domenica 21 febbraio 2010

Giustizia: perché l’ultima lettera di Cucchi è stata fatta sparire

Continua ad essere un mistero l’ultima lettera scritta da Stefano Cucchi, il trentunenne romano arrestato il 15 ottobre scorso e morto sei giorni dopo nel reparto carcerario dell’ospedale "Sandro Pertini", con le ossa rotte. Chi l’ha spedita, e perché, visto che è stata imbucata quattro giorni dopo che Stefano aveva smesso di vivere?

Quel foglio di carta vergato con calligrafia malferma in cui si chiedeva aiuto al volontario di una comunità terapeutica, chiuso in una busta, era tra le cose che Cucchi aveva con sé quando è morto. Lo dimostra l’inventario redatto all’ospedale "in riferimento al decesso del detenuto ", con l’elenco degli "effetti personali", restituiti "per competenza" al carcere di Regina Coeli: oltre a due paia di calzini, due mutande, due maglie intime e una tuta da ginnastica, compare "una busta da lettera". Chiusa e contenente qualcosa, c’è da credere, altrimenti non avrebbe avuto senso riconsegnarla

Che quelle cose siano arrivate a Regina Coeli, busta compresa, è provato dal timbro del carcere e dalla firma di un agente della polizia penitenziaria. Lo stesso che qualche giorno più tardi (il documento è senza data, ma c’è il timbro di un ufficio apposto il 6 novembre) ha compilato un’altra lista di "oggetti personali rinvenuti all’interno della camera detentiva" dove si trovava Cucchi; nel verbale sono indicati la tuta, le mutande, i calzini e le magliette. Della "busta da lettera" non c’è traccia. E naturalmente non ce n’era tra gli effetti restituiti ai familiari di Stefano. Loro cercavano una lettera perché una donna della polizia penitenziaria aveva testimoniato di aver dato busta e francobollo al detenuto, e di averlo visto scrivere, ma nessuno seppe dire nulla di più.

La logica conseguenza dei due diversi verbali è che la lettera sia stata spedita dal carcere. Come mai, se dell’inquietante morte di chi l’aveva scritta avevano già cominciato a parlare televisioni e giornali? Sulla busta c’era un nome e l’indirizzo di una Comunità di Roma, e dunque si può pensare che burocraticamente chi l’ha avuta tra le mani abbia ritenuto di inviarla al destinatario; premurandosi di indicare mittente e provenienza, scritti con una calligrafia diversa da quella di Cucchi. Ma il contenuto del messaggio poteva essere utile a fare chiarezza sulla morte del giovane, o a spiegare gli ultimi giorni trascorsi tra una caserma dei carabinieri, le gabbie di un tribunale, il carcere di Regina Coeli e infine il reparto di "protetto" di un ospedale.

Invece la burocrazia ha pensato di liberarsi subito di quella busta che poteva scottare. E un po’ effettivamente scottava, visto che nella lettera Cucchi chiedeva aiuto a un suo amico della Comunità di recupero per tossicodipendenti. "Per favore almeno rispondimi, a presto", aveva scritto: è la dimostrazione che cercava un appiglio per continuare a vivere, nonostante al "Pertini " rifiutasse il cibo perché voleva un avvocato che non è mai arrivato. I suoi familiari hanno potuto leggere quell’invocazione per caso, quando all’inizio di febbraio hanno deciso di rendere pubblico il mistero della lettera sparita. Solo dopo la conferenza stampa Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, è stata chiamata alla Comunità che in passato aveva ospitato suo fratello. Le hanno consegnato il foglio, giunto a fine ottobre e messo via perché tanto ormai non c’era più niente da fare; senza pensare, nonostante il grande clamore suscitato dal "caso Cucchi", che alla famiglia potessero interessare le ultime parole di Stefano.

È una fra le tante stranezze di una vicenda dove trascuratezza e negligenza si sono accumulate fin dalle prime ore in cui quel tossicodipendente sorpreso con qualche dose di hashish e cocaina è finito nelle mani dello Stato: nel verbale d’arresto redatto alla stazione dei carabinieri di Roma Appia, per un evidente errore dovuto all’utilizzo di atti già redatti in precedenza sullo steso computer, Stefano Cucchi risulta "nato in Albania", in una data diversa, e "senza fissa dimora". Alla fine è scritto che "il prevenuto, interpellato, dichiarava di non dare notizia del suo avvenuto arresto ai propri familiari". Peccato che dopo essere stato fermato, Cucchi è andato coi carabinieri nella casa dove ufficialmente abitava insieme a genitori, che al termine della perquisizione l’hanno visto portare via in manette.



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