venerdì 12 febbraio 2010

Nuoro: violenze nel carcere di Mamone 8 agenti sotto processo

Per tutta la mattina, hanno atteso che il processo che li vede imputati per peculato e per le presunte violenze commesse nei confronti di un gruppo di detenuti nella colonia penale di Mamone, celebrasse una nuova udienza. Solo in tarda mattina, per la concomitanza con un altro processo, gli otto agenti di polizia penitenziaria del carcere vicino a Onanì presenti in tribunale hanno scoperto che il loro processo sarebbe stato rinviato al 23 marzo per l’audizione di alcuni testi extracomunitari.

Così, gli imputati Bachisio Pira, Efisio Torazzi, Antonio Sanna, Salvatore Pala, Piero Sulas, Marco Pitzalis, Giovanni Mazzone e Natalino Ghisu, sono tornati a casa con un nulla di fatto. Secondo l’accusa nel 2002 si erano resi protagonisti, a vario titolo, di un discreto numero di violenze che avrebbe riguardato anche alcuni detenuti di fede religiosa musulmana. Sempre secondo l’accusa, qualcuno di questi ultimi era stato costretto a baciare la statua della Madonna e a rendere omaggio alla bandiera italiana. Gli otto imputati attraverso i loro avvocati hanno sempre respinto con forza queste accuse. La prossima udienza è fissata al 23 marzo.

Giustizia: detenuto operato al cuore, torna in cella dopo 48 ore

Dalla pagina di "Radio Carcere"

Patrie galere. La vicenda di Roberto, 65 anni, cardiopatico e detenuto in carcere da 2 anni in attesa di giudizio. Il suo caso è emblematico delle difficoltà che oggi deve affrontare un detenuto malato per ottenere ciò che è ovvio: essere curato e non rischiare di morire in carcere.
Roberto, 65 anni, è gravemente malato di cuore e sta in carcere da due anni perché sottoposto a misura cautelare. Nell’ottobre del 2007 Roberto viene arrestato e portato nel carcere di Lanciano. Lì viene sbattuto in una piccola cella, occupata da altre 4 persone. Roberto sta male. Già quando era libero gli era stata diagnosticata un’ostruzione del 100% della coronaria destra, tanto che i medici avevano consigliato un immediato intervento chirurgico.
Nel carcere di Lanciano la malattia di Roberto non migliora. Il suo cuore non viene adeguatamente controllato dai medici del penitenziario e così le sue condizioni si fanno più gravi. Passa un anno ed inizia il processo dinanzi alla V sezione del Tribunale di Roma. Un processo che per Roberto significa anche dover fare lunghi e non confortevoli viaggi da Laciano verso la capitale. Viaggi di circa 4 ore, che Roberto fa all’interno di in un furgone, rinchiuso in una gabbietta di ferro e ammanettato. L’ideale per un cardiopatico.
Nel luglio del 2009 i difensori di Roberto, visto il peggiorarsi delle sue condizioni di salute, chiedono al Tribunale di sottoporlo ad una visita cardiologica all’Ospedale di Lanciano. Visita che viene fatta dopo 4 mesi, ovvero il 27 ottobre 2009. Ma c’è un problema. Infatti Roberto sta talmente male che il cardiologo, dopo pochi minuti, sospende l’esame dello "stress test" per di evitare un collasso cardiocircolatorio.

Come se nulla fosse, Roberto viene riportato nella sua piccola e sovraffollata cella del carcere di Lanciano. Ovvero una struttura assolutamente inidonea a curare una persona cardiopatica.

Il 27 novembre 2009, Roberto, accusando da tempo dolori al petto e vertigini, viene visitato dal suo cardiologo che, nella relazione del depositata al Tribunale di Roma, diagnostica una grave forma di cardiopatia ischemica, sottolinea che Roberto è in pericolo di vita e che necessita di un ricovero ospedaliero immediato.
Il 30 novembre 2009, il Tribunale di Roma ordina il ricovero urgente di Roberto nel reparto di cardiologia dell’Ospedale Tor Vergata di Roma. Ma l’ordine del Tribunale non viene eseguito dal carcere Rebibbia di Roma, dove Roberto era intanto detenuto. L’11 dicembre, i difensori presentano un’ulteriore istanza di sollecito. Istanza seguita da un altro ordine del Tribunale di Roma al carcere di Rebibbia per far ricoverare in ospedale Roberto. Purtroppo anche questo secondo ordine resta disatteso e Roberto resta in cella sofferente.
Il 29 dicembre il Tribunale inoltra un terzo ordine al carcere di Rebibbia e trasmette al Dap la segnalazione, fatta dai difensori, della mancata esecuzione dei precedenti ordini di ricovero. Solo il 14 gennaio 2010, ovvero dopo più di un mese dal primo provvedimento del Tribunale, Roberto viene finalmente portato dell’ospedale di Tor Vergata per essere operato al cuore. Ma non è finita.

La sera del 19 gennaio 2010 Roberto subisce un operazione a cuore aperto. Dopo il delicato intervento viene portato in terapia intensiva. Reparto dove Roberto però rimarrà poco più di 48 ore. Passano infatti solo due giorni dall’operazione e si presentano in terapia intensiva degli agenti che prelevano Roberto e, con la nota delicatezza, lo riportano nel carcere di Rebibbia. Roberto viene così rinchiuso in una cella. Immobile e dolorante e sanguinante.
Il 28 gennaio 2010, Roberto viene di nuovo visitato dal suo cardiologo che evidenzia al Tribunale come il regime carcerario a cui è sottoposto Roberto non è idoneo all’assistenza medica necessaria e che di conseguenza Roberto è esposto in carcere ad un grave pericolo di vita.
Ora vedremo cosa deciderà il Tribunale di Roma sulla scarcerazione di Roberto, la cui storia è grave e emblematica. È l’esempio di cosa oggi deve affrontare un detenuto malato per ottenere ciò che è ovvio: essere curato e non rischiare di morire in carcere.

Riccardo Arena

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