sabato 6 marzo 2010

Parma: Botte e doccia con candeggina ai detenuti del carcere

Imputati due agenti di polizia penitenziaria per lesioni e un terzo per favoreggiamento. Vessazioni ripetute, botte, insulti, umiliazioni. Le parole di Cagna dipingono un quadro infernale dell’esperienza carceraria in via Burla nei primi mesi dopo l’arresto. Il pestaggio di cui sono accusati Vincenzo Casamassima e Andrea Miccoli non sarebbe altro che il culmine dell’incubo fatto passare da guardie e altri detenuti a quell’uomo colpevole di un delitto imperdonabile, per le regole non scritte del carcere.

Cagna non ricorda di quanti episodi di maltrattamenti sia stato vittima, né chi siano tutti i responsabili. Ma non gli sembra importante, alle domande del giudice Pasquali risponde “non ricordo, succedeva spesso, alla fine ero esasperato”. Poi di fronte alle insistenze sbotta: “Mi facevano ruzzolare giù dalle scale per portarmi in isolamento, poi mi pestavano”. Per questo, dice, quelle due rampe di scale che portano dal piano della sezione alle celle d’ isolamento lui le ricorda così bene. Veniva punito spesso, i primi tempi, perché era un detenuto agitato dalla tossicodipendenza e ancora sconvolto da quello che aveva fatto. E poi, dichiara, anche perché lo avevano preso di mira.

Narra dell’episodio scatenante, nel novembre 2006, quando viene accusato da un agente di aver fatto delle scritte nella cella. Lui nega e si rifiuta di pulirle. Poi si convince che è meglio obbedire, ma quando si volta la guardia lo schiaffeggia in testa. Lui reagisce con insulti e spintoni, viene condotto in isolamento. Significa stare per qualche giorno, fino a una settimana, da soli dentro a una cella, senza ora d’aria. Cagna ci finisce 5 o 6 volte durante il suo periodo di detenzione a Parma. Ed è lì che viene a contatto con gli agenti che accuserà del pestaggio.

“Casamassima entrava nella mia cella quando ero in isolamento, si metteva un paio di guanti neri e mi diceva ‘Preparati, lo sai’ – ha dichiarato Cagna - Poi mi faceva alzare la testa e mi schiaffeggiava due o tre volte”. Un comportamento che le guardie, non solo quelle imputate, avrebbero ripetuto più volte. Così come la “doccia” con acqua sporca: Cagna racconta che gli versavano addosso l’acqua con candeggina contenuta nel secchio dopo la pulitura dei pavimenti. Lui non è certo un detenuto modello: “ Rispondevo, insultavo. Loro mi provocavano. Ma ero in uno stato mentale non giusto, dovevano capirlo”.

Il primo febbraio 2007 accade il fatto che Cagna decide di denunciare, per la prima volta. Parla con l’avvocato difensore che gli prospetta una pena di 20 anni, lui si agita. Comincia a litigare con un detenuto chiuso in un’altra cella che lo prende in giro: “In vent’anni qui ne imparerai di lingue: albanese, marocchino”. La discussione viene interrotta dagli agenti penitenziari. Cagna ha riferito che Casamassima gli avrebbe detto: “ Ti ricordi in isolamento che ti facevo piangere come una bambina?”. La replica “Non piangevo per te ma per quello che avevo fatto” non sarebbe andata giù alle guardie. Cagna viene fatto uscire e condotto dal “capoposto”, l’agente responsabile del turno. Ma mentre sta per scendere le scale, viene afferrato per i capelli, fatto cadere e pestato con calci e pugni.

Cagna racconta che Miccoli gli avrebbe sferrato un cazzotto in un occhio. Più tardi, in cella, vomita sangue. Ma il medico non gli crede perché ha tirato lo sciacquone. Allora Cagna insiste, dà fastidio, vuole essere visitato ancora. Racconta l'accaduto al medico, che stila un referto e poi lo fa portare al pronto soccorso. E’ durante il viaggio che il capoposto Tanlerico gli avrebbe consigliato di non dire di essere stato picchiato dalle guardie ma da altri detenuti, per evitare problemi in futuro. Cagna ha ribadito che non c’è stata nessuna minaccia, si sarebbe solo trattato di un invito a riflettere. Che alla guardia 56enne, però, è costato un’accusa di favoreggiamento.

Tornato in carcere, Aldo Cagna firma un verbale in cui compaiono entrambe le versioni: quella riferita al medico del carcere, che accusa gli agenti, e quella che tira in ballo ignoti detenuti, rilasciata al pronto soccorso. Ma soprattutto, sottoscrive di non voler sporgere denuncia per quanto accaduto. “Poi però non ne potevo più, ero esasperato da questi episodi. Ci ho ripensato e ho sporto una regolare denuncia”. Oggi, Aldo Cagna sta scontando la pena a trent’anni di carcere a Bologna.

fonte: La Repubblica-3 marzo 2010

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