venerdì 22 gennaio 2010

Gaza, come una prigione a cielo aperto

Una prigione a cielo aperto. E' l'immagine della Striscia di Gaza che restituiscono gli attivisti napoletani che hanno partecipato alla Freedom March programmata per lo scorso 31 dicembre. Un gruppo partito per osservare da vicino “il pezzo di pianeta più complesso che esiste”. Per portare, ad un anno dall'operazione Piombo Fuso che provocò 1400 morti tra i civili palestinesi, solidarietà e aiuti economici. Raccontano la loro sei giorni al Cairo in una delle aule autogestite dell'Università 'L'Orientale'. Iniziano con una denuncia: “Gaza è ancora sotto assedio”. E propongono un comitato per boicottare i prodotti egiziani e israeliani.
Nell'Aula R5 dell'Orientale si ascolta la testimonianza di Flavia Lepre. Parole di commento alle immagini da lei stessa girate in Egitto. “Ci siamo trovati subito in una situazione difficile, con un clima molto teso. Ci hanno trasportato in un albergo a molti chilometri di distanza dal centro della città. Era pieno di poliziotti anche in borghese. Era difficile comunicare tra noi. Quasi una condizione di clandestinità”. Giorni duri fatti di scontri anche fisici con le autorità egiziane. Con il clima sempre più acceso fino all'esplosione provocata dal divieto egiziano di marciare verso Gaza. “Ci sono stati alcuni scontri. Alla mia compagna di stanza hanno rotto il naso”. E conclude: “Sono delusa, non abbiamo realizzato il nostro obiettivo politico principale ovvero entrare tutti insieme a Gaza. Però questo testimonia che quella città è ancora sotto assedio”.
Tracce della Gaza Freedom March sono sparse anche nella blogosfera napoletana. Sul sito dell'associazione Ya Basta, Vilma e Vittorio hanno pubblicato un diario di viaggio, scritto a quattro mani poche ore dopo il loro ritorno dall'Egitto. Anche loro intervengono nell'aula R5. Raccontano dell'arrivo, dell'incontro con gli altri attivisti. E degli scontri del 29 dicembre in Tahreer Square. “In piazza appena vengono aperti i primi striscioni arrivano decine di poliziotti. Il tutto si svolge velocemente. Accerchiano i manifestanti. Alcuni vengono trascinati via”. Momenti concitati, violenti. “Ci sono anche due feriti italiani. Le forze dell'ordine spintonano, schiacciano verso le balaustre, picchiano finché non riescono a trascinare tutti sul marciapiede”. Poi il ritorno a Napoli, e la consapevolezza che sulla questione mediorientale “non bisogna mai smettere di discutere, di guardare la realtà per quello che è. Cercando di stare fuori da ogni dogma”.
Un impegno che il Cau, il Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli, ha messo ai primi posti del proprio impegno politico. Incontri e dibattiti, proiezioni di documentari e iniziative di solidarietà. Un lavoro che ha dato vita a un dossier sulla Palestina liberamente scaricabile dal loro sito. Trenta agili pagine zeppe di dati e interviste, cronologie e manifesti. Dove si parla dell'uso del fosforo bianco, dell'assedio di Gaza. Senza tralasciare i risvolti psicologici del conflitto, con riferimenti a studi scientifici che sanzionano l'aumento del disagio psicologico e delle patologia mentale tra israeliani e palestinesi. Un sorta di anatomia politica della questione palestinese.
Il prossimo 26 gennaio inizieranno in città una seri di incontri con Ronnie Barkan, attivista israeliano di Anarchists against the wall che si batte da anni per la causa palestinese. Ad ospitare le discussioni la sede dell'ONG CISS
di Carmine Saviano
(repubblica-napoli 21 gennaio 2010)

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