martedì 19 gennaio 2010

Sulmona: 2 nuovi tentati suicidi, protestano i medici e gli agenti


Il personale medico e paramedico che opera nel carcere di Sulmona ha indetto lo stato di agitazione "per le difficili condizioni alle quali sono sottoposti per prestare le cure ai detenuti". Attualmente cinque medici prestano servizio a parcella con il vecchio contratto del Ministero di Grazia e Giustizia, mentre altri due sono contrattualizzati dalla Asl Avezzano Sulmona. La diversità di trattamento economico a parità di prestazione, più bassa per i primi e più alta per i secondi, sta ingenerando problemi all’interno della struttura di reclusione, così come la riduzione del personale addetto al Sert, nonostante l’elevata presenza di detenuti tossicodipendenti. A causa del sovraffollamento e carenza di agenti penitenziari, i medici sono costretti a lavorare senza il supporto di questi ultimi, esponendosi a rischi che oltrepassano la previsione di contratto.

"Il dlgs 230 del 1999 per il trasferimento delle competenze dal Ministero di Giustizia al Servizio sanitario nazionale - spiega Fabio Federico, responsabile medico del carcere di Sulmona - è rimasto di fatto inapplicato, anche perché tutto è in mano alle Asl regionali, con gravi pregiudizi per la difformità nei protocolli sanitari diversi regione per regione. Ogni Asl è autonoma, quindi è facilmente prevedibile che le regioni più sane sotto il profilo del bilancio della Sanità sono quelle che più possono investire in termini di tutela per la salute dei detenuti. Questo è profondamente ingiusto per i reclusi, che invece - conclude Federico - devono vedersi assicurati i trattamenti di cui hanno bisogno".

I tentativi autolesionistici nel carcere "maledetto", così è definito quello di Sulmona visto in numero di suicidi, 10 in 16 anni, tra cui una direttrice di carcere e un sindaco, non sembra diminuire. Ieri l’ennesimo tentativo da parte di un detenuto della sezione internati, che ha cercato di strangolarsi con i lacci delle scarpe ed è stato salvato dai poliziotti penitenziari. Visti gli analoghi episodi degli ultimi giorni, il timore è che si sia instaurato un percorso di emulazione da parte dei reclusi per tenere alta l’attenzione dei media.


Milano: il detenuto suicida aveva scritto "lotterò fino alla fine"



"Anche se mi sento fisicamente depresso sto bene e come voi lotterò per la giusta causa fino al mio ultimo respiro". È quanto si legge nella lettera inviata dal carcere di San Vittore da Mohamed El Abbouby, un mese prima di togliersi la vita nella struttura penitenziaria.
Oggi gli spettatori del processo a 4 imputati per una rivolta nel Cie milanese di via Corelli stanno protestando anche per la sua morte, oltre che per la decisione dei giudici di espellerli dall’aula.

"Prima o poi la verità verrà a galla - scriveva El Abbouby, al quale restava da scontare un mese di pena, dopo essere stato condannato per un’altra ribellione all’interno dello stesso centro - non possiamo che vincere, sapendo che il prezzo sarà salato, ma ne vale tutto il sacrificio. Che dire di questo governo razzista, senza idee per la gioventù che, secondo logica, è il futuro di ogni nazione. Senza giovani lavoratori non si possono incassare le tasse e senza tasse addio pensioni". "Nella prossima missiva sarò molto più esplicito e dettagliato a proposito del mio passato e della mia persona", concludeva. Parole di speranza, ma El Abbouby si è suicidato inalando gas di una bomboletta da campeggio nella sua cella.

Antirazzisti ricordano Mohammed con protesta
Gli esponenti del "Comitato antirazzista milanese", che per alcuni minuti hanno interrotto l’udienza del processo milanese ad alcuni immigrati accusati di una rivolta avvenuta nel Cie di Milano, hanno ricordato con uno striscione e alcuni volantini Mohammed El Abbouby, condannato nei mesi scorsi per alcuni disordini avvenuti il 13 agosto scorso nel Cie di via Corelli e poi morto nel carcere di San Vittore il 15 gennaio scorso, dopo aver inalato del gas da una bomboletta. I manifestanti hanno esposto uno striscione sulla porta dell’aula del processo che riportava il nome dell’immigrato morto per un probabile suicidio e frasi come "in custodia cautelare a San Vittore da agosto, è morto in carcere il 15 gennaio 2010, vittima del razzismo di stato. Quanti ancora ne volete uccidere?".

El Abbouby era stato condannato assieme ad altri dodici immigrati per una rivolta avvenuta nel Cie di via Corelli. Il giudice aveva inflitto pene comprese tra i 6 e i 9 mesi di reclusione. Il processo ai 4 immigrati, interrotto dalle grida dei manifestanti, proseguirà a porte chiuse.

I legali degli imputati, gli avvocati Mauro Straini, Massimiliano D’Alessio e Eugenio Losco, hanno spiegato che "attraverso questa protesta si esprime il disagio che fortunatamente una parte della popolazione prova di fronte a queste ingiustizie".

Sicilia: tra carceri sovraffollate e carceri nuove… mai utilizzate

di Lucia Russo

L’ipotesi del Garante dei detenuti, Salvo Fleres, sulla revisione del percorso di legalità. La Sicilia ha il primato della fatiscenza delle strutture e delle condizioni detentive. "Le carceri siciliane stanno scoppiando, i detenuti vengono continuamente tradotti da una struttura all’altra spesso disattendendo l’art. 42 dell’Ordinamento penitenziario che prevede la territorialità della pena ed è impossibile gestire nuovi accessi, come è accaduto nei giorni scorsi a Catania nel corso della retata che ha portato all’arresto di 79 soggetti" Questo l’allarme lanciato dal Garante dei diritti dei detenuti, il senatore Salvo Fleres.

"Le otto le strutture penitenziarie interessate hanno sede nella Sicilia orientale e ciò comporterà anche problematiche nella conduzione degli interrogatori, viste le distanze che separano gli istituti. Quello che auspico - ha proseguito Fleres - è l’adozione di misure utili per affrontare l’emergenza carceri nel più breve tempo possibile ed è quello che ho sempre sostenuto prospettando diverse ipotesi di soluzione, fino ad ora rimaste nel silenzio. "I due istituti penitenziari di Catania scoppiano, sono troppo pieni, e noi non possiamo più arrestare le persone indagate perché non sappiamo dove metterle" ha detto il sostituto procuratore della Repubblica della Direzione distrettuale antimafia di Catania, Francesco Testa, a margine della conferenza sull’operazione antidroga Ouverture.

"Nella casa circondariale di piazza Lanza, già sovradimensionata di 200 unità, - ha spiegato il magistrato - abbiamo potuto portare soltanto quattro dei 51 arrestati, e altri sei nel carcere di Bicocca, che 160 detenuto in più rispetto alla capienza prevista. Gli altri 40 sono stati distribuiti tra Siracusa, Augusta, Ragusa, Caltagirone, Enna, Caltanissetta e Messina. In quest’ultimo ne abbiamo mandati pochi perché un’ala è chiusa per il crollo di un controsoffitto".

Il Garante Fleres ha avanzato l’ipotesi di una rivisitazione delle norme in materia di liberazione anticipata, collegata ad un accertato avvio di un percorso di legalità da parte dei reclusi. "Questa ipotesi - ha detto Fleres - è già contenuta in un disegno di legge che ho depositato presso il Senato della Repubblica lo scorso 16 dicembre (S 1938) di cui auspico una rapida trattazione in quanto il suo contenuto potrebbe rientrare tra le iniziative utili per affrontare lo "stato di emergenza" recentemente proclamato dal Ministro della Giustizia".
Nel comunicato diffuso dal Garante la scorsa settimana è scritto che "la Sicilia, in quanto a sovraffollamento, è la seconda Regione d’Italia subito dopo la Lombardia ma ha il primato rispetto alla fatiscenza delle strutture e dunque, rispetto alle condizioni detentive in cui sono costretti a vivere i detenuti. In queste condizioni a poco valgono gli interventi dei pochi e volenterosi agenti di Polizia penitenziaria o del personale, di ruolo e non, presente negli istituti, oggi è necessario un intervento del Governo, in grado di colmare le diverse criticità presenti negli istituti di pena siciliani a tutela dei diritti dei detenuti".

A Gela esiste un penitenziario enorme, nuovissimo e mai aperto
Mentre il sovraffollamento carcerario ha raggiunto livelli di emergenza, nel nostro Paese ci sono 40 istituti penitenziari già costruiti, spesso ultimati, a volte anche arredati e vigilati, che però sono inutilizzati e versano in uno stato d’abbandono totale. I casi più clamorosi sono al Sud: a Gela esiste un penitenziario enorme, nuovissimo e mai aperto; a Morcone (Benevento) un istituto è stato costruito, abbandonato, ristrutturato, arredato e poi nuovamente lasciato a se stesso dopo un periodo di costante vigilanza. Ad Arghillà (Reggio Calabria) è inutilizzato un carcere dotato persino di accorgimenti tecnici d’avanguardia, e che sarebbe pronto se venisse completato con la strada di accesso, le fogne e l’allacciamento idrico. Eppure "l’Italia stanzia 500 milioni in finanziaria per costruirne di nuovi e chiede ulteriori fondi all’Unione Europea", nonostante la "notevolmente meno onerosa ristrutturazione degli edifici già presenti sul territorio risulterebbe attuabile sicuramente in tempi brevissimi".



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