sabato 20 febbraio 2010

Lettera al Procuratore Minna dalla famiglia del poveraccio dei genitori di Federico Aldrovandi


Il pericolo non nasce da chi pesca, trova, una nuova notizia, il pericolo nasce da chi la riesce a far passare, da chi rompe la crosta degli addetti ai lavori, da chi in qualche modo riesce a far veicolare dei messaggi, dei racconti. Roberto Saviano

Questa frase ricorre molto in rete.

E’ chiaro che la divulgazione fa paura alla mafia, la conoscenza dei meccanismi di funzionamento di quel sistema può minarlo alla base.
Ovviamente qui non si parla di mafia, ma si parla comunque di un reato che è stato soggetto a depistaggi e a non adeguate indagini.
L’udienza del 16 febbraio 2010 si preannunciava brevissima.
Convocata dal Giudice la pm di turno il 25 settembre 2005: dott.ssa Mariaemanuela Guerra.
Marino, fra gli altri, è indagato quale responsabile delle volanti per la telefonata informativa alla pm. Le disse di un ragazzo morto lì in via Ippodromo, per un malore, strafatto e lei non intervenne sul posto. Quella telefonata è ora oggetto degli approfondimenti del processo contro Marino.

Presente a sorpresa in aula il Procuratore Capo Rosario Minna.

Prima ancora che il Giudice insediasse formalmente l’udienza si alza per parlare. Deve però aspettare le brevi formalità di rito.
Poi comincia. Ha parlato forse per un’ora.

Confesso che all’inizio non capivo quale fosse la sua istanza, parlava delle sue ginocchia malate che non gli consentono di inginocchiarsi al cospetto di Dio e per questo andrà all’inferno; faceva battute nel suo dialetto di origine che gli astanti non capivano, ma ce l’aveva con tutti. Ce l’aveva col Giudice sostenendo a gran voce che il processo non era regolare e che tutti i pm erano con lui, ce l’aveva con noi e con i nostri avvocati. Ce l’aveva col Presidente dell’Ordine degli avvocati che aveva testimoniato nel procedimento disciplinare al CSM contro la dott.ssa Guerra. Ce l’aveva con l’ordine degli avvocati perché aveva assolto i nostri avvocati in un procedimento disciplinare. Ma non ce l’aveva con l’imputato.
Francamente io e Lino non abbiamo proprio capito cosa ci stessimo a fare lì. Ci siamo sentiti intrusi in quell’aula dove eravamo noi ad essere gli imputati.

Non ho capito il perché ma si capiva che era molto arrabbiato per il fatto che la dott.ssa Guerra dovesse testimoniare, e si capiva che lui stesso voleva testimoniare, non abbiamo capito bene su cosa.
Quello era un processo non contro l’imputato Marino ma contro di noi, parte civile.

Credevo di avere capito il significato di questi termini ma sinceramente ora non capisco più niente. Non pensavo che durante un processo potesse accadere che improvvisamente la Procura rivoltasse tutte le cose trasformando le persone che hanno subito il reato in imputati.
Tutto questo perché, io penso, un magistrato è troppo importante per essere chiamato a testimoniare.
È più importante degli avvocati, è più importante dei Giudici, è più importante delle vittime del reato.
Questo credo che fosse il senso di ciò che ha detto.

Era comunque molto arrabbiato, arrabbiatissimo nel voler imporre la sua autorità su tutto e su tutti, indipendentemente e al di sopra del processo che si stava facendo.
Non solo, ma all’apice del suo intervento si è lasciato andare ad un’espressione che sommariamente suona così: “guai a concedere spazio alla FOGNA MEDIATICA che ha contraddistinto il caso di Federico Aldrovandi, quel POVERACCIO che è morto per strada”.

Le sue parole sono state registrate.
Questo comunque noi abbiamo capito che abbia detto.
Nostro figlio era un poveraccio?
Questo si merita per essere morto? in modo orribile, appena maggiorenne?
Questa è la parola usata per definirlo: un poveraccio morto per strada.

Ora caro Procuratore mi rivolgo a lei.

Abbiamo capito l’idea che ha di lui e di noi, ma lei non ha mai conosciuto Federico, lei non lo ha visto nascere, lei non lo ha visto crescere, lei non è stato un suo insegnante, non è stato suo sacerdote né suo amico.
Noi siamo una famiglia semplice, io impiegata comunale e mio marito vigile urbano.
Forse siamo poveracci anche noi ma quello che abbiamo capito è che lei aveva a cuore solo l’onore leso della sua collega per il solo fatto di dover testimoniare così come si chiede a qualsiasi altro cittadino, ma sappia che dando del poveraccio ad un ragazzo morto che non si può più difendere non ha fatto nemmeno lei una bella figura.

Sa cosa pensiamo? Visto che Dio ha voluto che nostro figlio morisse così giovane, se l’avesse portato via un incidente stradale avrebbe sicuramente avuto più rispetto e considerazione.
Ha la sola colpa di essere morto durante un controllo di polizia, e quindi si può dire che sia un poveraccio morto per strada.
Siamo stanchi signor procuratore di tutto questo. Siamo stanchi di dover pagare questo prezzo.

Per due anni ho sentito dire le cose più terribili sul nostro conto e su Federico. Siamo stanchi. Se è così le chiedo di fermare il processo e di assolvere tutti gli imputati.

Confidiamo in lei
I genitori di Federico

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