FORZA IMMENSA CHE E’ DATA DALL’UNIONE AI SINGOLI. VOGLIO SPERARE CHE PRESTO SI CESSERA’ DI OFFRIRE IL TRISTE SPETTACOLO DELLA DISUNIONE: LE TRE CAMERE DEL LAVORO SPARIRANNO, SI FONDERANNO IN UNA E LA NOSTRA PROVINCIA FATTA FORTE DARA’ FINALMENTE BATTAGLIA CERTA DEL BUON ESITO DI ESSA… VIVA L’UNITA’ PROLETARIA!”

E in effetti, nelle file degli Arditi del popolo accorsero sindacalisti e anrchici, socialisti e comunisti. P. non attese gli attacchi dei fascisti ma passò decisamente all’offensiva: il I maggio 1922 lo stesso P. poteva trarre questo bilancio dell’opera svolta: “IN TUTTA LA VALLE PADANA, PARMA E’ L’UNICA CITTA’ CHE NON SIA CADUTA IN MANO AL FASCISMO OPPRESSORE. LA NOSTRA CITTA’, COMPRESA UNA BUONA PARTE DELLA PROVINCIA, E’ RIMASTA UNA FORTEZZA INESPUGNABILE, MALGRADO I TENTATIVI FATTI DALL’AVVERSARIO. IL PROLETARIATO PARMENSE NON HA PIEGATO E NON PIEGA”.

Ma se fino a quel momento, grazie al suo coraggio personale, allo stretto rapporto con le masse instaurato giorno per giorno nei rioni popolari della città e al suo prestigio di capo degli Arditi, P. poteva dirsi uno degli uomini più amati e popolari di Parma, presto la sua figura sarebbe entrata nella leggenda.

La prova di forza venne in occasione dello “sciopero legalitario” dell’agosto 1922, che a Parma e nella provincia riuscì compatto e totale: agli ordini di Balbo, per far cessare lo sciopero e conquistare “l’ultima roccaforte” del movimento operaio, conversero sulla città le squadre fasciste dell’intera Italia settentrionale. Ma in tre giorni di ripetuti assalti, i fascisti di Balbo non riuscirono ad avere ragione degli Arditi del popolo, i quali, asserragliati nei quarieri del Naviglio e dell’Oltretorrente, con il sostegno attivo di tutta la popolazione opposero un’eroica resistenza e costrinsero infine il nemico a ritirarsi sconfitto, lasciando sul terreno 39 morti e 150 feriti. Ciò che non era riuscito ai fascisti fu poi compiuto dall’esercito, alla cui ingiunzione di sgomberare i quartieri già trasformati in fortilizi gli Arditi non poterono opporre ragionevole resistenza. P. denunciato e incarcerato per breve tempo nel mese di ottobre nel maggio del 1923 fu costretto a trasferirsi a Roma per evitare per evitare le conseguenze dell’odio dei fascisti verso il principale artefice della loro umiliazione. Dopo l’ingresso nel partito comunista P., che già il 1° maggio 1924 aveva fatto parlare di sè per aver spiegato una grande bandiera rossa sul balcone di Montecitorio finì per incorrere più volte nelle aggressioni dei fascisti, nel parlamento e nelle vie di Roma. Dopo le leggi eccezionali fu condannato a 5 anni di confino a Lampedusa, poi, nel febbraio 1927, a Lipari prosciolto dal confino, all’inizio del ‘32, espatriò clandestinamente in Francia, espulso dal paese nel ‘34, si rifugiò in Unione sovietica, dove lavorò come operaio in una fabbrica di cuscinetti a sfera.

Dopo lo scoppio della guerra civile fu uno dei primi volonari ad accorrere in Spagna a difesa della Repubblica; mise a frutto le sue sperimentate capacità militari addestrando personalmente il gruppo di volontari che avrebbe poi guidato in battaglia. Un mese dopo con trecento garibaldini, giunse sul fronte di Madrid, dove fu nominato comandante di compagnia, partecipò quindi alla battaglia di Mirabueno. Qui sull’altura di El Matoral, cadde alla testa dei suoi uomini il 5 gennaio 1937. Una imponente manifestazione a Madrid rese l’estremo saluto a P. mentre a Parma e in tutta l’Italia l’esempio leggendario del vincitore di Balbo caduto per la libertà di Spagna alimentava la coscienza antifascista e la volontà di riscossa di un numero crescente di cittadini.

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