venerdì 4 dicembre 2009

[Roma] Il Dap sul caso Cucchi «Una morte disumana»

dal Corriere
La direzione delle carceri accusa agenti e funzionari: «Ci sono responsabilità a tutti i livelli»

Stefano Cucchi «ha concluso la sua vita in modo disu­mano e degradante», mentre era nelle mani dello Stato e della sua burocrazia. Gli elementi che il 22 ottobre hanno portato alla morte del trentunenne detenuto in un re­parto d'ospedale, a una settimana dall'arresto per qualche grammo di hashish, sono l'esempio «di una incredibile, continuativa mancata risposta alla effettiva tutela dei di­ritti, in tutte le tappe che hanno vi­sto Stefano Cucchi imbattersi nei vari servizi di diversi organi pub­blici». Mancanze che «si sono sus­seguite in modo probabilmente non coordinato e con condotte in­dipendenti tra loro», ma questo non assolve nessuno. A comincia­re dal personale dell'amministra­zione penitenziaria, agenti compre­si. Le possibili colpe di «altri orga­ni e servizi pubblici» dai quali Cuc­chi è transitato, non attenuano «la responsabilità di quanti, apparte­nendo all'amministrazione peni­tenziaria, abbiano partecipato con azioni e omissioni alla catena della mancata assistenza».
Sono le conclusioni a cui è giun­ta l'indagine della Direzione genera­le delle carceri sulla fine del tossico­dipendente arrestato dai carabinie­ri e deceduto all’ospedale «Sandro Pertini» di Roma, dov’era stato rico­verato per le fratture subite. Pic­chiato nelle celle di sicurezza del tri­bunale di Roma dagli agenti peni­tenziari, secondo l'ipotesi della ma­gistratura; non si sa dove, quando e da chi, secondo l'Amministrazio­ne penitenziaria che ha potuto ac­quisire solo alcuni atti giudiziari, non tutti quelli richiesti. Ora la rela­zione della commissione formata da Sebastiano Ardita, Maria Letizia Tricoli e Federico Falzone e altri funzionari del Dap è stata inviata al­la Procura di Roma, che la valuterà e ne trarrà eventuali conseguenze.

Vomito e sporcizia nelle celle
Sugli agenti carcerari l'ispezione dà atto delle «condizioni lavorativa­mente difficili» in cui gestiscono gli arrestati e i detenuti in attesa di giudizio nei sotterranei del tribuna­le di Roma. Ma spiega che «risulta difficile accettare che il personale non sia stato posto a conoscenza neppure dell’esistenza della circola­re per l'accoglienza dei 'nuovi giun­ti' (quella con le regole sulla 'pri­ma accoglienza' ai detenuti, ndr)» . Non c'era, ad esempio, il registro coi nomi degli arrestati e l'annota­zione dei movimenti con gli orari. «Appare incomprensibile — prose­gue la relazione — la mancata attua­zione di alcuni requisiti minimi di ordine amministrativo già previsti, e la mancata segnalazione di taluni gravi aspetti disfunzionali su caren­ze di carattere igienico sanitario e sulla gestione degli arrestati».
Tradotto dal linguaggio burocra­tico, significa che le camere di sicu­rezza del tribunale di Roma versa­no in condizioni degradate e degra­danti, perché hanno spazi ridotti, non ci sono servizi igienici, non prendono aria né luce dall'esterno ed è possibile che lì vengano richiu­se persone rimaste a digiuno anche da ventiquattr'ore: «All'atto del so­pralluogo le condizioni igieniche presentano evidenze di materiale organico ormai essiccato sui muri interni (vomito) che risultano in parte ingialliti e sporcati con scrit­te. Sul pavimento, negli angoli, si ri­levano accumuli di sporcizia».

La notte dell’arresto
Lì, secondo gli elementi d'accusa raccolti finora dalla Procura di Ro­ma, Stefano Cucchi è stato aggredi­to dagli agenti penitenziari, suben­do le fratture che hanno portato al ricovero sfociato nella morte del pa­ziente-detenuto. Gli ispettori del Dap non traggono conclusioni sul pestaggio (per cui sono indagate tre guardie carcerarie e non i carabi­nieri che avevano arrestato Cucchi la sera prima dell'udienza in tribu­nale, i quali hanno riferito e dimo­strato di non essere stati presenti nelle camere di sicurezza del tribu­nale) rimettendosi alle conclusioni dell'indagine giudiziaria. Però indi­cano la cronologia degli eventi at­traverso le testimonianze, a comin­ciare da quella dell’infermiere del Servizio 118 che visitò Cucchi la notte dell'arresto, tra il 15 e il 16 ot­tobre, nella stazione dei carabinieri di Torsapienza. Trovò il giovane in­teramente coperto, e poco o per nulla collaborativo. «Ho cercato di scoprirgli il viso per verificare lo stato delle pupille e guardarlo in volto... C'era poca luce perché nella stanza non c’era la luce accesa... Ho potuto notare un arrossamento, ti­po eritema, sulla regione sottopal­pebrale destra. Non potevo vedere la parte sinistra perché il paziente era adagiato su un fianco».
L'infermiere, visto che Cucchi «comunque rispondeva a tono e ri­fiutava ogni intervento», se n’è an­dato dopo mezz’ora. I carabinieri avevano chiamato il 118 «riferendo di una crisi epilettica», ma il neuro­logo dell’ospedale «Fatebenefratel­li » che ha visitato il detenuto la se­ra del 16 ottobre riferisce che Cuc­chi «precisò che l’ultima crisi epilet­tica l’aveva avuta diversi mesi fa». Al dottore, come ad altri, Cucchi disse che era «caduto dalle scale», ma nella relazione del Dap sono ri­portate anche testimonianze di al­tro tenore.

Viso tumefatto
L’assistente capo della polizia pe­nitenziaria M.D.C. ricorda che lo vi­de passando nelle celle de­gli arrestati «nella tarda mattinata, tra l’una e le due», del 16 ottobre: «Ave­va il viso appoggiato sullo spioncino aperto, ho nota­to che aveva il viso tumefat­to, di un evidente colore marrone scuro». Un altro assistente capo, L. C., che portò il detenuto dal carcere di Re­gina Coeli al «Fatebenefratelli» e al «Pertini» ricorda: «In un momento in cui sono rimasto solo con Cucchi gli ho chiesto cosa era successo, mi ha risposto con una voce alterata e forte 'è successo fuori, voglio parla­re urgentemente col mio avvoca­to'. Io non ho detto più niente».
C'è poi la testimonianza del­­l'ispettore capo A.L.R., su Cucchi che disse come «durante la notte», dopo l’arresto, aveva avuto un in­contro di box, e gli altri detenuti ri­sposero ironici: «Sì, ma tu facevi il sacco». E c’è la deposizione dell’as­sistente capo B.M., che perquisì Cucchi già pesto e dolorante il po­meriggio del 16 ottobre, all’ingres­so a Regina Coeli: «Gli ho detto, in maniera ironica e per sdrammatiz­zare, 'hai fatto un frontale con un treno', e lui mi ha risposto che era stato 'pestato' all'atto dell'arresto». Quanto al ricovero nel reparto carcerario dell’ospedale «Pertini» — a parte l’odissea vissuta dai geni­tori di Cucchi che non sono riusciti a vederlo né ad avere notizie, e han­no saputo della morte solo dalla no­tifica del decreto che disponeva l’autopsia — il giudizio finale è che «le regole interne dell’ospedale ab­biano finito per incidere perfino su residui spazi che risultano assoluta­mente garantiti nella dimensione penitenziaria. Ragione per cui il trattamento finale del degente-de­tenuto è risultato essere la somma di tutti i limiti del carcere, dell’ospe­dale e della burocrazia».

Giustificazioni inqualificabili
Per gli ispettori questa vicenda «rappresenta un indicatore di in­sufficiente collaborazione tra re­sponsabili sanitari e penitenzia­ri», e certe giustificazioni avanza­te da alcuni responsabili «non me­ritano qualificazione». In conclu­sione, «risulta censurabile l'opera­to complessivo nei confronti del detenuti Cucchi e dei suoi familia­ri, in particolare nell’ambito del 'Pertini', laddove non è stata po­sta in essere delle prescrizioni vol­te all'accoglienza e all'interpreta­zione del disagio del detenuto tos­sicodipendente

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