lunedì 1 febbraio 2010

Fatti di Pistoia - terza udienza

Si è tenuta nella giornata del 29 Gennaio la terza  udienza del processo che vede coinvolti 7 imputati, di cui quattro livornesi, per l’irruzione nel circolo Agogè-CasaPound di Pistoia, avvenuto l’11 ottobre 2009. In questa terza riunione sono stati ascoltati alcuni testimoni dell’accusa, quattro tra ispettori di polizia e dirigenti digos che quel giorno hanno condotto le prime indagini, M. D., consigliere del circolo Agogè, e due dei sette accusati.

Riconoscimenti farsa. Il processo si è aperto con la fase dei riconoscimenti. Ad indicare i presunti colpevoli M. D., esponente del circolo Agogè – Casapound e l’altro testimone dell’accusa, M. L. proprietario della pizzeria adiacente il circolo Agogè – Casapound. Il confronto si sarebbe dovuto svolgere all’americana, ovvero mischiando gli accusati con delle persone somiglianti. Ma è stato palesemente una farsa. In primis perché M. D., essendo parte civile nel processo, ha potuto fin dalla prima udienza accedere ai fascicoli coi riconoscimenti fotografici, avendo quindi il tempo per memorizzare gli accusati. Tecnicamente poi, ci sono state diverse mancanze. Le persone che hanno affiancato gli accusati (i presunti “sosia”) erano poliziotti e per di più di Pistoia, quindi persone note in un città piccola e per soggetti come M. D. e M. L., impegnati in politica e frequentatori dello stadio. Ai poliziotti è stato perfino permesso di mantenere i propri cellulari e quindi la possibilità di comunicare con l’esterno. Avevano poi caratteristiche palesemente differenti dagli accusati per età (dai 40 ai 50 anni!), per corporatura e segni particolari (uno stempiato, un altro con la barba bianca!). In un caso però è bastato invertire un accusato e un poliziotto (di 50 anni) che si prestava a fare da somigliante per far confondere gli accusatori che non hanno saputo dare una precisa risposta. Nel caso dell’unica donna coinvolta invece, dove gli affiancamenti sono stati fatti in maniera più idonea, gli accusatori non hanno saputo riconoscere l’imputata. Ogni commento è superfluo.

I testimoni dell'accusa, una contraddizione dietro l’altra. E’ stata poi la volta della deposizione di M. L., gestore della pizzeria che ha sede accanto a Casapound e del suo aiutante M. R.. Sono loro, insieme al M. D. di Casapound, i testi principali dell’accusa. La loro deposizione, timorosa, confusa e piena zeppa di contraddizioni, e che ha rivelato l’inconsistenza dei tanto attesi riconoscimenti visivi, getta una pesante ombra sull’operato di chi ha condotto le indagini. E’ risultato evidente a tutti che entrambi i pizzaioli sono entrati a far parte di un gioco più grande di loro, nel quale sono co-responsabili delle detenzione di sette persone estranee ai fatti e verso il quale dovranno fare i conti con la propria coscienza. Senza rievocare tutto il dibattimento occorre qui sottolineare le madornali contraddizioni tra i due colleghi di lavoro. Entrambi dichiarano che quel pomeriggio erano intenti a trasportare un oggetto pesante lungo la strada del circolo Agogè (per M. L. è una stufa, per M. R. una lavatrice!) e che sono stati distratti dalla corsa (“fuga”) di un gruppo di circa 20-25 persone che arrivava alle loro spalle. Pensando che fosse successo qualcosa nei pressi del circolo e ricevuta la conferma dopo una telefonata (della moglie di M. L., impegnata in quel momento nella pizzeria), M. L. dice che si sono precipitati verso il medesimo abbandonando la stufa-lavatrice sul marciapiede mentre M. R. afferma che hanno portato l’oggetto a destinazione e solo dopo si sono incamminati verso il circolo e la pizzeria. E qui è emerso uno dei particolari più interessanti della giornata odierna. M. L. dichiara di tornare verso la pizzeria (accanto al circolo) per assicurarsi dello stato della moglie, che nel frattempo sta medicando un taglio al M. D.. Dichiara di non rivolgersi in nessun modo alla persona ferita e di prendere subito il motorino (con M. R.) per fare un giro nei dintorni e tentare di individuare i responsabili. In precedenza interrogato sui rapporti con Casapound, M. L. dichiara di non avere rapporti, se non di considerare alcuni di loro clienti della pizzeria. M. R. al contrario ricorda che entrambi si sono rivolti al M. D. mentre questi era in fase di medicazione, di essersi informati tramite lui sull’accaduto e di essere penetrati all’interno del circolo di Casapound per valutare i danni. Un approccio umanamente comprensibile visto l’accaduto o c’era una conoscenza pregressa? M. R. non ha dubbi e svela candidamente che esistono dei rapporti tra Casapound e M. L., che è solito mandare i figli a giocare a “calcino” (biliardino) nel circolo di Casapound. Rivelazione pesante, che conferma la poca attendibilità del test M. L. e i suoi rapporti pregressi con Casapound. Comica alla luce della rivelazione del M. R., la precedente affermazione di M. L. circa il possesso della tessera della CGIL e della sua ipotetica vicinanza “al rosso”. E’ quanto meno difficile pensare che una persona di sinistra mandi a giocare i figli in una sede fascista. A imparare cosa, il saluto romano?

M. L. amico di Casapound. Anche oggi 1+1 fa due? In ogni caso, deve essere stato un brutto colpo la rivelazione del collega pizzaiolo circa i suoi rapporti taciuti con Casapound. Del resto, in fase di interrogatorio, il tentativo di occultare questo rapporto, ha sfiorato più volte il paradosso, come nella situazione, già citata, in cui di fronte a M. D. lievemente ferito a un braccio, M. L. dichiara di non rivolgergli la parola e di non chiedergli niente circa l’accaduto. Una circostanza umanamente insostenibile. M. L., decisamente abbacchiato a fine interrogatorio, come consolazione ha ricevuto la pacca sulla spalla dal capo della Digos. Uno dei tanti particolari che riempiono di stranezze queste giornate di dibattimento. La presenza ossessiva di Digos e Polizia, oggi visibilmente agitati e turbati dalla scarsa credibilità dei testimoni, rivela un clima inusuale, nel quale probabilmente l’imbarazzo per aver montato su degli innocenti pesanti e insostenibili accuse, comincia a emergere, tradendo evidenti nervosismi.

Da testimoni della difesa a indagati. E’ forse anche per questa svolta, infelice per l’accusa, che alcuni dei restanti testimoni della difesa, le cui deposizioni sono state rimandate all’8 marzo, sono stati informati di essere indagati. Ora che l’estraneità ai fatti dei primi 7 accusati sta emergendo, insieme all’inconsistenza dei test dell’accusa e al sempre più inquietante ruolo degli investigatori pistoiesi, si toglie ai test della difesa la possibilità di fornire ulteriori materiali che confermino la verità sostenuta dal principio dagli accusati.

Le deposizioni degli indagati

I due indagati interrogati nella seduta odierna, Elisabetta Cipolli e Alessandro Orfano. hanno inizialmente descritto, in modo coerente e lineare, gli spostamenti e le attività che hanno svolto nella giornata dell’11 ottobre 2009. Il dibattimento è proseguito poi con le domande dell’avvocato di parte civile, del pubblico ministero e dell’avvocato della difesa: i due hanno risposto a tutte le interrogazioni, dimostrandosi, al contrario dei testimoni dell’accusa, spontanei e naturali, senza mai cadere in contraddizione. Nel corso delle deposizioni è stato illustrato il carattere dell’assemblea dell’11 ottobre al circolo primo maggio a cui parteciparono gli indagati: si trattava di una fase preparatoria in vista di un nascente coordinamento regionale che aveva il fine specifico di denunciare l’incostituzionalità della legge sulle ronde, di recente approvazione. È emerso dunque chiaramente che l’assemblea non aveva niente a che vedere con il circolo Casa Pound Agogè o con la presenza di militanti neofascisti sul territorio pistoiese. La nostra impressione è stata che, dopo la deposizione dei due imputati, tutti i presenti, dal giudice al pubblico, abbiano ascoltato per la prima volta la verità.

Alla fine dell’udienza, alla luce degli elementi emersi, gli avvocati della difesa hanno chiesto nuovamente la liberazione degli imputati. Il collegio giudicante deciderà entro 5 giorni.



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