martedì 16 febbraio 2010

Eternit, voci da una strage

il maxiprocesso sull'amianto entra nel vivo
Sfilano i parenti delle vittime: due minuti a testa per chiedere giustizia....

Torino-In vent’anni ha visto morire il marito, sua sorella, un nipote, una cugina e, infine, anche la figlia. Una famiglia sterminata dall’amianto, la polvere mortale che tutto ricopriva a Casale Monferrato e che ora è diventata l’unica ragione di vita per Romana Blasotti Pavesi. La signora, a 81 anni, anche ieri ha affrontato il viaggio tra Casale e Torino per partecipare, come sempre, all’udienza del processo Eternit.

«Come faccio? Tutte quelle ore mi stancano - confessa la signora Romana - ma poi penso ai miei familiari, al processo. Questa fatica va fatta». Lei, che dell’associazione dei familiari delle vittime è la presidentessa, sa che non può mollare. «Spero solo di vedere la fine e di ottenere giustizia, non risarcimenti - spiega -. Per me la pena più giusta sarebbe far seguire agli imputati il decorso di un malato di mesotelioma dal primo all’ultimo giorno, solo così capirebbero cosa è stata la nostra vita in questi anni».

Romana Blasotti Pavesi è solo una delle 6392 persone che hanno chiesto di costuirsi parte civile contro il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier, accusati dalla procura di disastro ambientale doloso permanente. Il totale delle domande è stato reso pubblico ieri mattina dal presidente della corte Giuseppe Casalbore che ora avrà l’incredibile compito di vagliare, ed eventualmente scremare, la gigantesca lista entro il 1° marzo. Sarà ammesso solo chi è davvero stato danneggiato dall’Eternit e dalla sua politica industriale.

Nell’elenco figura di tutto: dal Wwf, all’associazione Medicina Democratica, passando per i sindacati e persino per l’Anpana, l’associazione nazionale protezione animali natura ambiente. Per riuscire a districarsi, il presidente della corte ha concesso due minuti a ciacuna parte civile. Finestra temporale uguale per tutti, per singole posizioni come per chi rappresentava centinaia di casi. Discussione preziosissima quella del legale dell’Inail: avendo richiesto un risarcimento di 250 milioni di euro, ogni secondo del suo discorso valeva oltre due milioni.

Ma l’immane tragedia dei morti per asbestosi e mesotelioma pleurico non si può calcolare con anomalie e curiosità, che pure possono spuntare in un processo monstre come quello che si sta celebrando a Torino. Tra le 6392 domande di parte civile, ci sono i familiari delle vittime, che hanno seguito le lunghe e strazianti malattie dei loro cari. E ci sono i malati, persone forse dal destino segnato, che continuano a combattere. Come Luisa Minazzi, dirigente scolastico di 58 anni, che ha scoperto la sua malattia nel 2006. «Quando mi fu diagnosticata conoscevo le conseguenze dell’amianto - racconta - nel 1986 avevo fondato Legambiente a Casale e negli anni ‘90 sono stata assessore all’Ambiente. Proprio in quella veste cominciammo la più grande opera di bonifica dall’amianto mai realizzata, i 22mila metri quadri degli ex magazzini Eternit». La Minazzi non ha mai lavorato in fabbrica e nemmeno i suoi familiari. Nel 1957, però, la sua famiglia si trasferì in alcune case popolari. Il cortile era stato asfaltato con polvere di amianto che la fabbrica all’epoca svendeva o regalava. «Ricordo che da bambini giocavamo accanto a quei mucchi di polvere che per noi erano come sabbia».

Operai, casalinghe, spazzini, imprenditori, ricchi, poveri: il mesotelioma non guarda in faccia a nessuno. Non serviva lavorare in fabbrica, bastava vivere nei dintorni. Nel 2008 se n’è andata 0Gabriella Ganora, moglie del figlio di Nils Liedholm, indimenticato allenatore del Milan e della Roma. Da giovane, a 16 anni, giocava a pallavolo davanti all’Eternit. Quella polvere veniva usata per segnare il campo. Nel 1988 muore, in appena 6 mesi, Piercarlo Busto. Aveva 33 anni. «Mio fratello faceva il bancario ed era uno sportivo, corsa campestre - ricorda Giuliana Busto - Non sapevamo nemmeno cosa fosse il mesotelioma, noi non avevamo mai avuto a che fare con la fabbrica». Invece Piercarlo si ammala, un forte dolore alla schiena. Se ne va in pochi mesi. Oggi sua figlia, che all’epoca aveva due anni, ha due poster in camera che lo ritraggono: l’unico ricordo che può avere di suo padre. La famiglia Busto è stata la prima ad accusare pubblicamente l’amianto: lo fece nel manifesto funebre, rompendo un tabù.

«Non era facile, in quegli anni - racconta Nicola Pondrano, altra voce dell’associazione vittime - L’Eternit ti dava tutto: colonia elioterapica, orari agevolati, Befana per i bambini, borse studio, indennità per la polvere fino al 30% dello stipendio. Ci sentivamo privilegiati». Poi arrivò la consapevolezza. E con questa la psicosi. Tra le domande di parte civile c’è anche quella di Italo Formica. Lui non si è mai ammalato, non ha mai avuto un parente defunto per patologie da amianto. Ma due anni fa ha accusato un male alla schiena, gli han trovato la pleura piena di liquido. «Ho pensato: ecco, è toccato anche a me. Sono caduto in depressione per due anni: esami, monitoraggi, il terrore di morire». In realtà Italo Formica aveva preso la pleurite.

Migliaia di casi e il processo non è entrato nel vivo. La difesa dei due imputati ieri ha chiesto di escludere centinaia di casi. Innanzitutto tutti quelli che nel 1993 firmarono un accordo con alcuni dirigenti italiani a processo a Casale, accordo che prevedeva la rinuncia a qualunque domanda di risarcimento successiva. Poi l’esclusione di alcuni casi che riguardano vittime di Rubiera non citati nel capo d’imputazione. Deciderà la corte.

R.Z. (La Stampa.it)

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