lunedì 21 dicembre 2009

69° suicidio in carcere: eguagliato il "record" nella storia della repubblica


L’esame esterno ha confermato la natura del decesso: Marco Toriello, il 43enne di Eboli trovato cadavere dietro le sbarre, si è tolto la vita venerdì sera impiccandosi nella sua cella all’interno della casa circondariale di Salerno Fuorni.
Il magistrato, dottoressa Guglielmotti, dovrà decidere se aprire un fascicolo sulla morte dell’uomo disponendo l'esame autoptico così come è stato richiesto dai familiari della vittima che hanno denunciato una serie di perplessità circa la natura del decesso del congiunto, oppure liberare la salma. L'esame esterno, effettuato dal medico legale Giovanni Zotti nella serata di venerdì, come già detto non lascerebbe adito a dubbi. Toriello si è tolto la vita legandosi una corda al collo. I familiari chiedono però chiarezza in relazione ad alcuni lividi che il giovane presenterebbe sulla schiena. Nulla, inoltre, stando alla denuncia degli stessi, lasciava presagire un atto così estremo. Alcuni giorni fa il 43enne aveva avuto un colloquio con la figlia con la quale si era ripromesso di rincontrarsi il 23 dicembre per gli auguri di Natale. Poi il colloquio con il magistrato di cui, però, non si è appreso il contenuto. Qualcosa che possa aver turbato a tal punto l’uomo da spingerlo al suicidio? Sembra davavero improbabile.

Marco Toriello era noto alle forze dell’ordine per reati inerenti il mondo degli stupefacenti. Era stato arrestato nel dicembre dello scorso anno a seguito di una tentata rapina messa a segno ai danni di una fruttivendola di Eboli. L’uomo fu prima messo in fuga dal compagno della commerciante e successivamente arrestato dai carabinieri della compagnia di Eboli.

Malato da tempo di epatite e con altri gravi problemi di salute, era ristretto nel reparto detentivo della locale casa circondariale, destinato ai tossicodipendenti. Le sue condizioni di salute, tuttavia, erano delicatissime e lo stesso necessitava di cure costanti. Ecco perché l'episodio ripropone, come evidenziato dal segretario provinciale della penitenziaria Lorenzo Longobardi, la necessità di istituire presso l'ospedale cittadino “Ruggi d'Aragona” di via San Leonardo il reparto detentivo per i detenuti affetti da gravi patologie. Il reparto, che sarebbe già stato ultimato, doveva aprire i battenti ad ottobre ma, ad ora, ancora non è stato attivato. Ciò fa sì che i detenuti afflitti da problemi di salute restino ristretti a Fuorni in un ambiente, cioè, certamente non adatto a loro. Dietro le sbarre della casa circondariale di Salerno Fuorni, infatti, la situazione dal punto di vista “sanitario” non è tra le più rosee: i detenuti, come confermato dagli ultimi dati, sono più a rischio di contrarre malattie rispetto al resto della popolazione e, il contagio, è davvero dietro l'angolo.

Le patologie di maggiore ricorrenza sono quelle correlate allo stato di tossicodipendenza dei detenuti presenti che rappresentano circa il 20% dell'intera popolazione ristretta: ciò è causa di epatopatie (circa il 10%) quali l'epatite da virus C e la cirrosi epatica, le micosi e la sindrome da Hiv, la cui frequenza è in aumento. L’epatite C è la compagna subdola e silenziosa di centinaia di detenuti scatenandosi tramite alcune situazioni e comportamenti tipici nelle carceri come la diffusa pratica del tatuaggio effettuato con ogni mezzo come aghi rimediati iniettandosi sotto la pelle l’inchiostro delle penne a sfera, il sovraffollamento e la tossicodipendenza. A Salerno sono circa 500 i detenuti “prigionieri” di un sistema che, a causa dei continui tagli alla spesa pubblica, appare sempre meno adeguato alle esigenze di chi in carcere dovrebbe compiere un percorso di reinserimento nella società. Si registra – ed è questo un altro dato allarmante – un aumento della presenza di detenuti affetti da cardiopatie di diversa natura e di soggetti con disturbo della psiche per effetto della perdita di libertà. Tutti questi problemi sono poi acuiti dallo stato della Casa circondariale di Salerno Fuorni che, inaugurata nel 1981, risente dal punto di vista strutturale delle carenze proprie di una edilizia ormai superata nel tempo nonostante i costanti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, attuati in base alla vigente normativa penitenziaria, abbiano senz'altro apportato sostanziali miglioramenti di vivibilità garantendo, nel contempo, un adeguato stato di conservazione dell'immobile correlato ad un buon livello di funzionalità interna dei servizi. Tra i problemi maggiormente risentiti, vi è la vetustà della rete fognaria di quella idrica e dell'impiantistica in generale. Gli interventi di ristrutturazione, inoltre, non hanno interessato la totalità dei reparti detentivi.
Da Cronache Salerno

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Nuovo Record Morti In Carcere

Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente, gravemente ammalato, venerdì scorso si è ucciso impiccandosi nella sua cella del carcere di Salerno. Si tratta del sessantanovesimo recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno. Viene così eguagliato il triste “record” del 2001: il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica. Il totale dei detenuti morti nel 2009 sale così a 171.

Anche per Marco, come in altri casi recenti, i familiari non credono al suicidio e vogliono che la magistratura intervenga, disponendo un’indagine. E se è vero che ogni nuova morte in carcere si presta ad alimentare sospetti e polemiche (e i parenti hanno il sacrosanto diritto di chiedere e ottenere una verità certa), l’attenzione alla singola vicenda non deve far dimenticare che le “morti di carcere” rappresentano sempre e comunque una sconfitta per la società civile.

Negli ultimi 10 anni nelle carceri italiane sono morte 1.560 persone, di queste 558 si sono suicidate. Per la maggior parte si trattava di persone giovani, spesso con problemi di salute fisica e psichica, spesso tossicodipendenti.

Ma è davvero scontato ed inevitabile che i detenuti muoiano, seppur giovani, con questa agghiacciante frequenza di 1 ogni 2 giorni? No, assolutamente no!

I morti sarebbero molti meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di persone che, ben lontane dall’essere “criminali professionali”, provengono piuttosto da realtà di emarginazione sociale, da storie decennali di tossicodipendenza, spesso affette da malattie mentali e fisiche gravi, spesso poverissime.
Oggi il carcere è pieno zeppo di queste persone e il numero elevatissimo di morti ne è conseguenza diretta: negli anni 60, come dimostra la ricerca allegata, i suicidi in carcere erano 3 volte meno frequenti di oggi, i tentativi di suicidio addirittura 15 volte meno frequenti… e non certamente perché a quell’epoca i detenuti vivessero meglio.

Oggi il 30% dei detenuti è tossicodipendente, il 10% ha una malattia mentale, il 5% è sieropositivo hiv, il 60% una qualche forma di epatite, in carcere ci sono paraplegici e mutilati, a Parma c’è una sezione detentiva per “minorati fisici”… e si potrebbe continuare.
Le misure alternative alla detenzione vengono concesse con il contagocce: prima dell’indulto del 2006 c’erano 60.000 detenuti e 50.000 condannati in misura alternativa; oggi ci sono 66.000 detenuti e soltanto 12.000 persone in misura alternativa.
Più della metà dei detenuti sono in attesa di giudizio, mentre 30.500 stanno scontando una condanna: di questi quasi 10.000 hanno un residuo pena inferiore a 1 anno e altri 10.000 compreso tra 1 e 3 anni.
Molti di loro potrebbero essere affidati ai Servizi Sociali, anziché stare in cella: ne gioverebbero le sovraffollate galere e, forse, anche la conta dei “morti di carcere” registrerebbe una pausa.
fonte: OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE

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