mercoledì 23 dicembre 2009

Anniversario strage del Rapido 904


23 dicembre 1984 - 23 dicembre 2009
La Strage del Rapido 904, o Strage di Natale, è il nome attribuito ad un attentato dinamitardo avvenuto il 23 dicembre 1984 presso la galleria di San Benedetto Val di Sambro, ai danni del treno rapido n.904 proveniente da Napoli e diretto a Milano.

L'attentato è avvenuto nei pressi del punto in cui poco più di dieci anni prima era avvenuta la Strage dell'Italicus:come quest'ultima e la strage della stazione di Bologna, l'attentato al treno 904 è da inserirsi nel panorama della strategia della tensione.
Questo attentato è di fatto l'ultima azione sanguinaria del periodo dell'eversione nera, ma per le modalità organizzative ed esecutive, e per i personaggi coinvolti, è stato indicato dalla Commissione Parlamentare sul Terrorismo come il punto di collegamento tra gli "Anni di piombo" e l'epoca della guerra di "Mafia" dei primi anni novanta del XX secolo.

L'attentato venne compiuto domenica 23 dicembre 1984, nel fine settimana precedente le feste natalizie. Il treno era pieno di viaggiatori che ritornavano a casa o andavano in visita a parenti per le festività.
Il treno intorno alle 19.08 fu colpito da un'esplosione violentissima mentre percorreva la direttissima in direzione nord, a circa 8 chilometri all'interno del tunnel della Grande Galleria dell'Appennino (18 km), in località Vernio, dove la ferrovia procede diritta e la velocità supera i 150 km/h.
La detonazione fu causata da una carica di esplosivo radiocomandata, posta su una griglia portabagagli del corridoio della 9ª carrozza di II classe, a centro convoglio: l'ordigno era stato collocato sul treno durante la sosta alla Stazione di Firenze Santa Maria Novella.
Mafia e camorra decisero ed organizzarono la strage di Natale. Per la bomba che il 23 dicembre del 1984 esplose sul rapido 904 15 furono i morti, 267 i feriti.
Il giudice istruttore fiorentino Emilo Gironi rinviò a giudizio otto persone. Sono tutti uomini d' onore legati alla destra eversiva: Giuseppe Pippo Calò, cassiere della mafia, Giuseppe Missi, detto o' Nasone, boss camorrista del clan dei Nuvoletta, i commercianti napoletani Alfonso Galeota, Antonino Rotolo, Luigi Cardone, i romani Guido Cercola e Franco Di Agostino, il tecnico austriaco Friedrich Schaudinn.Contro questo gruppo il magistrato ha spiccato otto mandati di cattura per strage, attentato per finalità terroristiche e di eversione, fabbricazione, detenzione e porto di ordigni esplosivi, banda armata. Quest' ultima accusa non è stata contestata allo Schaudinn che però è stato nuovamente arrestato. Il tecnico si trovava agli arresti domiciliari. Stessa sorte per Cardone, residente ad Arezzo, legato ai servizi di sicurezza. Agli altri sei imputati il provvedimento è stato notificato in carcere.
Nel corso dell'inchiesta vennero a galla diverse linee di collegamento tra Calò, mafia, camorra napoletana, gli ambienti del terrorismo eversivo neofascista, la Loggia P2 e persino con la Banda della Magliana: questi rapporti vennero esplicitati da diversi personaggi vicini a questi ambienti, tra cui Cristiano e Valerio Fioravanti, Massimo Carminati e Walter Sordi. Le deposizioni che spiegavano i legami tra questi tre ambienti della criminalità emersero al maxiprocesso dell'8 novembre 1985" , di fronte al giudice istruttore Giovanni Falcone
La Corte di Assise di Firenze il 25 febbraio 1989 comminò la pena dell'ergastolo per Pippo Calò, per Cercola e per altri personaggi legati ai due (Alfonso Galeota,Giulio Pirozzi e Giuseppe Misso boss della Camorra detto Il Boss del Rione Sanità)con l'accusa di strage. Inoltre, decretò 28 anni di detenzione per Franco Di Agostino e 25 per Schaudinn, più una serie di altre pene a altri personaggi emersi dall'inchiesta, per il reato di banda armata.
Il secondo grado venne celebrato dalla Corte di Assise di Appello di Firenze, con sentenza emessa il 15 marzo 1990 da una commissione presieduta dal giudice Giulio Catelani. Le condanne all'ergastolo per Calò e Cercola vennero confermate, e anche Di Agostino si vide la pena commutata in ergastolo. Misso, Pirozzi e Galeota vennero invece assolti per il reato di strage, ma condannati per detenzione illecita di esplosivo. Il tedesco Schaudinn venne invece assolto dal reato di banda armata, ma rimase incolpato della strage e condannato a 22 anni.
Il 5 marzo 1991 la 1a sezione della Corte di Cassazione presieduta dal discusso giudice "Corrado Carnevale" annullò la sentenza di appello. Il sostituto Procuratore generale Antonino Scopelliti era contrario e mise in guardia i giudici dal far prevalere l' impunità del crimine.
Carnevale rinviò comunque di nuovo a giudizio gli imputati presso un'altra sezione della Corte d'Assise di Firenze. Quest'ultima il 14 marzo 1992 confermò gli ergastoli per Calò e Cercola, condannò Di Agostino a 24 anni e Schaudinn a 22. In compenso, Misso si vide la condanna commutata a tre soli anni per detenzione di esplosivo, mentre le condanne di Galeota e Pirozzi vennero ridotte a un anno e sei mesi: tutti e tre vennero assolti dai reati di strage.
Quello stesso giorno, Galeota e Pirozzi, insieme alla moglie Rita Casolaro ed alla moglie di Giuseppe Misso, Assunta Sarno stavano ritornando a Napoli quando, durante il viaggio, incorsero in un agguato: la loro auto fu speronata e mandata fuori strada da alcuni killer della camorra che li seguivano sull'autostrada A1, all'altezza del casello di Afragola/Acerra, alle porte di Napoli. Le armi da fuoco dei killer lasciarono sul terreno Galeota e la Sarno, quest'ultima addirittura con un colpo di pistola in bocca. Soltanto Giulio Pirozzi e sua moglie riuscirono miracolosamente a uscire vivi da quella che fu una vera e propria esecuzione di camorra, anche grazie al sopraggiungere di un’auto della polizia stradale dal senso inverso di marcia, che così impedì ai killer di completare il lavoro, e gli assassini si dileguarono. Pirozzi, benché ferito gravemente, si salvò anche perché si era finto morto nel corso della sparatoria.
La 5a sezione penale della Cassazione il 24 novembre 1992 confermò la sentenza, riconoscendo la "matrice terroristica mafiosa".

Il 18 febbraio 1984 la Corte di Assise di Appello di Firenze concluse il giudizio anche per il parlamentare dell'MSI Massimo Abbatangelo la cui posizione era stata stralciata dal processo principale. Egli fu assolto dal reato di strage, ma venne condannato a sei anni di reclusione per aver consegnato dell'esplosivo a Giuseppe Misso, nella primavera del 1984. L' esponente del Msi, buon amico di Giuseppe Missi, consegnò al boss della camorra alcuni candelotti di dinamite poi usati per confezionare la bomba piazzata sul rapido Napoli-Milano ed esplosa mentre il treno transitava sotto la cosiddetta grande galleria dell' Appennino. L' ordigno, sistemato a Firenze nella griglia portapacchi della nona vettura, fu innescato con un radiocomando. Probabilmente da Vernio fu lanciato un impulso radio che accese il timer della terribile miscela formata da pentrite (sintex), polvere da mina (T-4) e nitroglicerina.
Le famiglie delle vittime fecero ricorso in Cassazione contro quest'ultima sentenza, ma persero e dovettero rifondere le spese processuali.

Guido Cercola si è suicidato in carcere a Sulmona il 3 gennaio 2005, soffocandosi con dei lacci di scarpe. Rinvenuto agonizzante in cella, morì durante il trasporto in ospedale

La strage, scrive il pubblico ministero Pierluigi Vigna, fu portata a termine dai clan mafiosi e camorristi (collegati da più di un picciotto tra cui anche Gerlando Alberti junior) per distogliere l' attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali della criminalità organizzata che in quel tempo subivano la decisa offensiva di polizia e magistratura, per rilanciare l' immagine del terrorismo come l' unico, reale nemico contro il quale occorreva ancora accentrare ogni impegno di lotta allo Stato.
Ma la marcata connotazione politica di molti imputati, i collegamenti dei due gruppi con la destra eversiva, lasciano capire come l' obiettivo fosse duplice: rinforzando sistemi criminali che tendono ad organizzare propri ordinamenti particolari protesi a sostituire l' ordinamento generale si cerca di abbattere lo Stato
--------------------------------------------------------------------------------------------

Il dolore e il lutto sono diventati impegno civile
MEMORIA. 23 dicembre 1984, una bomba sul rapido 904 Napoli-Milano esplode facendo una carneficina: 15 i morti e oltre 300 i feriti. Si toglie la vita anche un poliziotto accorso per prestare aiuto: i corpi martoriati sono per lui una visione inaccettabile.

A colloquio con Antonio Celardo, presidente dell’Associazione che tutela la memoria di un episodio di terrorismo nero sul quale non si conosce tutta la verità relativa a mandanti ed esecutori.
Nel giorno del quarantesimo anniversario della strage di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, a Napoli l’Associazione che ricorda invece la strage del treno rapido 904 avvenuta il 23 dicembre 1984 riceve dal Comune una sede: un appartamento confiscato al clan camorristico dei Contini. Incontriamo Antonio Celardo, il terzo presidente in ordine di tempo dell’Associazione che raccoglie i sopravvissuti della strage, i parenti delle vittime e quanti chiedono giustizia

Presidente, quando vi siete costituiti in Associazione?
Nel 1985, dopo circa tre o quattro mesi dalla strage. L’obiettivo di avere una sede ha rappresentato uno dei nostri temi prioritari e dopo quasi venticinque anni, grazie all’impegno del sindaco Rosa Russo Jervolino e della Regione Campania, che ha finanziato la ristrutturazione di questo appartamento con i fondi del Programma operativo nazionale sicurezza, siamo riusciti a ottenere un luogo dignitoso e consono che ci consente di portare avanti tutte le nostre iniziative.

Ci parla di queste iniziative?
L’Associazione si adopera per la tutela dei diritti delle vittime, per l’assistenza psicologica dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime, per la ricerca della verità e la conservazione della memoria.

Cosa prevedono le leggi in questa materia?
La legislazione che tutela i diritti di chi in occasione di queste stragi ha perso la vita viene spesso disattesa a causa di interpretazioni restrittive. Accade proprio questo con la legge numero 206 del 2004 che prevede una riduzione di dieci anni lavorativi per il coniuge e i figli della vittima.

Sono stati compiuti dei passi avanti?
Adesso vi è un referente in ogni sede territoriale dell’Inpdap, mentre per quanto riguarda l’Inps è stato istituito un centro presso la sede nazionale di Roma dove possono essere evase le istanze degli aventi diritto. Insieme alle associazioni che ricordano altre stragi terroristiche abbiamo presentato degli emendamenti per richiedere la giusta interpretazione della legge. Ma, purtroppo, questo governo non ne ha tenuto conto.

E adesso?
Non ci resta che attendere la conclusione dell’iter della finanziaria per sapere se qualcuno di questi emendamenti è stato recepito.

La verità giudiziaria invece?
La sentenza è passata in giudicato ma sono stati individuati solo alcuni colpevoli come Pippo Calò, il cosiddetto cassiere della mafia, e il suo sodale Guido Cercola. Rimangono sconosciuti gli esecutori materiali e i mandanti. Durante il corso dei processi ci sono stati molti condizionamenti che non hanno consentito di giungere alla verità.

Come mai?
Non si è fatta chiarezza nella solita area grigia che ha visto interagire in occasione di queste stragi appartenenti alla massoneria, apparati dei servizi deviati e lobby politiche affaristiche. Solo qualche collaboratore di giustizia potrebbe consentire la riapertura del processo. Noi ora ci aspettiamo molto dalla ricerca storica, le motivazioni della strage potrebbero emergere dall’attenta analisi di quei documenti.

Ci sono state anche molte assoluzioni eccellenti in questa storia?
Il boss del rione Sanità, Giuseppe Misso, inizialmente viene considerato uno di quelli che trasporta il materiale esplosivo da Napoli a Firenze ma poi viene assolto. Lo stesso avviene per il deputato missino Massimo Abbatangelo, che però viene successivamente condannato a sei anni per detenzione di materiale esplodente.

E adesso?
Faremo di questa sede un luogo della memoria dove conserveremo tutto il materiale che riguarda la strage per consentire così a ricercatori, storici e giovani studenti di poter fare i propri studi che porteremo nelle scuole. Con la strage del rapido 904 si concludono gli anni della strategia della tensione e noi, che abbiamo trasformato il lutto individuale in impegno civile, abbiamo il dovere di trasmettere alle giovani generazioni i valori democratici e non quelli dell’esasperazione. Anche una mostra fotografica di Luciano Nadalini ci aiuterà a perseguire questo obiettivo.

Quanti sono gli associati?
In Campania poco meno di duecento, ma sono tanti coloro che risiedono fuori della nostra regione.

Avete ottenuto una sede in un bene confiscato. La decisione ha un alto valore simbolico?
Certamente, anche se abbiamo dovuto attendere tutto questo tempo. Nel 2004 abbiamo siglato con il comune di Napoli un protocollo che prevedeva un aiuto per la tutela e l’assistenza ai nostri associati e finalmente, grazie a quella stipula, dopo altri quattro anni oggi inauguriamo questa sede. Vorrei però sottolineare che la vendita all’asta di beni come questo, come prevede la norma inserita nell’ultima legge finanziaria, ci preoccupa parecchio.

Come è cambiata la vita da quel giorno?
Era domenica e io mi recavo dalla mia famiglia in provincia di Modena per trascorrere le festività natalizie. Il treno parte da Napoli alle 12,55 ma quando giunge in quella galleria tra Vernio e San Benedetto Val di Sambro un’esplosione terrificante mi fa svenire. Senza coscienza mi ritrovo nel corridoio della carrozza, sommerso tra un groviglio di lamiere contorte. Avevo paura di toccarmi perché non sentivo più il mio corpo. Solo dopo qualche minuto ho compreso di essere ancora vivo e in quel momento pensai subito a un attentato terroristico perché il treno stava attraversando la stessa galleria dove dieci anni prima venne realizzato l’attentato all’Italicus. Il mio pensiero va continuamente a coloro che non ci sono più e a tutti i loro famigliari. Quest’esperienza ci ha segnarti per sempre. La nostra vita è cambiata. La strage è diventata un pensiero quotidiano.

da Indymedia






Nessun commento:

Posta un commento

yh

yh